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La VOCE 2009 |
P R E C E D E N T E | S U C C E S S I V A |
La VOCE ANNO XXIII N°1 | settembre 2020 | PAGINA c - 27 |
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segue da pag.26: i palestinesi sono stanchi di dover dimostrare l’esistenza dell’apartheid israeliano.
un colono israeliano discute con palestinesi durante una protesta contro una nuova tenda collocata dai coloni israeliani vicino all’insediamento di pnei hever, nel villaggio di bani naem in cisgiordania il 23 giugno 2018. (wisam hashlamoun / flash90).
che dire della legge ebraica sullo stato-nazione, approvata due anni fa, che decreta che in questa terra l’autodeterminazione appartiene esclusivamente agli ebrei? o le innumerevoli leggi militari che derubano e incarcerano i civili palestinesi, mentre proteggono gli ebrei israeliani attraverso il diritto civile? mezzo secolo di insediamenti e di infrastrutture, che con il tempo hanno continuato a crescere, non dovrebbero dare l’idea che israele abbia ben poche intenzioni di rinunciare alla cisgiordania?
data l’abbondanza di “momenti” tra cui scegliere, molti palestinesi si sono stancati dell’ultima soglia artificiale che dovrebbe “dimostrare” l’esistenza dell’apartheid israeliano. invece di riconoscere ciò che i palestinesi stanno denunciando, la comunità internazionale sta guadagnando tempo aspettando che israele dichiari di non volere l’apartheid, anche se usa ogni secondo di quel tempo per mostrare il contrario. la linea di prova è stata spostata, letteralmente, dai frammenti del piano di divisione delle nazioni unite del 1947 ai piccoli bantustan delineati a gennaio nel “deal of the century” di trump. se l’annessione procede, quella linea sarà probabilmente spostata di nuovo.
la narrativa sulla presunta pietra miliare del prossimo mese non è quindi solo ingenua, ma pericolosa. se il governo israeliano dovesse fare marcia indietro o ritardare la sua spinta all’annessione, come suggeriscono alcuni rapporti, il mondo non potrà ricadere nel mito secondo cui israele si è salvato dal destino dell’apartheid. in ogni sfumatura del dominio israeliano, i palestinesi sono sempre stati solo esiliati rifugiati, soggetti occupati o cittadini di seconda classe. non c’è nulla che un’altra legge possa dirci, che decenni di leggi e di politiche non abbiano già fatto. e non c’è bisogno di aspettare che gli israeliani ammettano che il loro regime è un regime di apartheid, per dimostrare che i palestinesi hanno sempre avuto ragione.
amjad iraqi è editore e scrittore presso +972 magazine. è anche analista politico presso il think tank al-shabaka, ed è stato precedentemente coordinatore della difesa nel centro legale adalah. è un cittadino palestinese di israele, con sede a haifa.
trad: grazia parolari “contro ogn specismo, contro ogni schiavitù” invictapalestina.org.
deputati di sinistra denunciano l’ipocrisia della ue sulla questione israeliana.
“oggi il parlamento europeo condanna a voce bassa l’annessione illegale della cisgiordania, ma ieri ha approvato l’accordo sul trasporto aereo con israele. il solito ipocrita realismo geopolitico.
prensa latina agp/lla – 18 giugno 2020.
oggi alcuni deputati di sinistra hanno definito ipocrita la posizione dell’unione europea (ue) rispetto alle intenzioni di israele di annettere il territorio palestinese della cisgiordania occupata.
“oggi il parlamento europeo condanna a voce bassa l’annessione illegale della cisgiordania, ma ieri ha approvato l’accordo sul trasporto aereo con israele. i solito ipocrita realismo geopolitico. come per il sudafrica razzista, anche l’apartheid israeliano deve essere combattuto con il boicottaggio, le sanzioni e i disinvestimenti “, ha dichiarato manu pineda.
per aneta jerska del coordinamento europeo dei comitati e delle associazioni per la palestina, “questo è, sotto ogni punto di vista, l’apice dell’ipocrisia dell’ue. i cittadini europei non hanno bisogno di vedere ancora lacrime di coccodrillo dai politici che hanno eletto”, ha detto.
pineda, un membro del gruppo della sinistra unitaria europea / sinistra verde nordica (gue / ngl), ha richiesto di sospendere l’accordo di collaborazione ue-israele, di escludere il paese dai programmi di finanziamento della comunità e di vietare il commercio con gli insediamenti illegali.
sebbene apparentemente l’ue si opponga all’annessione delle terre palestinesi, con il capo della politica estera, josep borrell, che ha affermato che un tale passo “non può rimanere senza risposta”, essa ha continuato ad elargire doni ad israele, alimentando decenni di impunità e di violazioni dei diritti umani a scapito dei palestinesi, ha detto.
ha anche spiegato che la banca europea per gli investimenti ha annunciato un prestito di 150 milioni di euro a israele per la costruzione di un impianto di dissalazione, mentre quel paese saccheggia le falde acquifere e i fiumi nella cisgiordania occupata, privando intere comunità dell’accesso all’acqua e imponendo un blocco criminale a gaza che tra le conseguenze ha quella di negare il liquido vitale ai suoi due milioni di abitanti.
secondo la parlamentare clare daly, la ratifica dell’accordo potrebbe essere vista come un miglioramento delle relazioni bilaterali con il nuovo governo di coalizione in israele, che ha fissato al 1 ° luglio la data di inizio del processo per l’annessione formale di grandi aree della cisgiordania.
trad: grazia parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” –invictapalestina.org.
quattordici anni di divisione palestinese, un disastro di cui non si vede la fine.
“la riconciliazione con hamas è la prima pietra per la ricostruzione dell ‘” unità nazionale palestinese”.
redazione efe – 15 giugno 2020.
gerusalemme / gaza – quattordici anni fa, dopo settimane di feroci combattimenti tra le famiglie di gaza sostenitrici dei rivali fatah e hamas, il movimento islamista prese il controllo della striscia, dividendo la società palestinese in due e avviando un disastro politico e umano che ancora non sembra avere fine.
il sequestro del potere da parte di hamas e l’espulsione delle forze fedeli a mahmud abbas – che da allora ha governato solo su una parte della cisgiordania – determinò anche l’inizio del blocco armato israeliano sull’enclave che, in quasi tre decenni e unitamente alla divisione, ha distrutto economicamente la casa di due milioni di abitanti e una delle aree più densamente popolate del mondo.
quel giugno 2007, la tensione a gaza tra i miliziani di hamas e le forze di sicurezza ufficiali, nelle mani di fatah, raggiunse il picco: le strade delle città e dei campi profughi rimasero deserte per giorni, ad eccezione del passaggio delle pattuglie armate di entrambe le parti che controllavano gli edifici e tutti i movimenti, mentre gli unici suoni che si udivano erano il passaggio dei veicoli e i colpi di armi da fuoco.
secondo i dati del comitato internazionale della croce rossa, gli scontri fecero 116 morti e 550 feriti. le relazioni tra le due parti e tra le famiglie che ebbero delle vittime non sono state ancora ripristinate.
“furono giorni terribili”, ricorda a efe, rattristato e arrabbiato, abdelkarim ellouh, 67 anni, padre di nooh, un giovane ucciso in quei giorni dalle forze di hamas.
“se mio figlio fosse stato ucciso dagli ebrei, non sarei triste, perché sarebbe considerato un martire e un eroe. ma il fatto che sia stato ucciso da un palestinese armato, mi fa arrabbiare e mi fa impazzire. non so cosa avesse fatto mio figlio ad hamas, né perché sia stato ucciso “, spiega.
ellouh fa ancora fatica ad accettare la perdita del figlio, perdita che ha cambiato per sempre la sua vita. “da quando lui è morto, mi siedo all’ingresso della casa e ogni volta che vedo arrivare qualcuno penso sia nooh, che sta tornando”, dice.
hamas vinse le elezioni del gennaio 2006, una vittoria che fatah non voleva accettare. nel 2007 entrambi concordarono un governo di unità, che non ebbe il riconoscimento internazionale e che durò solo alcune settimane.
la famiglia di ali shakshak, del quartiere di sheikh radwan, nella capitale gaza, ricorda la morte di uno dei loro figli, ali, nel giugno 2006, per mano delle forze di hamas, ma dichiara di essere pronta alla riconciliazione.
“è stato molto doloroso per tutti , sia in famiglia che nel quartiere, e ci manca ancora”, dice il fratello maggiore hasan shakshak, prima di esprimere la sua speranza che hamas e fatah si possano sedere al tavolo dei negoziati e accettino di tornare all’unità.
dimitry diliani, leader del movimento di riforma di fatah, guidato dall’espulso mohammad dahlan, rivale di abbas, ha detto a efe che “la riconciliazione con hamas è la prima pietra per la ricostruzione dell ‘” unità nazionale palestinese”.
per lui, “rafforzare il fronte interno” è essenziale per “affrontare tutti i rischi imminenti che riguardano la questione palestinese. è molto importante, soprattutto nelle attuali circostanze, con israele che si prepara ad annettere parte del territorio palestinese occupato della cisgiordania.
i rischi per i palestinesi, dice, “sono aumentati dopo la divisione risultante dal colpo di stato di hamas contro l’autorità palestinese a gaza”.
nell’ultimo decennio sono stati condotti vari tentativi di dialogo, mediati da paesi arabi come l’egitto e il qatar, oltre che dalle nazioni unite, ed è stato firmato un accordo, che tuttavia non è stato tradotto in atti concreti , per cui il movimento islamista continua a mantenere il controllo della sicurezza e delle istituzioni a gaza, e fatah in cisgiordania.
i rappresentanti di hamas si sono rifiutati di parlare con efe della divisione e dei risultati ottenuti negli ultimi quattordici anni e si sono limitati a garantire come il movimento fosse pronto per iniziare i colloqui di riconciliazione con abbas.
“la divisione interna tra fatah e hamas ha creato due territori, due governi e due entità isolate”, ha detto a efe l’analista indipendente asad kamal, il quale crede che ogni anno il divario diventi più profondo, in quanto tutti i tentativi per superarlo falliscono.
al momento, non è nemmeno in corso un tentativo di dialogo: ogni partito governa il proprio territorio. in cisgiordania l’autorità nazionale palestinese (pna) è alle prese con una forte crisi finanziaria e ha recentemente dichiarato la fine di tutti gli accordi firmati con israele prima del piano di annessione. hamas, nel frattempo, continua a governare a gaza, dove impone rigidi controlli di sicurezza e mantiene un programma islamista.
mustafa al sawaf, analista politico vicino ad hamas, riconosce che la divisione “è un disastro che danneggia tutti i palestinesi, a tutti i livelli: sociale, politico ed economico”. e si rammarica che “oltre a soffrire per l’occupazione (israeliana), la gente ora soffre per la divisione interna”.
la scissione, aggiunge, “ha incoraggiato l’occupazione israeliana a violare i legittimi diritti dei palestinesi, a perseguire un piano per annettere parti della cisgiordania e svuotare gerusalemme dai suoi cittadini palestinesi”.
entrambe le parti riconoscono che la divisione è un disastro, la cui fine ancora non sembra essere vicina . efe.
trad: grazia parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” –invictapalestina.org.
Segue da Pag.26: I palestinesi sono stanchi di dover dimostrare l’esistenza dell’apartheid israeliano.
![]() Un colono israeliano discute con palestinesi durante una protesta contro una nuova tenda collocata dai coloni israeliani vicino all’insediamento di Pnei Hever, nel villaggio di Bani Naem in Cisgiordania il 23 giugno 2018. (Wisam Hashlamoun / Flash90) Che dire della legge ebraica sullo Stato-Nazione, approvata due anni fa, che decreta che in questa terra l’autodeterminazione appartiene esclusivamente agli ebrei? O le innumerevoli leggi militari che derubano e incarcerano i civili palestinesi, mentre proteggono gli ebrei israeliani attraverso il diritto civile? Mezzo secolo di insediamenti e di infrastrutture, che con il tempo hanno continuato a crescere, non dovrebbero dare l’idea che Israele abbia ben poche intenzioni di rinunciare alla Cisgiordania? Data l’abbondanza di “momenti” tra cui scegliere, molti palestinesi si sono stancati dell’ultima soglia artificiale che dovrebbe “dimostrare” l’esistenza dell’apartheid israeliano. Invece di riconoscere ciò che i palestinesi stanno denunciando, la comunità internazionale sta guadagnando tempo aspettando che Israele dichiari di non volere l’apartheid, anche se usa ogni secondo di quel tempo per mostrare il contrario. La linea di prova è stata spostata, letteralmente, dai frammenti del piano di divisione delle Nazioni Unite del 1947 ai piccoli Bantustan delineati a gennaio nel “Deal of the Century” di Trump. Se l’annessione procede, quella linea sarà probabilmente spostata di nuovo. La narrativa sulla presunta pietra miliare del prossimo mese non è quindi solo ingenua, ma pericolosa. Se il governo israeliano dovesse fare marcia indietro o ritardare la sua spinta all’annessione, come suggeriscono alcuni rapporti, il mondo non potrà ricadere nel mito secondo cui Israele si è salvato dal destino dell’apartheid. In ogni sfumatura del dominio israeliano, i palestinesi sono sempre stati solo esiliati rifugiati, soggetti occupati o cittadini di seconda classe. Non c’è nulla che un’altra legge possa dirci, che decenni di leggi e di politiche non abbiano già fatto. E non c’è bisogno di aspettare che gli israeliani ammettano che il loro regime è un regime di apartheid, per dimostrare che i palestinesi hanno sempre avuto ragione. ![]() Trad: Grazia Parolari “contro ogn specismo, contro ogni schiavitù” Invictapalestina.org Deputati di sinistra denunciano l’ipocrisia della UE sulla questione israeliana.![]() “Oggi il Parlamento europeo condanna a voce bassa l’annessione illegale della Cisgiordania, ma ieri ha approvato l’accordo sul trasporto aereo con Israele. Il solito ipocrita realismo geopolitico. Prensa Latina agp/lla – 18 giugno 2020 Oggi alcuni deputati di sinistra hanno definito ipocrita la posizione dell’Unione Europea (UE) rispetto alle intenzioni di Israele di annettere il territorio palestinese della Cisgiordania occupata. “Oggi il Parlamento europeo condanna a voce bassa l’annessione illegale della Cisgiordania, ma ieri ha approvato l’accordo sul trasporto aereo con Israele. I solito ipocrita realismo geopolitico. Come per il Sudafrica razzista, anche l’apartheid israeliano deve essere combattuto con il boicottaggio, le sanzioni e i disinvestimenti “, ha dichiarato Manu Pineda. Per Aneta Jerska del Coordinamento Europeo dei Comitati e delle Associazioni per la Palestina, “questo è, sotto ogni punto di vista, l’apice dell’ipocrisia dell’UE. I cittadini europei non hanno bisogno di vedere ancora lacrime di coccodrillo dai politici che hanno eletto”, ha detto. Pineda, un membro del gruppo della Sinistra Unitaria Europea / Sinistra Verde Nordica (GUE / NGL), ha richiesto di sospendere l’accordo di collaborazione UE-Israele, di escludere il Paese dai programmi di finanziamento della Comunità e di vietare il commercio con gli insediamenti illegali. Sebbene apparentemente l’UE si opponga all’annessione delle terre palestinesi, con il capo della politica estera, Josep Borrell, che ha affermato che un tale passo “non può rimanere senza risposta”, essa ha continuato ad elargire doni ad Israele, alimentando decenni di impunità e di violazioni dei diritti umani a scapito dei palestinesi, ha detto. Ha anche spiegato che la Banca europea per gli investimenti ha annunciato un prestito di 150 milioni di euro a Israele per la costruzione di un impianto di dissalazione, mentre quel Paese saccheggia le falde acquifere e i fiumi nella Cisgiordania occupata, privando intere comunità dell’accesso all’acqua e imponendo un blocco criminale a Gaza che tra le conseguenze ha quella di negare il liquido vitale ai suoi due milioni di abitanti. |
Secondo la parlamentare Clare Daly, la ratifica dell’accordo potrebbe essere vista come un miglioramento delle relazioni bilaterali con il nuovo governo di coalizione in Israele, che ha fissato al 1 ° luglio la data di inizio del processo per l’annessione formale di grandi aree della Cisgiordania.
Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” –Invictapalestina.org Quattordici anni di divisione palestinese, un disastro di cui non si vede la fine.![]() “La riconciliazione con Hamas è la prima pietra per la ricostruzione dell ‘” unità nazionale palestinese”. Redazione Efe – 15 giugno 2020 Gerusalemme / Gaza – Quattordici anni fa, dopo settimane di feroci combattimenti tra le famiglie di Gaza sostenitrici dei rivali Fatah e Hamas, il movimento islamista prese il controllo della Striscia, dividendo la società palestinese in due e avviando un disastro politico e umano che ancora non sembra avere fine. Il sequestro del potere da parte di Hamas e l’espulsione delle forze fedeli a Mahmud Abbas – che da allora ha governato solo su una parte della Cisgiordania – determinò anche l’inizio del blocco armato israeliano sull’enclave che, in quasi tre decenni e unitamente alla divisione, ha distrutto economicamente la casa di due milioni di abitanti e una delle aree più densamente popolate del mondo. Quel giugno 2007, la tensione a Gaza tra i miliziani di Hamas e le forze di sicurezza ufficiali, nelle mani di Fatah, raggiunse il picco: le strade delle città e dei campi profughi rimasero deserte per giorni, ad eccezione del passaggio delle pattuglie armate di entrambe le parti che controllavano gli edifici e tutti i movimenti, mentre gli unici suoni che si udivano erano il passaggio dei veicoli e i colpi di armi da fuoco. Secondo i dati del Comitato Internazionale della Croce Rossa, gli scontri fecero 116 morti e 550 feriti. Le relazioni tra le due parti e tra le famiglie che ebbero delle vittime non sono state ancora ripristinate. “Furono giorni terribili”, ricorda a Efe, rattristato e arrabbiato, Abdelkarim Ellouh, 67 anni, padre di Nooh, un giovane ucciso in quei giorni dalle forze di Hamas. “Se mio figlio fosse stato ucciso dagli ebrei, non sarei triste, perché sarebbe considerato un martire e un eroe. Ma il fatto che sia stato ucciso da un palestinese armato, mi fa arrabbiare e mi fa impazzire. Non so cosa avesse fatto mio figlio ad Hamas, né perché sia stato ucciso “, spiega. Ellouh fa ancora fatica ad accettare la perdita del figlio, perdita che ha cambiato per sempre la sua vita. “Da quando lui è morto, mi siedo all’ingresso della casa e ogni volta che vedo arrivare qualcuno penso sia Nooh, che sta tornando”, dice. Hamas vinse le elezioni del gennaio 2006, una vittoria che Fatah non voleva accettare. Nel 2007 entrambi concordarono un governo di unità, che non ebbe il riconoscimento internazionale e che durò solo alcune settimane. La famiglia di Ali Shakshak, del quartiere di Sheikh Radwan, nella capitale Gaza, ricorda la morte di uno dei loro figli, Ali, nel giugno 2006, per mano delle forze di Hamas, ma dichiara di essere pronta alla riconciliazione. “È stato molto doloroso per tutti , sia in famiglia che nel quartiere, e ci manca ancora”, dice il fratello maggiore Hasan Shakshak, prima di esprimere la sua speranza che Hamas e Fatah si possano sedere al tavolo dei negoziati e accettino di tornare all’unità. Dimitry Diliani, leader del movimento di riforma di Fatah, guidato dall’espulso Mohammad Dahlan, rivale di Abbas, ha detto a Efe che “la riconciliazione con Hamas è la prima pietra per la ricostruzione dell ‘” unità nazionale palestinese”. Per lui, “rafforzare il fronte interno” è essenziale per “affrontare tutti i rischi imminenti che riguardano la questione palestinese. È molto importante, soprattutto nelle attuali circostanze, con Israele che si prepara ad annettere parte del territorio palestinese occupato della Cisgiordania. I rischi per i palestinesi, dice, “sono aumentati dopo la divisione risultante dal colpo di stato di Hamas contro l’autorità palestinese a Gaza”. Nell’ultimo decennio sono stati condotti vari tentativi di dialogo, mediati da paesi arabi come l’Egitto e il Qatar, oltre che dalle Nazioni Unite, ed è stato firmato un accordo, che tuttavia non è stato tradotto in atti concreti , per cui il movimento islamista continua a mantenere il controllo della sicurezza e delle istituzioni a Gaza, e Fatah in Cisgiordania. I rappresentanti di Hamas si sono rifiutati di parlare con Efe della divisione e dei risultati ottenuti negli ultimi quattordici anni e si sono limitati a garantire come il movimento fosse pronto per iniziare i colloqui di riconciliazione con Abbas. “La divisione interna tra Fatah e Hamas ha creato due territori, due governi e due entità isolate”, ha detto a Efe l’analista indipendente Asad Kamal, il quale crede che ogni anno il divario diventi più profondo, in quanto tutti i tentativi per superarlo falliscono. Al momento, non è nemmeno in corso un tentativo di dialogo: ogni partito governa il proprio territorio. In Cisgiordania l’Autorità nazionale palestinese (PNA) è alle prese con una forte crisi finanziaria e ha recentemente dichiarato la fine di tutti gli accordi firmati con Israele prima del piano di annessione. Hamas, nel frattempo, continua a governare a Gaza, dove impone rigidi controlli di sicurezza e mantiene un programma islamista. Mustafa al Sawaf, analista politico vicino ad Hamas, riconosce che la divisione “è un disastro che danneggia tutti i palestinesi, a tutti i livelli: sociale, politico ed economico”. E si rammarica che “oltre a soffrire per l’occupazione (israeliana), la gente ora soffre per la divisione interna”. La scissione, aggiunge, “ha incoraggiato l’occupazione israeliana a violare i legittimi diritti dei palestinesi, a perseguire un piano per annettere parti della Cisgiordania e svuotare Gerusalemme dai suoi cittadini palestinesi”. Entrambe le parti riconoscono che la divisione è un disastro, la cui fine ancora non sembra essere vicina . EFE Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” –Invictapalestina.org |
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