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La VOCE 2110 |
P R E C E D E N T E | S U C C E S S I V A |
La VOCE ANNO XXVI N°2 | ottobre 2021 | PAGINA 2 - 22 |
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segue da pag.21: sulla strada per knin, dopo la tempesta.
sono rientrati il 2 agosto con i loro insegnanti, in traghetto da ancona a zara e poi in bus fino a posedarje. assieme a un’altra volontaria, maddalena, sono invece arrivato a zara il 3 agosto e ho trovato la strada per posedarje già chiusa per i combattimenti in corso. il giorno dopo, ottenuto un lasciapassare, siamo riusciti a raggiungere il villaggio: in quei 30 km non abbiamo incontrato nessuno e ai bordi della strada solo fumo, tanto fumo.
al nostro arrivo, posedarje sembrava deserto, perché gli abitanti si erano rifugiati nelle cantine. stavano bene e sono stati felici ma anche stupiti di vederci lì a condividere quei momenti. il 5 agosto, quando alla radio è stata annunciata l’entrata dell’esercito croato a knin, è scoppiata una specie di apoteosi. la popolazione si è riversata nelle strade per accogliere i convogli militari al rientro dai combattimenti, sventolando le bandiere, piangendo di felicità e gridando “vittoria”.
da un lato ero contento per loro, perché erano famiglie croate che nel 1991 erano sfollate proprio da quel territorio occupato dall’esercito della repubblica serba di krajina. per loro quell’operazione significava “liberazione”. dall’altra ero cosciente che all’interno, in krajina, dove operazione colomba aveva già operato e conosceva parecchie famiglie di serbo-croati, doveva essere stato terribile. anche perché vedevo arrivare da lì camion pieni di tutto, di beni “spolpati” dalle case della zona. la frase che ho sentito ripetere in quei giorni parlava da sola: non dicevano “pobjedili smo!” (abbiamo vinto), ma “sve čisto” (tutto pulito)...
poi cosa è accaduto?
sulla strada per knin ( archivio operazione colomba ).
circa una decina di giorni dopo siamo entrati nella zona di knin, dove eravamo già stati nei due anni precedenti e perché una esigenza del nostro modo di agire era quella di essere corpo mediatore, e quindi operare da una parte all’altra del fronte. dopo l’operazione tempesta eravamo consapevoli che avremmo trovato l’inferno. ad esempio a smoković [villaggio che nel censimento del 2011 contava solo 110 abitanti, cioè il 10,69% degli abitanti del 1991 i quali erano al 96% serbi di croazia, ndr] ma anche a knin, la roccaforte della krajina, che nel 1991 era abitata all’80% da serbi mentre dopo il ‘95 la composizione dei residenti si è completamente ribaltata [nel censimento del 2011 knin contava 15.407 abitanti, di cui il 75% croati, ndr].
di knin mi ricordo una scena surreale, la messa tenuta dai frati francescani [a knin c’è un monastero francescano, il “franjevački samostan sveti ante”, ndr]. la chiesa bruciata e di cui erano rimasti in piedi solo i muri, piena di tv straniere, i crocifissi avvolti nelle bandiere della croazia, il cristo in croce anch'esso bruciato con un “perizoma” fatto con la prima pagina
del quotidiano “slobodna dalmacija” dedicata alla vittoria. ricordo le prime parole pronunciate dal prete: “adesso noi siamo puliti, adesso noi siamo liberi”. mi viene la pelle d’oca ancora oggi nel raccontarlo, per l’orrore che mi fecero allora.
sempre a knin, al quartier generale delle nazioni unite abbiamo incontrato la field officer maria teresa mauro [e membro dello “hrat - human rights action plan” del sector south con sede a knin, che ha anche testimoniato al tribunale dell'aja, ndr], che si occupava della ricerca di persone scomparse e di recuperare i corpi delle vittime. una persona con cui operazione colomba aveva già collaborato. ricordo che in una delle sue missioni a plavno, uno di noi è andato con lei e quando apriva i pozzi dell’acqua diceva: “io, ormai, dall’odore capisco se sono corpi di uomini o di animali”...
da knin avete deciso di proseguire?
maria teresa mauro ci ha chiesto se potevamo andare verso plavno, perché pensava che lì ci fossero delle persone sopravvissute e se potevamo verificare. abbiamo deciso di provarci: lungo il tragitto, circa 20 km di strada di montagna, abbiamo incontrato numerosi posti di blocco dell’esercito e della polizia croata, superati con un po’ di diplomazia.
plavno è come un grosso lago asciutto circondato da montagne, e lungo questo anfiteatro si trovano sparsi gruppi di case, alcuni veramente poco accessibili, che nell’insieme formano il villaggio [nel censimento del 1991 contava 1.720 abitanti, nel 2011 solo 253, ndr]. all’inizio pareva non ci fosse nessuno. invece gli abitanti si erano nascosti e pian piano, li abbiamo trovati.
dopo giorni di ricerche, abbiamo trovato 85 persone, tra i 65 e gli oltre 90 anni di età. erano rimaste o perché non avevano avuto la forza di fuggire assieme agli altri 200mila serbi, oppure per proteggere la casa e la terra a cui erano legati, ma soprattutto per sfamare gli animali pensando che in pochi giorni tutto sarebbe tornato normale. sono fuggiti tutti i giovani, quelli più a rischio, mentre tra i rimasti c’erano solo anziani.
purtroppo di tutti i loro animali da allevamento sono riusciti a salvarne soltanto alcuni, nascondendoli. ricordo che al nostro arrivo a plavno abbiamo incontrato maiali, asini, mucche e cavalli, che vagavano nella valle, molti li abbiamo trovati morti – uccisi - nelle loro stalle assieme ai cani legati alla catena. la devastazione era quasi totale, mancava la corrente elettrica, molte case erano prive di acqua, l'odore di animali morti era quasi insopportabile la maggior parte delle case era bruciata o saccheggiata di tutto.
in quel momento noi non sapevamo ancora cosa fosse accaduto nei villaggi. ma parlando con quei pochi vecchi rimasti attorno a plavno, abbiamo capito subito che la situazione era molto grave. ci hanno raccontato che bande di uomini in divisa, per quanto ne sapevano loro non dell’esercito ma paramilitari, passavano di villaggio in villaggio a “pulire”. così come ci hanno raccontato che alcuni soldati dell’hv li avevano invece aiutati a nascondersi.
abbiamo poi deciso di inoltrarci lungo la strada che costeggia il lato nord del parco della krka, cioè la strada che passa dai comuni di kistanje e varivode, e abbiamo girato tutta la zona. un paesaggio lunare, di sole pietre, con semplici sterrati per raggiungere i paesini più piccoli.
..segue ./.
Segue da Pag.21: Sulla strada per Knin, dopo la Tempesta
Sono rientrati il 2 agosto con i loro insegnanti, in traghetto da Ancona a Zara e poi in bus fino a Posedarje. Assieme a un’altra volontaria, Maddalena, sono invece arrivato a Zara il 3 agosto e ho trovato la strada per Posedarje già chiusa per i combattimenti in corso. Il giorno dopo, ottenuto un lasciapassare, siamo riusciti a raggiungere il villaggio: in quei 30 km non abbiamo incontrato nessuno e ai bordi della strada solo fumo, tanto fumo. Al nostro arrivo, Posedarje sembrava deserto, perché gli abitanti si erano rifugiati nelle cantine. Stavano bene e sono stati felici ma anche stupiti di vederci lì a condividere quei momenti. Il 5 agosto, quando alla radio è stata annunciata l’entrata dell’esercito croato a Knin, è scoppiata una specie di apoteosi. La popolazione si è riversata nelle strade per accogliere i convogli militari al rientro dai combattimenti, sventolando le bandiere, piangendo di felicità e gridando “vittoria”. Da un lato ero contento per loro, perché erano famiglie croate che nel 1991 erano sfollate proprio da quel territorio occupato dall’esercito della Repubblica serba di Krajina. Per loro quell’operazione significava “liberazione”. Dall’altra ero cosciente che all’interno, in Krajina, dove Operazione Colomba aveva già operato e conosceva parecchie famiglie di serbo-croati, doveva essere stato terribile. Anche perché vedevo arrivare da lì camion pieni di tutto, di beni “spolpati” dalle case della zona. La frase che ho sentito ripetere in quei giorni parlava da sola: non dicevano “Pobjedili smo!” (Abbiamo vinto), ma “Sve čisto” (Tutto pulito)...
Poi cosa è accaduto? Sulla strada per Knin ( Archivio Operazione Colomba ) Circa una decina di giorni dopo siamo entrati nella zona di Knin, dove eravamo già stati nei due anni precedenti e perché una esigenza del nostro modo di agire era quella di essere corpo mediatore, e quindi operare da una parte all’altra del fronte. Dopo l’operazione Tempesta eravamo consapevoli che avremmo trovato l’inferno. Ad esempio a Smoković [villaggio che nel censimento del 2011 contava solo 110 abitanti, cioè il 10,69% degli abitanti del 1991 i quali erano al 96% serbi di Croazia, ndr] ma anche a Knin, la roccaforte della Krajina, che nel 1991 era abitata all’80% da serbi mentre dopo il ‘95 la composizione dei residenti si è completamente ribaltata [nel censimento del 2011 Knin contava 15.407 abitanti, di cui il 75% croati, ndr]. Di Knin mi ricordo una scena surreale, la messa tenuta dai frati francescani [A Knin c’è un monastero francescano, il “Franjevački samostan Sveti Ante”, ndr]. La chiesa bruciata e di cui erano rimasti in piedi solo i muri, piena di Tv straniere, i crocifissi avvolti nelle bandiere della Croazia, il Cristo in croce anch'esso bruciato con un “perizoma” fatto con la prima pagina |
del quotidiano “Slobodna Dalmacija” dedicata alla
vittoria. Ricordo le prime parole pronunciate dal prete: “Adesso
noi
siamo puliti, adesso noi siamo liberi”. Mi viene la pelle d’oca
ancora oggi nel raccontarlo, per l’orrore che mi fecero allora.
Sempre a Knin, al quartier generale delle Nazioni Unite abbiamo incontrato la field officer Maria Teresa Mauro [e membro dello “HRAT - Human Rights Action Plan” del Sector South con sede a Knin, che ha anche testimoniato al Tribunale dell'Aja, ndr], che si occupava della ricerca di persone scomparse e di recuperare i corpi delle vittime. Una persona con cui Operazione Colomba aveva già collaborato. Ricordo che in una delle sue missioni a Plavno, uno di noi è andato con lei e quando apriva i pozzi dell’acqua diceva: “Io, ormai, dall’odore capisco se sono corpi di uomini o di animali”...
Da Knin avete deciso di proseguire? Maria Teresa Mauro ci ha chiesto se potevamo andare verso Plavno, perché pensava che lì ci fossero delle persone sopravvissute e se potevamo verificare. Abbiamo deciso di provarci: lungo il tragitto, circa 20 km di strada di montagna, abbiamo incontrato numerosi posti di blocco dell’esercito e della polizia croata, superati con un po’ di diplomazia. Plavno è come un grosso lago asciutto circondato da montagne, e lungo questo anfiteatro si trovano sparsi gruppi di case, alcuni veramente poco accessibili, che nell’insieme formano il villaggio [nel censimento del 1991 contava 1.720 abitanti, nel 2011 solo 253, ndr]. All’inizio pareva non ci fosse nessuno. Invece gli abitanti si erano nascosti e pian piano, li abbiamo trovati. Dopo giorni di ricerche, abbiamo trovato 85 persone, tra i 65 e gli oltre 90 anni di età. Erano rimaste o perché non avevano avuto la forza di fuggire assieme agli altri 200mila serbi, oppure per proteggere la casa e la terra a cui erano legati, ma soprattutto per sfamare gli animali pensando che in pochi giorni tutto sarebbe tornato normale. Sono fuggiti tutti i giovani, quelli più a rischio, mentre tra i rimasti c’erano solo anziani. Purtroppo di tutti i loro animali da allevamento sono riusciti a salvarne soltanto alcuni, nascondendoli. Ricordo che al nostro arrivo a Plavno abbiamo incontrato maiali, asini, mucche e cavalli, che vagavano nella valle, molti li abbiamo trovati morti – uccisi - nelle loro stalle assieme ai cani legati alla catena. La devastazione era quasi totale, mancava la corrente elettrica, molte case erano prive di acqua, l'odore di animali morti era quasi insopportabile La maggior parte delle case era bruciata o saccheggiata di tutto. In quel momento noi non sapevamo ancora cosa fosse accaduto nei villaggi. Ma parlando con quei pochi vecchi rimasti attorno a Plavno, abbiamo capito subito che la situazione era molto grave. Ci hanno raccontato che bande di uomini in divisa, per quanto ne sapevano loro non dell’esercito ma paramilitari, passavano di villaggio in villaggio a “pulire”. Così come ci hanno raccontato che alcuni soldati dell’HV li avevano invece aiutati a nascondersi. Abbiamo
poi deciso di inoltrarci lungo la strada che costeggia il lato nord
del parco della Krka, cioè la strada che passa dai comuni di
Kistanje e Varivode, e abbiamo girato tutta la zona. Un paesaggio
lunare, di sole pietre, con semplici sterrati per raggiungere i
paesini più piccoli.
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