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La VOCE 2002

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La VOCE ANNO XXII N°6

febbraio 2020

PAGINA F         - 38

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segue da pag.37: soleimani. un assassinio dalle inquietanti conseguenze. sanguinosa lotta condotta contro le forze di occupazione usa all’indomani dell’aggressione del 2003. questi non secondari dettagli vengono sistematicamente trascurati dalla grande stampa di informazione, anche se essi potrebbero aiutare ad avere una visione più equanime dei fatti. conclusioni. a parere di analisti gli effetti scaturiti dall’assassinio di una figura politicamente rilevante come qassem soleimani hanno mostrato come il crimine commesso abbia verosimilmente superato la soglia del non-ritorno circa la possibilità che in un futuro prevedibile si possano creare le condizioni per un riavviato dialogo tra gli stati uniti e la repubblica islamica. la partecipazione di folle oceaniche alle esequie di soleimani sia in iraq che in iran ha fatto rivivere i momenti successivi alla morte del fondatore della repubblica islamica ruhollah khomeyni morto nel giugno del 1989. solo allora si era visto qualcosa di simile a quel che si è osservato pochi giorni fa in iraq nelle piazze di najaf e karbala, due delle città sante dell’islam sciita, nonché successivamente in iran a ahvaz, capoluogo della turbolenta provincia iraniana a maggioranza araba, a maschad, l’unica città santa dello sciismo in iran, per poi assistere alle analoghe imponenti manifestazioni di dolore e di collera collettivi a qom, capitale religiosa del paese, a teheran ed infine a kerman, luogo di nascita e di sepoltura di qassem soleimani. l’effetto del proditorio atto di aggressione subito ha fatto dimenticare le laceranti divisioni provocate dalle manifestazioni popolari di protesta che prima in iran e poi, in maniera ancor più impattante in iraq, hanno scosso la pace sociale dei due paesi[3]. le folle strabocchevoli riversatesi nelle strade e nelle piazze dei due paesi finitimi hanno ricreato quel senso di unità e solidarietà tra teheran e baghdad sfociato nella risoluzione approvata dal parlamento iracheno con la quale si è richiesto al governo di avviare le procedure per il ritiro delle forze usa nel paese (più di 5000 uomini), colà tuttora presenti anche dopo che donald trump aveva dichiarato “la definitiva vittoria” conseguita contro l’isis. seppur di portata simbolica, la suddetta non-vincolante risoluzione parlamentare riveste tuttavia una indiscussa rilevanza politica. ma anche all’interno della galassia sciita irachena, divisa tra la componente nazionalista e quella vicina all’iran, l’assassinio di soleimani ha sortito il medesimo effetto, portando ad una unità di intenti contro un comune nemico, l’occupante usa. una figura come moqtada al sadr, ispirato alle visioni nazionaliste dell’ayatollah iracheno ali al sistani, ha ritenuto opportuno, in base a quanto appreso, ridar vita all’esercito del mahdi (mahdi army) che, all’indomani dell’aggressione americana del 2003, aveva fatto pagare un alto tributo di sangue alle forze di occupazione statunitensi. la “red line” è stata superata ed i due paesi hanno tratto da un evento segnato da dolore, rabbia e profonda umiliazione il lievito necessario per rinsaldare un legame messo a dura prova dalle difficoltà generate da un contesto internazionale iniquo e sfavorevole e da sistemi di governance giustamente contestati da masse di giovani reclamanti meno corruzione ed un modo di governare più equo ed inclusivo, come è tuttora dato di vedere nel momento di redigere queste note in presenza di manifestazioni con le quali si chiede ai governanti iraniani una maggiore trasparenza ed “accountability” nel rapporto tra le istituzioni ed una società civile, percorsa da tendenze e linee di pensiero molto frastagliate e composite. e’ utile notare come esse hanno modo in iran di estrinsecarsi liberamente in maniera impensabile in altre realtà della regione. e di questo al sistema politico vigente in quel paese occorre, riterrei, dare atto. ciò detto difficilmente si può passare sotto silenzio l’unità simbolicamente suggellata tra iran e iraq da un episodio che ha colpito più di un osservatore: ovverossia che il leader supremo iraniano alì khamenei si sia trovato a pregare attorniato dalla nomenclatura religiosa e civile del suo paese di fronte alle bare, una accanto all’altra, di soleimani e di ali mahdi muhandis, il vice-capo delle milizie sciite irachene, coperte dalle bandiere dei due paesi. in quel momento il ricordo di un conflitto tra l’iran e l’iraq durato ben otto anni (1980-1988), la più lunga guerra convenzionale dello scorso secolo, è stato simbolicamente cancellato in maniera visibile ed impattante. in conclusione non si può non condividere l’opinione espressa pochi giorni orsono dal senatore democratico usa chris murphy quando si è sentito in dovere di dichiarare che l’assassinio di soleimani nel suolo iracheno ha reso “più deboli” gli stati uniti, generando come risultato un riavvicinamento sensibile della larga maggioranza degli iraniani ai loro leader ed un contestuale riavvicinamento tra i due paesi fratelli dell’iran e dell’iraq, uniti da più di un millennio di storia, cultura e condiviso credo religioso. se poi aggiungiamo a quanto affermato dal senatore statunitense la costatazione delle conseguenze negative in termini di stabilità e sicurezza che discenderanno nella regione per gli stessi interessi americani, da questo momento indubbiamente più esposti e vulnerabili nei confronti della galassia delle formazioni sciite operanti in iraq, siria, libano, yemen ed in altri paesi anche al di fuori dello spazio medio-orientale, non possiamo non concludere da parte nostra come quanto accaduto lo scorso 3 gennaio ha costituito un’altra pagina fallimentare, l’ennesima, della politica di dominio perseguita negli ultimi decenni da washington in quella martoriata area. e ciò porterà inevitabilmente ad una accelerazione del graduale ed irreversibile declino dell’influenza americana nelle terre d’islam con le conseguenze che tale processo comporterà per l’attuale assetto del subsistema. se l’eliminazione fisica di qassem soleimani avrà come inevitabile conseguenza un indebolimento della posizione iraniana, particolarmente in siria ed anche in libano, essa contestualmente testimonia in maniera impattante le carenze in termini di strategia e di visione della potenza americana, in una crisi di credibilità e di immagine nella regione non più da dimostrare. di questo le leadership dei paesi dell’area sono ormai da qualche tempo ben consapevoli. angelo travaglini, diplomatico in pensione, membro del comitato scientifico del civg. [1] vi è da rilevare il ruolo svolto dall’ambasciata svizzera a teheran in qualità di rappresentante degli interessi usa in iran, rivelatosi prezioso negli sforzi protesi per garantire il mantenimento dei canali di contatto informali tra americani ed iraniani indispensabile nei concitati momenti successivi all’attacco dei droni usa all’aeroporto di baghdad. [2] ad est vi è l’afghanistan dove operano più di 8000 militari usa, a sud l’iran si trova di fronte alla munitissima base aerea di al-udeid in qatar e alla sede centrale della quinta flotta a bahrein con un raggio d’azione dal golfo persico all’oceano indiano, ad ovest vi è l’iraq di cui si è già parlato. il giorno dopo l’attacco all’aeroporto di baghdad il ministro degli esteri di qatar abdulrahman al thani si è recato in visita a teheran per manifestare la solidarietà del suo paese all’iran per il tragico evento del giorno prima. [3] manifestazioni studentesche hanno avuto luogo a teheran una settimana dopo l’assassinio, in occasione dell’abbattimento di un aereo di linea ucraino nei cieli iraniani, giudicato “non intenzionale”, cui hanno fatto da contraltare manifestazioni contro l’ambasciata britannica accusata di interferenze nelle succitate proteste di studenti. onestà iraniana, arroganza (e altre porcherie) statunitensi. max parry - 11 gennaio 2020. iran, 12 gennaio 2020 - quando la marina usa abbatté un aereo di linea iraniano nel 1988, l'allora vicepresidente george hw bush affermò che "gli stati uniti non si sarebero mai scusati. mai. qualsiasi cosa avessero fatto" (nella foto, il volo mh17 abbattuto nei cieli del donbass). quando il pentagono ha confermato l'assassinio del maggiore generale iraniano qasem soleimani, il presidente degli stati uniti donald trump è intervenuto sui social, esponendo solo la bandiera degli stati uniti alla venerazione dei suoi seguaci. purtroppo la maggior parte degli statunitensi ignora quale sia l’altra bandiera della politica estera usa, quella della "falsa bandiera", utilizzata per ingannare il pubblico e suscitare il sostegno alle guerre senza fine all'estero. mentre i falchi, fautori della sconsiderata decisione di trump di uccidere uno dei maggiori autori della sconfitta dell'isis, si leccavano le labbra per una possibile guerra con l'iran, il loro appetito è stato rovinato dalla rappresaglia chirurgica di teheran contro due basi statunitensi in iraq, che ha deliberatamente evitato di provocare vittime, pur attuando il.
diritto della repubblica islamica all'autodifesa, riconosciuto dall’articolo 51 della carta delle nazioni unite. nelle ore successive alla rappresaglia iraniana, è stato segnalato che un volo di linea internazionale boeing 737 in partenza da teheran per kiev, in ucraina, si era schiantato poco dopo il decollo dall'aeroporto internazionale imam khomeini, uccidendo tutti i 176 passeggeri e l'equipaggio. il primo video dello schianto del volo 752 dell'ucraina international airlines (ps752) ha mostrato che l'aereo era già in fiamme mentre cadeva al suolo, lasciando ipotizzare che potesse essere stato vittima dell’accrescersi delle tensioni militari tra iran e washington. nei giorni seguenti è apparso un secondo oscuro video che ha solo aumentato questo sospetto. questo è bastato perché i governi occidentali concludessero che un missile terra-aria antiaereo avesse fatto cadere il ps752 e fossero ansiosi di puntare il dito contro l'iran prima di qualsiasi indagine formale. molte persone, tra cui il sottoscritto, erano scettiche sul fatto che un simile errore potesse essersi verificato ben cinque ore dopo la rappresaglia iraniana contro le basi in iraq. riserve che si sono, però, rivelate errate quando, qualche giorno dopo, il corpo della guardia rivoluzionaria islamica (irgc) ha scoperto che le sue forze aerospaziali avevano commesso un "errore umano" e accidentalmente abbattuto l'aereo passeggeri, che avevano scambiato per un missile da crociera in arrivo nel momento in cui si avvicinava ad una base militare, in una situazione di elevato stato di allerta per un atteso attacco da parte degli stati uniti. molti hanno notato che l'onorevole decisione dell'iran di assumersi la responsabilità della catastrofe contrasta nettamente con le dichiarazioni di washington del 1988, quando si rese conto di non poter più nascondere che la marina usa aveva abbattuto il volo iran air 655 in viaggio da teheran a dubai sullo stretto di hormuz nel golfo persico, uccidendo tutti i 290 occupanti. e’ noto che, un mese dopo, il vicepresidente george hw bush affermò che “gli stati uniti d’america non si sarebbero mai scusati. mai. qualsiasi cosa avessero fatto”. anche se non si riferiva esplicitamente all'incidente, possiamo immaginare quali reazioni vi sarebbero state se il presidente iraniano hassan rouhani avesse detto cose analoghe dopo aver abbattuto un aereo ucraino, figuriamoci uno statunitense. com'era prevedibile, la trasparenza di teheran è stata per lo più non apprezzata, mentre l'amministrazione trump sta già cercando di usare il disastro per demonizzare ulteriormente l'iran. curiosamente, ukrainian international airlines è in parte di proprietà del famigerato oligarca ucraino-israeliano, politico e magnate dell'energia, igor kolomoisky, che è stato in particolare uno dei maggiori finanziatori del colpo di stato anti-russo e filo-ue che ha rovesciato il democraticamente eletto governo di viktor janukovic nel 2014. kolomoisky è anche il principale sostenitore dell'attuale presidente ucraino volodymyr zelensky, la cui ambigua telefonata con trump ha provocato l’avvio di una procedura di impeachment nei confronti del 45 ° presidente degli stati uniti il mese scorso. un’altra clamorosa coincidenza è che il gruppo privat di kolomoisky si dice controlli burisma holdings, la società con sede a cipro che ha incaricato il figlio del candidato alle presidenziali del 2020 joe biden, hunter, di dare una mano alla giunta golpista ucraina. l’ex vicepresidente ha riconosciuto di avere esercitato pressioni sull’ucraina, perché licenziasse il procuratore generale che stava indagando sulla corruzione di suo figlio, minacciando di trattenere un miliardo di dollari in garanzie su prestiti. kolomoisky, detto "il camaleonte", è una delle persone più ricche dell'ex stato sovietico, ed è stato nominato governatore di una regione amministrativa al confine con il donbass nell'ucraina orientale, in seguito al putsch del 2014. ha anche finanziato un battaglione di mercenari neonazisti volontari che combattevano nella guerra nel donbass contro i separatisti russofoni a fianco dell'esercito ucraino il cui sostegno militare, temporaneamente sospeso dall’amministrazione trump, è stato indecentemente subordinato all’apertura di un’inchiesta su biden e suo figlio. nel 2014, un altro infame abbattimento aereo ha riempito le prime pagine dei giornali internazionali: il volo 17 della malaysian airlines (mh17), in partenza da amsterdam verso kuala lumpur, venne abbattuto nei cieli della repubblica popolare di donetsk (dpr), in ucraina orientale, uccidendo tutti i 298 passeggeri e l'equipaggio. fin dall'inizio, l'amministrazione obama si disse convinta che il missile che aveva abbattuto il boeing 777 provenisse dal territorio ribelle separatista. tuttavia, il primo ministro malese mahathir bin mohamad espresse critiche a proposito delle accuse mosse contro i cittadini russi e ucraini nell'inchiesta aperta dalla nato, definendo l'intera indagine come un tentativo politicamente predeterminato per designare mosca quale capro espiatorio ed escludere la partecipazione malese all'inchiesta. mohamad appare nell'eccellente documentario “mh17: call for justice”, realizzato da un team di giornalisti indipendenti che contesta la “verità” della nato e rivela che il missile buk venne più probabilmente lanciato dal territorio controllato dall'esercito ucraino. responsabile avrebbe potuto perfino essere uno dei cannoni noleggiati da kolomoisky. vergognosamente, l'ammissione di colpa dell'iran per l’abbattimento del ps752 viene già strumentalizzata dai propagandisti dell'establishment per screditare quelli che, memori di eventi simili come il mh17, si erano detti scettici sulle informazioni provenienti da screditate agenzie occidentali, e ciò allo scopo di intimidire le voci dissenzienti e chiuder loro la bocca in futuro. in prima linea in questa polemica, c’è il gruppo di "giornalismo investigativo" bellingcat, che si è fatto un nome accusando mosca per la tragedia dell'mh17. bellingcat si definisce un gruppo di giornalisti "indipendenti", anche se il suo fondatore, eliot higgins, è un dipendente del think tank del consiglio atlantico, finanziato dalla nato, dal dipartimento di stato degli stati uniti, dal national endowment for democracy (ned), dalla open society foundation di george soros e da numerose altre agenzie di regime chiange. nonostante tale enorme conflitto di interessi, bellingcat continua a essere considerato da media mainstream come una fonte presumibilmente affidabile. all'inizio, quasi tutto nella tragedia del ps752 sembrava un déjà vu rispetto alla catastrofe del mh17, ivi compresi i frettolosi giudizi emessi dai governi occidentali, ed era quindi naturale che molti diffidassero di simili “verità” ufficiali e attendessero ulteriori informazioni. tutto ciò non toglie che l'uso di aerei passeggeri commerciali come bersagli di attacchi sotto falsa bandiera, da parte degli stati uniti, costituisca un fatto storico verificabile, non una "teoria del complotto". nel 1997, gli archivi nazionali statunitensi hanno declassificato una nota congiunta, del 1962, dei capi di stato maggiore e del dipartimento della difesa, diretta all'allora segretario di stato robert mcnamara dal titolo "giustificazione per l'intervento militare usa a cuba”. il documento proponeva una serie di attacchi terroristici "sotto falsa bandiera", il cui nome in codice era operation northwoods, da attuare su una serie di obiettivi e per i quali incolpare il governo cubano. essi dovevano fornire una giustificazione per una invasione di cuba, per deporre fidel castro. questi scenari includevano obiettivi anche in territorio statunitense, particolarmente a miami, in florida, diventata un paradiso per emigrati e disertori di destra cubani, dopo la rivoluzione castrista. oltre all'affondamento di una nave cubana di rifugiati, il piano northwoods prevedeva anche attacchi ad un aereo di linea civile e ad un aereo dell'aeronautica militare statunitense, da addossare al governo di castro: “8. è possibile creare un incidente che dimostri in modo convincente che un aereo cubano ha attaccato e abbattuto un aereo di linea civile in volo dagli stati uniti verso la giamaica, il guatemala, panama o il venezuela. la destinazione verrebbe scelta in funzione del fatto che esso deve sorvolare cuba. i passeggeri potrebbero essere un gruppo di studenti universitari in vacanza o qualsiasi altro gruppo di persone con un interesse comune a sostenere il noleggio di un volo non di linea. 9. è possibile creare un incidente che farà sembrare che i mig cubani comunisti abbiano distrutto un aereo militare usa su acque internazionali, in un attacco non provocato". sebbene l'operazione northwoods sia stata respinta dall'allora presidente degli stati uniti john f. kennedy, e molti ritengono che tale decisione abbia contribuito alla decisione del suo successivo assassinio, alcuni esiliati cubani supportati dall'intelligence statunitense avrebbero poi, nel decennio successivo, realizzato un attacco simile, bombardando il volo 455 della cubana airlines, nel 1976, uccidendo tutti i 73 passeggeri e l'equipaggio a bordo. nel 2005, i documenti pubblicati dal national security archive hanno dimostrato che la cia, diretta all’epoca da george hw bush, aveva una conoscenza avanzata dei piani di un'organizzazione terroristica cubana in esilio con sede nella repubblica dominicana, il coordinamento delle organizzazioni rivoluzionarie unite (coru), guidata dall’ex agente della cia luis posada carriles, per far saltare in aria l'aereo di linea. gli stati uniti in seguito si sono rifiutati di estradare carriles a cuba, il quale, sebbene non abbia mai ammesso l’abbattimento del jet, ha confessato pubblicamente altri attacchi contro hotel turistici a cuba negli anni '90 (in uno di questi rimase ucciso l'italiano fabio di celmo) e venne, in seguito, arrestato nel 2000 per aver tentato di far esplodere un auditorium a panama, in un tentativo di assassinio di castro. ..segue ./.
Segue da Pag.37: Soleimani. Un assassinio dalle inquietanti conseguenze

sanguinosa lotta condotta contro le forze di occupazione USA all’indomani dell’aggressione del 2003. Questi non secondari dettagli vengono sistematicamente trascurati dalla grande stampa di informazione, anche se essi potrebbero aiutare ad avere una visione più equanime dei fatti.

Conclusioni

A parere di analisti gli effetti scaturiti dall’assassinio di una figura politicamente rilevante come Qassem Soleimani hanno mostrato come il crimine commesso abbia verosimilmente superato la soglia del non-ritorno circa la possibilità che in un futuro prevedibile si possano creare le condizioni per un riavviato dialogo tra gli Stati Uniti e la Repubblica islamica.

La partecipazione di folle oceaniche alle esequie di Soleimani sia in Iraq che in Iran ha fatto rivivere i momenti successivi alla morte del fondatore della Repubblica islamica Ruhollah Khomeyni morto nel giugno del 1989. Solo allora si era visto qualcosa di simile a quel che si è osservato pochi giorni fa in Iraq nelle piazze di Najaf e Karbala, due delle città sante dell’Islam sciita, nonché successivamente in Iran a Ahvaz, capoluogo della turbolenta provincia iraniana a maggioranza araba, a Maschad, l’unica città santa dello sciismo in Iran, per poi assistere alle analoghe imponenti manifestazioni di dolore e di collera collettivi a Qom, capitale religiosa del Paese, a Teheran ed infine a Kerman, luogo di nascita e di sepoltura di Qassem Soleimani.

L’effetto del proditorio atto di aggressione subito ha fatto dimenticare le laceranti divisioni provocate dalle manifestazioni popolari di protesta che prima in Iran e poi, in maniera ancor più impattante in Iraq, hanno scosso la pace sociale dei due Paesi[3]. Le folle strabocchevoli riversatesi nelle strade e nelle piazze dei due Paesi finitimi hanno ricreato quel senso di unità e solidarietà tra Teheran e Baghdad sfociato nella risoluzione approvata dal Parlamento iracheno con la quale si è richiesto al Governo di avviare le procedure per il ritiro delle forze USA nel Paese (più di 5000 uomini), colà tuttora presenti anche dopo che Donald Trump aveva dichiarato “la definitiva vittoria” conseguita contro l’ISIS. Seppur di portata simbolica, la suddetta non-vincolante risoluzione parlamentare riveste tuttavia una indiscussa rilevanza politica.

Ma anche all’interno della galassia sciita irachena, divisa tra la componente nazionalista e quella vicina all’Iran, l’assassinio di Soleimani ha sortito il medesimo effetto, portando ad una unità di intenti contro un comune nemico, l’occupante USA. Una figura come Moqtada al Sadr, ispirato alle visioni nazionaliste dell’ayatollah iracheno Ali al Sistani, ha ritenuto opportuno, in base a quanto appreso, ridar vita all’Esercito del Mahdi (Mahdi Army) che, all’indomani dell’aggressione americana del 2003, aveva fatto pagare un alto tributo di sangue alle forze di occupazione statunitensi.

La “red line” è stata superata ed i due Paesi hanno tratto da un evento segnato da dolore, rabbia e profonda umiliazione il lievito necessario per rinsaldare un legame messo a dura prova dalle difficoltà generate da un contesto internazionale iniquo e sfavorevole e da sistemi di governance giustamente contestati da masse di giovani reclamanti meno corruzione ed un modo di governare più equo ed inclusivo, come è tuttora dato di vedere nel momento di redigere queste note in presenza di manifestazioni con le quali si chiede ai governanti iraniani una maggiore trasparenza ed “accountability” nel rapporto tra le istituzioni ed una società civile, percorsa da tendenze e linee di pensiero molto frastagliate e composite. E’ utile notare come esse hanno modo in Iran di estrinsecarsi liberamente in maniera impensabile in altre realtà della regione. E di questo al sistema politico vigente in quel Paese occorre, riterrei, dare atto.

Ciò detto difficilmente si può passare sotto silenzio l’unità simbolicamente suggellata tra Iran e Iraq da un episodio che ha colpito più di un osservatore: ovverossia che il Leader Supremo iraniano Alì Khamenei si sia trovato a pregare attorniato dalla nomenclatura religiosa e civile del suo Paese di fronte alle bare, una accanto all’altra, di Soleimani e di Ali Mahdi Muhandis, il vice-capo delle milizie sciite irachene, coperte dalle bandiere dei due Paesi. In quel momento il ricordo di un conflitto tra l’Iran e l’Iraq durato ben otto anni (1980-1988), la più lunga guerra convenzionale dello scorso secolo, è stato simbolicamente cancellato in maniera visibile ed impattante.

In conclusione non si può non condividere l’opinione espressa pochi giorni orsono dal Senatore democratico USA Chris Murphy quando si è sentito in dovere di dichiarare che l’assassinio di Soleimani nel suolo iracheno ha reso “più deboli” gli Stati Uniti, generando come risultato un riavvicinamento sensibile della larga maggioranza degli iraniani ai loro leader ed un contestuale riavvicinamento tra i due Paesi fratelli dell’Iran e dell’Iraq, uniti da più di un millennio di storia, cultura e condiviso credo religioso. Se poi aggiungiamo a quanto affermato dal senatore statunitense la costatazione delle conseguenze negative in termini di stabilità e sicurezza che discenderanno nella regione per gli stessi interessi americani, da questo momento indubbiamente più esposti e vulnerabili nei confronti della galassia delle formazioni sciite operanti in Iraq, Siria, Libano, Yemen ed in altri Paesi anche al di fuori dello spazio medio-orientale, non possiamo non concludere da parte nostra come quanto accaduto lo scorso 3 gennaio ha costituito un’altra pagina fallimentare, l’ennesima, della politica di dominio perseguita negli ultimi decenni da Washington in quella martoriata area. E ciò porterà inevitabilmente ad una accelerazione del graduale ed irreversibile declino dell’influenza americana nelle terre d’Islam con le conseguenze che tale processo comporterà per l’attuale assetto del subsistema.

Se l’eliminazione fisica di Qassem Soleimani avrà come inevitabile conseguenza un indebolimento della posizione iraniana, particolarmente in Siria ed anche in Libano, essa contestualmente testimonia in maniera impattante le carenze in termini di strategia e di visione della potenza americana, in una crisi di credibilità e di immagine nella regione non più da dimostrare. Di questo le leadership dei Paesi dell’area sono ormai da qualche tempo ben consapevoli.

Angelo Travaglini, diplomatico in pensione, membro del Comitato Scientifico del CIVG

[1] Vi è da rilevare il ruolo svolto dall’Ambasciata svizzera a Teheran in qualità di rappresentante degli interessi USA in Iran, rivelatosi prezioso negli sforzi protesi per garantire il mantenimento dei canali di contatto informali tra americani ed iraniani indispensabile nei concitati momenti successivi all’attacco dei droni USA all’aeroporto di Baghdad.
[2] Ad est vi è l’Afghanistan dove operano più di 8000 militari USA, a sud l’Iran si trova di fronte alla munitissima base aerea di al-Udeid in Qatar e alla sede centrale della Quinta Flotta a Bahrein con un raggio d’azione dal Golfo Persico all’Oceano Indiano, ad ovest vi è l’Iraq di cui si è già parlato. Il giorno dopo l’attacco all’aeroporto di Baghdad il Ministro degli Esteri di Qatar Abdulrahman al Thani si è recato in visita a Teheran per manifestare la solidarietà del suo Paese all’Iran per il tragico evento del giorno prima.
[3] Manifestazioni studentesche hanno avuto luogo a Teheran una settimana dopo l’assassinio, in occasione dell’abbattimento di un aereo di linea ucraino nei cieli iraniani, giudicato “non intenzionale”, cui hanno fatto da contraltare manifestazioni contro l’Ambasciata britannica accusata di interferenze nelle succitate proteste di studenti.

Onestà iraniana, arroganza (e altre porcherie) statunitensi

Max Parry - 11 gennaio 2020


Iran, 12 gennaio 2020 - Quando la marina USA abbatté un aereo di linea iraniano nel 1988, l'allora vicepresidente George HW Bush affermò che "gli Stati Uniti non si sarebero mai scusati. Mai. Qualsiasi cosa avessero fatto" (nella foto, il volo MH17 abbattuto nei cieli del Donbass)

Quando il Pentagono ha confermato l'assassinio del maggiore generale iraniano Qasem Soleimani, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump è intervenuto sui social, esponendo solo la bandiera degli Stati Uniti alla venerazione dei suoi seguaci. Purtroppo la maggior parte degli Statunitensi ignora quale sia l’altra bandiera della politica estera USA, quella della "falsa bandiera", utilizzata per ingannare il pubblico e suscitare il sostegno alle guerre senza fine all'estero. Mentre i falchi, fautori della sconsiderata decisione di Trump di uccidere uno dei maggiori autori della sconfitta dell'ISIS, si leccavano le labbra per una possibile guerra con l'Iran, il loro appetito è stato rovinato dalla rappresaglia chirurgica di Teheran contro due basi statunitensi in Iraq, che ha deliberatamente evitato di provocare vittime, pur attuando il
diritto della Repubblica islamica all'autodifesa, riconosciuto dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite.

Nelle ore successive alla rappresaglia iraniana, è stato segnalato che un volo di linea internazionale Boeing 737 in partenza da Teheran per Kiev, in Ucraina, si era schiantato poco dopo il decollo dall'aeroporto internazionale Imam Khomeini, uccidendo tutti i 176 passeggeri e l'equipaggio. Il primo video dello schianto del volo 752 dell'Ucraina International Airlines (PS752) ha mostrato che l'aereo era già in fiamme mentre cadeva al suolo, lasciando ipotizzare che potesse essere stato vittima dell’accrescersi delle tensioni militari tra Iran e Washington. Nei giorni seguenti è apparso un secondo oscuro video che ha solo aumentato questo sospetto. Questo è bastato perché i governi occidentali concludessero che un missile terra-aria antiaereo avesse fatto cadere il PS752 e fossero ansiosi di puntare il dito contro l'Iran prima di qualsiasi indagine formale. Molte persone, tra cui il sottoscritto, erano scettiche sul fatto che un simile errore potesse essersi verificato ben cinque ore dopo la rappresaglia iraniana contro le basi in Iraq.

Riserve che si sono, però, rivelate errate quando, qualche giorno dopo, il Corpo della Guardia Rivoluzionaria Islamica (IRGC) ha scoperto che le sue forze aerospaziali avevano commesso un "errore umano" e accidentalmente abbattuto l'aereo passeggeri, che avevano scambiato per un missile da crociera in arrivo nel momento in cui si avvicinava ad una base militare, in una situazione di elevato stato di allerta per un atteso attacco da parte degli Stati Uniti. Molti hanno notato che l'onorevole decisione dell'Iran di assumersi la responsabilità della catastrofe contrasta nettamente con le dichiarazioni di Washington del 1988, quando si rese conto di non poter più nascondere che la Marina USA aveva abbattuto il volo Iran Air 655 in viaggio da Teheran a Dubai sullo stretto di Hormuz nel Golfo Persico, uccidendo tutti i 290 occupanti. E’ noto che, un mese dopo, il vicepresidente George HW Bush affermò che “gli Stati Uniti d’America non si sarebbero mai scusati. Mai. Qualsiasi cosa avessero fatto”. Anche se non si riferiva esplicitamente all'incidente, possiamo immaginare quali reazioni vi sarebbero state se il presidente iraniano Hassan Rouhani avesse detto cose analoghe dopo aver abbattuto un aereo ucraino, figuriamoci uno statunitense. Com'era prevedibile, la trasparenza di Teheran è stata per lo più non apprezzata, mentre l'amministrazione Trump sta già cercando di usare il disastro per demonizzare ulteriormente l'Iran.

Curiosamente, Ukrainian International Airlines è in parte di proprietà del famigerato oligarca ucraino-israeliano, politico e magnate dell'energia, Igor Kolomoisky, che è stato in particolare uno dei maggiori finanziatori del colpo di Stato anti-russo e filo-UE che ha rovesciato il democraticamente eletto governo di Viktor Janukovic nel 2014. Kolomoisky è anche il principale sostenitore dell'attuale presidente ucraino Volodymyr Zelensky, la cui ambigua telefonata con Trump ha provocato l’avvio di una procedura di impeachment nei confronti del 45 ° presidente degli Stati Uniti il mese scorso. Un’altra clamorosa coincidenza è che il Gruppo Privat di Kolomoisky si dice controlli Burisma Holdings, la società con sede a Cipro che ha incaricato il figlio del candidato alle presidenziali del 2020 Joe Biden, Hunter, di dare una mano alla giunta golpista ucraina. L’ex vicepresidente ha riconosciuto di avere esercitato pressioni sull’Ucraina, perché licenziasse il procuratore generale che stava indagando sulla corruzione di suo figlio, minacciando di trattenere un miliardo di dollari in garanzie su prestiti.

Kolomoisky, detto "il Camaleonte", è una delle persone più ricche dell'ex Stato sovietico, ed è stato nominato governatore di una regione amministrativa al confine con il Donbass nell'Ucraina orientale, in seguito al putsch del 2014. Ha anche finanziato un battaglione di mercenari neonazisti volontari che combattevano nella guerra nel Donbass contro i separatisti russofoni a fianco dell'esercito ucraino il cui sostegno militare, temporaneamente sospeso dall’amministrazione Trump, è stato indecentemente subordinato all’apertura di un’inchiesta su Biden e suo figlio. Nel 2014, un altro infame abbattimento aereo ha riempito le prime pagine dei giornali internazionali: il volo 17 della Malaysian Airlines (MH17), in partenza da Amsterdam verso Kuala Lumpur, venne abbattuto nei cieli della Repubblica popolare di Donetsk (DPR), in Ucraina orientale, uccidendo tutti i 298 passeggeri e l'equipaggio.

Fin dall'inizio, l'amministrazione Obama si disse convinta che il missile che aveva abbattuto il Boeing 777 provenisse dal territorio ribelle separatista. Tuttavia, il primo ministro malese Mahathir bin Mohamad espresse critiche a proposito delle accuse mosse contro i cittadini russi e ucraini nell'inchiesta aperta dalla NATO, definendo l'intera indagine come un tentativo politicamente predeterminato per designare Mosca quale capro espiatorio ed escludere la partecipazione malese all'inchiesta. Mohamad appare nell'eccellente documentario “MH17: Call for Justice”, realizzato da un team di giornalisti indipendenti che contesta la “verità” della NATO e rivela che il missile Buk venne più probabilmente lanciato dal territorio controllato dall'esercito ucraino. Responsabile avrebbe potuto perfino essere uno dei cannoni noleggiati da Kolomoisky.

Vergognosamente, l'ammissione di colpa dell'Iran per l’abbattimento del PS752 viene già strumentalizzata dai propagandisti dell'establishment per screditare quelli che, memori di eventi simili come il MH17, si erano detti scettici sulle informazioni provenienti da screditate agenzie occidentali, e ciò allo scopo di intimidire le voci dissenzienti e chiuder loro la bocca in futuro. In prima linea in questa polemica, c’è il gruppo di "giornalismo investigativo" Bellingcat, che si è fatto un nome accusando Mosca per la tragedia dell'MH17. Bellingcat si definisce un gruppo di giornalisti "indipendenti", anche se il suo fondatore, Eliot Higgins, è un dipendente del think tank del Consiglio Atlantico, finanziato dalla NATO, dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, dal National Endowment for Democracy (NED), dalla Open Society Foundation di George Soros e da numerose altre agenzie di regime chiange. Nonostante tale enorme conflitto di interessi, Bellingcat continua a essere considerato da media mainstream come una fonte presumibilmente affidabile. All'inizio, quasi tutto nella tragedia del PS752 sembrava un déjà vu rispetto alla catastrofe del MH17, ivi compresi i frettolosi giudizi emessi dai governi occidentali, ed era quindi naturale che molti diffidassero di simili “verità” ufficiali e attendessero ulteriori informazioni.

Tutto ciò non toglie che l'uso di aerei passeggeri commerciali come bersagli di attacchi sotto falsa bandiera, da parte degli Stati Uniti, costituisca un fatto storico verificabile, non una "teoria del complotto". Nel 1997, gli Archivi nazionali statunitensi hanno declassificato una nota congiunta, del 1962, dei capi di stato maggiore e del Dipartimento della Difesa, diretta all'allora segretario di Stato Robert McNamara dal titolo "Giustificazione per l'intervento militare USA a Cuba”. Il documento proponeva una serie di attacchi terroristici "sotto falsa bandiera", il cui nome in codice era Operation Northwoods, da attuare su una serie di obiettivi e per i quali incolpare il governo cubano. Essi dovevano fornire una giustificazione per una invasione di Cuba, per deporre Fidel Castro. Questi scenari includevano obiettivi anche in territorio statunitense, particolarmente a Miami, in Florida, diventata un paradiso per emigrati e disertori di destra cubani, dopo la Rivoluzione castrista. Oltre all'affondamento di una nave cubana di rifugiati, il piano Northwoods prevedeva anche attacchi ad un aereo di linea civile e ad un aereo dell'Aeronautica militare statunitense, da addossare al governo di Castro:

“8. È possibile creare un incidente che dimostri in modo convincente che un aereo cubano ha attaccato e abbattuto un aereo di linea civile in volo dagli Stati Uniti verso la Giamaica, il Guatemala, Panama o il Venezuela. La destinazione verrebbe scelta in funzione del fatto che esso deve sorvolare Cuba. I passeggeri potrebbero essere un gruppo di studenti universitari in vacanza o qualsiasi altro gruppo di persone con un interesse comune a sostenere il noleggio di un volo non di linea.

9. È possibile creare un incidente che farà sembrare che i MIG cubani comunisti abbiano distrutto un aereo militare USA su acque internazionali, in un attacco non provocato".


Sebbene l'operazione Northwoods sia stata respinta dall'allora presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy, e molti ritengono che tale decisione abbia contribuito alla decisione del suo successivo assassinio, alcuni esiliati cubani supportati dall'intelligence statunitense avrebbero poi, nel decennio successivo, realizzato un attacco simile, bombardando il Volo 455 della Cubana Airlines, nel 1976, uccidendo tutti i 73 passeggeri e l'equipaggio a bordo. Nel 2005, i documenti pubblicati dal National Security Archive hanno dimostrato che la CIA, diretta all’epoca da George HW Bush, aveva una conoscenza avanzata dei piani di un'organizzazione terroristica cubana in esilio con sede nella Repubblica Dominicana, il Coordinamento delle organizzazioni rivoluzionarie unite (CORU), guidata dall’ex agente della CIA Luis Posada Carriles, per far saltare in aria l'aereo di linea. Gli Stati Uniti in seguito si sono rifiutati di estradare Carriles a Cuba, il quale, sebbene non abbia mai ammesso l’abbattimento del jet, ha confessato pubblicamente altri attacchi contro hotel turistici a Cuba negli anni '90 (in uno di questi rimase ucciso l'italiano Fabio Di Celmo) e venne, in seguito, arrestato nel 2000 per aver tentato di far esplodere un auditorium a Panama, in un tentativo di assassinio di Castro.

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