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La VOCE ANNO XXVIII N°8

aprile 2024

PAGINA D         - 36

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Segue da Pag.35: La campagna diffamatoria per il discorso degli Oscar dimostra che mentire per Israele giova alla carriera

Il vero marciume morale
In un momento di puro delirio, ad esempio, il Rabbino Shmuley Boteach, soprannominato dai media “il rabbino più famoso d’America”, ha criticato Glazer per aver denunciato il presunto “abuso dell’Olocausto” e per aver banalizzato “la memoria dei 6 milioni di vittime attraverso le quali ha trovato la gloria di Hollywood”.

Apparentemente Boteach non riesce a capire che è lui, non Glazer, a sfruttare l’Olocausto, nel suo caso, per decenni al servizio della protezione di Israele da ogni critica, anche adesso che sta commettendo un Genocidio.

Nel frattempo, Batya Ungar-Sargon, opinionista ed editrice di Newsweek, ha rotto con tutte le norme giornalistiche per travisare completamente il discorso di Glazer, accusandolo di “marciume morale” per aver presumibilmente rinnegato la sua ebraicità. Piuttosto, come ha detto fin troppo chiaramente, stava rifiutando il modo in cui la sua ebraicità e l’Olocausto venivano abusati dagli apologeti del Genocidio come Ungar-Sargon per promuovere un programma ideologico violento.

La direttrice di Newsweek sa che il discorso di Glazer è stato il momento più ascoltato e discusso degli Oscar. Sono pochi coloro che hanno letto il commento viziato di Ungar-Sargon su Twitter al riguardo e non hanno piuttosto sentito di persona ciò che Glazer ha detto nel suo discorso.

Mentire sulle sue osservazioni avrebbe dovuto essere un atto di autolesionismo professionale. Avrebbe dovuto essere una macchia sulla sua credibilità giornalistica. Eppure Ungar-Sargon era orgogliosa del suo tweet, anche se ha ricevuto l’umiliante nota a piè di pagina “aggiunta dai lettori” su X che smascherava il suo inganno.

Lo ha fatto perché quel tweet è il suo biglietto da visita. Non la dichiarazione di una giornalista talentuosa o attenta, ma qualcosa di molto più utile: una persona che farà tutto il necessario per fare carriera. Come Shmuley, stava delirando, nel suo caso, con l’accusa di “marciume morale”. Stava mettendo a nudo il fatto che le manca una bussola morale e che è disposta a fare tutto il necessario per promuovere gli interessi dell’istituzione che serve.

Come coloro che hanno mentito sulle armi di distruzione di massa in Iraq, non ci sarà alcun prezzo da pagare per questi fallimenti fin troppo visibili, o per aver promosso una catastrofe per un popolo le cui vite e il cui destino non hanno alcuna importanza per l’Occidente.

Shmuley e Ungar-Sargon sono determinati a rafforzare il giardino recintato, proteggendoci dalla sofferenza e dal terrore inflitti dall’Occidente appena fuori dalla vista.

Questi ruffiani, ipocriti e ciarlatani devono essere svergognati ed esiliati. Dobbiamo invece ascoltare quelli come Glazer che cercano di abbattere il muro per mostrarci la realtà al di là di esso.

Jonathan Cook è vincitore del Premio Speciale Martha Gellhorn per il giornalismo. I suoi libri includono “Israele e lo Scontro di Civiltà: Iraq, Iran e il Piano per Ricostruire il Medio Oriente” (Pluto Press) e “Palestina Scomparsa: Gli Esperimenti di Israele Nella Disperazione Umana” (Zed Books).

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

"Slava Ukraini". Deturpato l'omaggio a Luana d'Orazio: perché Jorit fa così paura?

di Agata Iacono
Perché fa così paura Jorit? Perché questa campagna di odio e persecuzione nei confronti dell'artista napoletano?

A Roma è stata vandalizzata la sua gigantografia dedicata a Luana D'Orazio, la ragazza di 22 anni morta sul lavoro, anzi di lavoro, a Prato, per l'assenza di elementari norme di protezione. Un ennesimo omicidio sul lavoro che sintetizza il dramma dei morti di lavoro in Italia: pochi giorni fa, ad esempio, a Terlizzi è precipitato nel vano ascensore un capocantiere di 79 anni. Sono stati 585.356 gli infortuni sul lavoro nel 2023 (dati Inail), 1.041 dei quali con esito mortale. Nel solo 2024 sono già più di 145 i morti di lavoro.
Come riporta VoxKomm , il ritratto gigantesco di Luana fatto da Jorit è stato deturpato e hanno anche scritto sul suo corpo "Slava Ucraini". Pochi giorni fa un altro murales era stato danneggiato a Ischia e avevano lasciato sul posto una bandiera dell'Ucraina.

Ma perché, ripetiamo, Jorit fa così paura? Molte risposte le trovate in questa bellissima intervista di Clara Statello pubblicata da l'AntiDiplomatico .



Addirittura contro di lui si sono scatenate le fabbrichette di bufale, che sostengono sia pagato dalla propaganda russa. La questione è diventata virale sui social: sotto ogni post che esprime solidarietà al nostro artista di strada, spuntano decine e decine di commenti che lo accusano di essere solo un "venduto", uno che ha ricevuto dalla Russia addirittura novantamila euro tramite un'azienda controllata dal ministero dell'edilizia russo per dipingere dieci murales in territorio russo e persino nelle terre ucraine "occupate militarmente", cioè in Donbass.

Mi sono incuriosita: da dove arrivano tutte queste accuse e perché? Le diffamazioni, diventate virali, dipingono Jorit un prezzolato dalla propaganda russa.
Un articolo di Massimiliano Coccia su Linkiesta dal titolo "Guaglioni di Putin. Ecco come il Cremlino ha finanziato Jorit" è la "fonte" delle accuse.

L'articolo era stato subito rilanciato da Open. Ma Jorit, sabato 9 marzo, ha dato incarico al suo legale di diffidare sia Massimiliano Coccia, chiedendo anche la sua espulsione dall'albo dei giornalisti, che Open. Pubblica la querela sulle stories di Facebook dove dichiara che la denuncia sarà depositata lunedì 11 marzo. Open è velocissima a prendere le distanze dagli accusatori, dimostrando che in effetti le accuse non hanno alcun fondamento. Scrive infatti il direttore di Open, (sottolineo proprio Open, la testata giornalistica incaricata da facebook per individuare le "fake news" che Meta provvede poi a censurare), che ha ricevuto la diffida dall'avvocato Massimo Pinardi, per conto del suo cliente Ciro Cerullo, in arte Jorit, per sostenere che il suo cliente «non ha mai percepito neanche un centesimo dal Governo della Federazione russa», al contrario di quanto sostenuto da un articolo de Linkiesta, che Open aveva citato.

Jorit, l'artista napoletano, di cui abbiamo ammirato gli enormi ritratti sulle facciate dei palazzi, non è un filosofo, non è un opinionista, non è neppure un influencer youtuber che spaccia pandori e bambole, non parla in modo complicato.

Le sue immagini struggenti, di denuncia, parlano per lui.

Soprattutto, parlano a tutti e ogni giorno, per strada e non nei musei, con la forza ingombrante, dirompente, propria solo di una vera opera d'arte universale, profondamente umana, nell'epoca del dilagare dell'intelligenza artificiale.

Jorit fa paura, perché la sua arte può anche non piacere, ma il suo messaggio trascende le parole, non si può confutare in uno studio televisivo con attacchi parenziani, è popolare e immediato.

E questo succede proprio nell'era dell'immagine-merce usa e getta.

È singolare che la narrazione mainstream, standardizzata sulla creazione e distruzione di martiri ed eroi, consumati nel tempo virtuale di una storia Istagram, destinati all'oblio, abbia fallito davanti a reali muri dipinti su decine di palazzi e ad un ragazzo napoletano vero, in carne, ossa, sentimenti, emozioni.

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