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La VOCE 1909

  P R E C E D E N T E   

    S U C C E S S I V A  


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La VOCE ANNO XXII N°1

settembre 2019

PAGINA 3         - 23

segue da pag.20: una base dell'esercito partigiano jugoslavo a gravina-altamura. apposizione del vincolo sul sito definito “ex campo profughi in loc. lama sambuco” da parte della soprintendenza. campifascisti.it: voce "campo p.g. n. 065 di gravina". barinedita.it: articolo di katia moro, 5 settembre 2015. partigianijugoslavi.it (m2011). ogni segnalazione, integrazione, informazione supplementare e proposta di collaborazione nelle ricerche è benvenuta! scrivere a: jugocoord@tiscali.it. --- per la morte di momir bulatovic. e' morto lo scorso 30 giugno per infarto, a soli 63 anni, momir bulatovic. ultimo presidente onesto del montenegro, jugoslavista e progressista convinto, mai piegatosi all'arroganza dei paesi nato. i funerali si sono tenuti martedì 2 luglio nel paese natale di rača presso podgorica. un tributo di jugocoord onlus è stato pubblicato nello spazio necrologi del quotidiano politika del 3.7.2019: in questo numero: * restaurato il cimitero partigiano internazionale di pozza. * jugocoord onlus al convegno “unione europea, nato, basi militari, la guerra in casa”. * una base dell'esercito partigiano jugoslavo a gravina-altamura. * per la morte di momir bulatovic. --- restaurato il cimitero partigiano internazionale di pozza. a pozza di acquasanta terme (ap) il 9 agosto 2019 sono state posate le nuove lapidi del cimitero partigiano internazionale, realizzate con un contributo di 8000 euro devoluti dal coordinamento nazionale per la jugoslavia onlus. grazie anche al rappresentante anpi locale, giuseppe parlamenti, è stata curata la revisione dei dati riportati sulle lapidi, verificando l'anagrafica e la corretta grafia dei nomi stranieri, sostituendo 3 nomi di caduti montenegrini in zona, precedentemente assenti, ad uno che in base alle verifiche è risultato errato (la lapide precedentemente dedicata a "vukotić dušan" – evidentemente un doppione di vujović dušan – è stata modificata con l'indicazione di 3 caduti jugoslavi in zona "dimenticati": mitrović dragoljub, vujačić kosto e vujačić rako – drago). sono quindi attualmente presenti 37 lapidi per 39 caduti, dei quali: 13 italiani. 21 jugoslavi (montenegrini). 5 altri stranieri (inglesi, greci o ciprioti). la strage nazifascista di pozza, umito e pito (11 marzo 1944) è stata descritta nel libro i partigiani jugoslavi nella resistenza italiana. la inaugurazione ufficiale del cimitero restaurato dovrebbe tenersi sabato 21 settembre 2019 alle ore 9. il giorno dopo (domenica 22 settembre alle 10), nel 76.mo anniversario della grande fuga dal "campo 64", si dovrebbe tenere invece una cerimonia alle "casermette" di colfiorito di foligno (pg). le due iniziative sono fortemente interconnesse perché la gran parte dei caduti montenegrini di pozza erano stati dapprima prigionieri a colfiorito – non a caso entrambi i siti sono inclusi nella nostra campagna rete della memoria e dell'amicizia per l'appennino centrale. su entrambe le iniziative seguiranno informazioni più dettagliate sul sito internet: http://www.cnj.it/. --- jugocoord onlus al convegno “unione europea, nato, basi militari, la guerra in casa”. report assemblea “unione europea, nato, basi militari, la guerra in casa”. un primo passo per la ripresa del dibattito sulla tendenza alla guerra interimperialista in atto. domenica 19 maggio si è svolta a pisa l’assemblea di potere al popolo! sul tema “unione europea, nato, basi militari, la guerra in casa”, aperta da giorgio cremaschi, portavoce nazionale pap. gli interventi susseguitisi durante l’intensa giornata di lavoro sono stati quelli previsti ed altri “fuori programma”, come giacomo marchetti di potere al popolo! genova sulla mobilitazione dei portuali del capoluogo ligure contro l’arrivo della nave bari yanbu carica di armi, diretta in arabia saudita per la guerra in yemen. nel pomeriggio altri interventi dal pubblico hanno animato un proficuo e interessante confronto tra esperienze e punti di vista diversi, comunemente interessati a gettare le basi di una analisi aggiornata sugli scenari economici, politici e militari che determinano una nuova, pericolosa, tendenza alla guerra da parte dei poli imperialisti occidentali (usa – ue), contrapposti alle economie di paesi una volta “emergenti” ed oggi in competizione diretta per l’egemonia dei mercati e dei continenti a livello planetario. il lavoro di ricostruzione di un fronte antimilitarista, antimperialista e pacifista che si radichi all’interno del più largo conflitto sociale nel quale siamo impegnati è, purtroppo, ai primordi nel nostro paese, nonostante gli imponenti movimenti pacifisti che hanno caratterizzato altre, recenti, epoche politiche del nostro paese. movimenti di base sicuramente genuini nella loro espressione di massa, ma portati dalle precedenti leadership “pacifinte” ad infrangersi sugli scogli delle compatibilità euro/atlantiche imposte dai governi di centro sinistra di inizio secolo. la cosiddetta ed infausta teoria della “riduzione del danno”, con la quale le sinistre “radicali” votarono a favore del rifinanziamento della guerra in afghanistan portarono prima divisione, poi alla dispersione ed infine al termine di quelle mobilitazioni. oggi siamo di fronte ad un arcipelago di realtà impegnate territorialmente nella lotta contro le basi militari e contro la guerra, a gruppi e forze politiche che agitano sporadicamente i temi dell’antimilitarismo, e tentativi di ricomposizione che non di rado sono costretti a distinguersi e scontrarsi con posizioni “geopolitiche” che propongono alleanze con l’estrema destra, sulla base dell’infausta teoria per cui “il nemico del mio nemico è mio amico”, i cosiddetti “rossobruni”, da allontanare da ogni nostro contesto di confronto e dibattito. sostanzialmente riteniamo manchi una analisi condivisa sulla attuale fase internazionale di scontro tra potenze, sulle sue radici economiche e sociali, sugli scenari presenti e futuri che questa fase di fortissima instabilità internazionale determina e determinerà. senza questa visione di insieme non abbiamo alcuna possibilità di orientare le lotte e mobilitazioni che ci aspettano, contro le prossime tappe di una “guerra mondiale a pezzi” che avvicina sempre più possibili conflagrazioni di ben più ampia dimensione. occorre ricomporre un quadro per sapere come muoverci, a partire dal nostro blocco sociale di riferimento, i lavoratori, i pensionati, i giovani che non percepiscono l’importanza della lotta contro la guerra per risolvere i propri problemi materiali, di tutti i giorni. occorre ricostruire i nessi tra la lotta di classe e lotta contro la guerra, recisi da una intelligente regia politica che ha inteso separare le legittime spinte etiche dalla vita materiale delle maggioranze, chiudendo in piccole “nicchie” i militanti nowar. l’assemblea di pisa è stato un contributo su questa strada, al quale dovranno seguirne molti altri, per rimettere al centro dell’agenda politica, anche in potere al popolo, la questione della lotta contro la guerra. scarica qui l’instant book: https://poterealpopolo. (potere al popolo! di pisa). a 20 anni dall’aggressione alla jugoslavia: una guerra costituente per l’unione europea. intervento di susanna angeleri (coordinamento nazionale per la jugoslavia onlus) al convegno “unione europea, nato, basi militari - la guerra in casa” organizzato da potere al popolo! a pisa il 19 maggio 2019 [video: https://www. ] sono passati 20 anni da quando, la notte tra il 23 e il 24 marzo 1999, per la quarta volta in un secolo sono iniziati i bombardamenti su belgrado e tutta la serbia e il montenegro. ma l’ultima guerra a questo paese che si chiamava jugoslavia non è cominciata certo quella notte. ora che sono stati declassificati molti documenti segreti usa, possiamo ricostruire molti avvenimenti. sappiamo quindi, ad esempio, che la jugoslavia era già nel mirino degli usa almeno dal 1984, quando il consiglio per la sicurezza nazionale usa elaborò una direttiva, la nsdd 133, che ne prevedeva la distruzione in quanto unità politica ed economica. il salto di qualità però avvenne nel 1989. non possiamo capire questa guerra se non la inseriamo nel quadro politico, economico e militare del dopo muro di berlino. il crollo del blocco sovietico non è stato solo una sconfitta pesante per il movimento operaio mondiale, ma, per il capitalismo occidentale e l’imperialismo usa, che in quel momento erano gli unici e incontrastati vincitori della guerra fredda, è stata l’occasione, da cogliere al balzo, per espandersi ad est dove c’erano da conquistare risorse, mercati e molto altro. si cominciarono così a costruire e a rafforzare gli strumenti necessari per questa conquista: – la unione europea di maastricht da una parte. – il nuovo concetto strategico nato a guida usa dall’altra.
per i paesi dell’est europeo, la prima, la nuova ue di maastricht, serviva e serve da specchietto per le allodole: promesse di democrazia, libertà, benessere, diritti civili. se questi in seguito si siano realizzati o si realizzeranno è chiaramente un’altra storia! la seconda, la nato, serviva e serve a tenerli attaccati al carro usa in un quadro di subordinazione gerarchica strettamente militare. per questi paesi, terre di conquista occidentale, non ci sono molte scelte tranne che quella di inglobarsi a nato e ue. non stiamo qui ad elencare la serie di provvedimenti economici, militari e psicologici messi in atto: sarebbe un altro intero capitolo. l’avanzata occidentale verso questi paesi tutto sommato è stata rapida e senza troppi scossoni. ma in mezzo, anche fisicamente, c’era la jugoslavia, che si era presentata all’appuntamento dell’ottantanove come un paese dai tratti politici ed economici peculiari: a cavallo tra est ed ovest, non solo per la sua posizione geografica, per cultura e sistema di valori, ma anche per il carattere misto della sua economia. non solo la nascente borghesia autoctona, ma anche i centri di potere occidentali reclamavano ben altro che la presenza di elementi di mercato nel sistema economico, o il pluralismo in campo politico. volevano non solo la cancellazione di ogni conquista socialista, ma la testa stessa del paese: avevano bisogno di disgregarlo in piccoli stati deboli e servili, come quelli che avevano creato nel processo di disgregazione dei paesi dell’area urss. c’era bisogno, tra l’altro, di ridisegnare la mappa geopolitica, non solo dei balcani, ma dei corridoi strategici che percorrono le pipeline da est a ovest e viceversa, occorreva una zona di sicurezza per i terminali che vanno dal mar nero all’adriatico congiungendo l’asia all’europa. in sostanza c’erano e ci sono molti interessi in ballo. non serviva più, come durante la guerra fredda, la jugoslavia come stato cuscinetto tra i due blocchi, ora che di blocchi ce n’era uno solo… e per di più, lo stesso schieramento di cui la jugoslavia era leader, quello dei paesi non allineati, fu ritenuto non solo anacronistico, ma anche pericoloso: la jugoslavia cosi come era andava dunque smantellata. la formula è sempre quella: si approfitta di una crisi economica, si cerca l’anello debole e si comincia. gli anelli deboli in quel momento: la slovenia e la croazia. i germi di un nazionalismo esclusivista e anticomunista, che avevano alimentato il movimento ustascia di ante pavelic non erano mai stati eliminati in croazia. con la crisi economica, politica e istituzionale, che negli anni ’80 attraversava la rfsj, ripresero vigore. questi sentimenti, come da prassi erano nutriti da forze esterne: la germania in primis, ma anche il vaticano. la germania vedeva nella rottura dello stato jugoslavo la possibilità di penetrare nei balcani. il 17 dicembre 1991, a maastricht, l’unità jugoslava e con essa la pace furono sacrificate per compiacere il cancelliere tedesco helmut kohl, come prezzo da pagare per l’avvio del processo di unificazione europea. questa cinica trattativa è stata raccontata da gianni de michelis, recentemente trapassato, che vi partecipò. in quel contesto la germania impose agli altri stati il riconoscimento diplomatico delle repubbliche secessioniste di slovenia e croazia. nel giro di pochi giorni prima venne il riconoscimento della germania, poi quello del vaticano e poi di tutti gli altri. possiamo dunque dire che, proprio in occasione del tanto celebrato vertice di maastricht, la jugoslavia è stata trattata da agnello sacrificale del processo di unificazione europea. a maastricht l’europa ha perso per sempre la sua presunta innocenza e ha rivelato la sua natura di carnefice. come ha ripetuto anche recentemente (a belgrado lo scorso 23 marzo) il più grande scrittore tedesco vivente, peter handke: con l’uccisione della jugoslavia è nata la ue, ma è morta l’europa stessa come valore e come ideale di progresso. il processo di disgregazione della jugoslavia si svolge in un arco di tempo abbastanza preciso che va dal 5 dicembre 1990 – quando il congresso usa approva la legge 101/513, con cui dichiara guerra alla rfsj, ordinando il finanziamento di tutte le nuove formazioni da loro ritenute “democratiche”, in realtà quelle nazionaliste e secessioniste – fino al 4 febbraio 2003 – quando il parlamento della rfj, oramai composta dalle sole serbia e montenegro, decretando la nascita di una formale quanto effimera “unione” delle due, cancella il nome della jugoslavia dalle carte geografiche dell’europa. nel mezzo, l’intero campo imperialista usa e europeo opera pesantemente per frantumare la jugoslavia, fomentando guerre intestine che vengono definite etniche, formando ministati che, per dimensione economica e militare non contano nulla e dipendono in toto dai paesi imperialisti. e arriviamo alla “questione” kosovo. a partire dal 1997 le potenze occidentali puntano al sostegno dell’uck albanese, fino a poco tempo prima nella lista nera delle organizzazioni terroriste. vogliono creare il casus belli per intervenire: per questo l’uck diventa la pedina principale della strategia imperialista, in quegli anni cresce in misura esponenziale e pratica una guerra di attentati e terrore nei confronti delle comunità serbe e rom presenti in kosovo, facendo salire il livello di scontro. obbiettivo principale è staccare il kosovo dalla serbia, anche per installare sul territorio la più grande base americana – camp bondsteel nei pressi di urosevac. non si cerca dunque una soluzione per il “conflitto etnico” in kosovo, si vogliono invece creare le condizioni per l’intervento militare della nato, colpire la rfj e in primo luogo la serbia, perché non si è piegata completamente ai voleri occidentali: non aveva accettato di diventare, come gli altri ministati, l’ennesimo ministato maggiordomo. che l’obbiettivo fosse lo smembramento ulteriore della jugoslavia attraverso il furto del kosovo, lo dimostra la trappola di rambouillet, il castello vicino a parigi, dove, per iniziativa del gruppo di contatto formato da stati uniti, gran bretagna, francia, germania, italia e russia, i rappresentanti della rfj e dei nazionalisti albanesi del kosovo furono convocati nel febbraio 1999. i due contendenti, va detto, non si incontrarono mai direttamente. a quell’incontro fu presentata una bozza di accordo che non accennava minimamente all’indipendenza del kosovo, ma solo ad una sua autonomia con un parlamento, un presidente, una costituzione e una corte costituzionale, al kosovo non era consentito coniare una propria moneta, né avere un proprio esercito, né una propria politica estera, prerogative queste della rfj. gli osservatori osce sarebbero dovuti rimanere in kosovo per un periodo di tre anni e ci sarebbe dovuto essere un ritiro non totale delle truppe serbe. al momento della firma fu però inserito un allegato, che di fatto prevedeva l’occupazione militare della rfj da parte della nato. furono poste delle condizioni talmente punitive per la serbia da costringerla a rifiutare per avere dunque il pretesto per attaccare. ormai abbiamo imparato, studiando la storia, che è piena di pretesti bellici costruiti su menzogne, falsificazioni e manipolazioni. le guerre non si scatenano mai per i motivi dichiarati, ma per ben altre ragioni e di quelle ragioni abbiamo già parlato all’inizio. in tempo di guerra muore anche la verità e la guerra alla jugoslavia è un esempio eclatante, perché ancora oggi questa verità stenta a venire fuori. sono tante e tali le menzogne ripetute all’infinito che sono entrate ormai nelle menti delle persone diventando verità, goebbels insegna. c’è una generale rimozione della vicenda jugoslava! se ci si pensa, ad oltre mezzo secolo dalla fine della seconda guerra mondiale, finita la guerra fredda, non era facile far digerire all’opinione pubblica dei paesi europei, in gran parte governati da formazioni di centro sinistra, che fare una guerra in casa, nel caso dell’italia proprio alle porte, ad un altro paese europeo fosse una cosa giusta. la campagna di menzogne contro la jugoslavia è stata sistematica e prolungata, è stata un crescendo di provocazioni e bugie. si sono inventati di tutto: cifre sparate a casaccio, montature di stragi, perfino una nuova auschwitz: quella sì una genialata pubblicitaria nel vero senso del termine, ideata dall’agenzia americana di relazioni pubbliche, la ruder&finn, ingaggiata dal leader bosniaco izebegovic, che permise di accostare i serbi ai nazisti. comincia così il coro che invoca l’ingerenza umanitaria: bisognava legittimare agli occhi dell’opinione pubblica europea la guerra, naturalmente con acrobazie strampalate, all’inizio non chiamandola nemmeno guerra, ma intervento militare umanitario, che poi diventerà guerra umanitaria semplicemente. occorreva presentare quanto avveniva in kosovo come una catastrofe umanitaria. mentre per la guerra all’iraq del ’91 avevano il “pretesto” di una decisione dell’onu, l’aggressione alla serbia non poteva appigliarsi a nemmeno un brandello di legalità internazionale: per questo, come dice andrea catone, è stato necessario ricorrere all’argomento dell’ingerenza umanitaria, e sostituire all’onu il fantasma ambiguo della “comunità internazionale” quale autentico e unico depositario della legalità internazionale. si arruolano così intellettuali e giornalisti vari per sostenere la necessità “umana” di questa guerra. qui accenno ad alcuni dei nostri giornalisti e intellettuali arruolati. sofri scrive in un articolo patetico quanto ipocrita: “ufficialmente questa non è una guerra e non deve esserlo… ufficialmente si chiama azione militare.” invece flores d’arcais, direttore di micromega vuole proprio la guerra! sulla base di ormai acclarate falsificazioni dei fatti, scrive un articolo enfatico dal titolo “a sinistra di ponzio pilato” che chiede di “far sul serio la guerra, al più presto e il più duramente possibile” (anche contro i mezzi di informazione serbi) e fustiga gli attendisti come complici dei barbari (i serbi). in quei giorni in edicola appare l’espresso, con una copertina in cui si vede la metà della faccia di hitler unita alla metà della faccia di milosevic – titolo: hitlerosevic – con cui si completa la nazistificazione della leadership serba. sorprendente norberto bobbio, il custode del diritto internazionale e della morale che scrive: la questione essenziale non è la legittimità di una determinata guerra contro milosevic, l’unica cosa che conta è se la strategia di dissuasione avrà raggiunto l’effetto che si propone. tutti con l’elmetto contro i barbari: serbi, come diceva mussolini a proposito dei popoli slavi a suo tempo. con tutte queste premesse dunque nella notte tra il 23 e 24 marzo 1999 iniziano i 78 giorni di bombardamenti terroristici nato su fabbriche, scuole, ospedali, asili, ponti e infrastrutture sull’intera serbia. l’italia fu seconda solo agli stati uniti, così si è vantato l’allora presidente del consiglio massimo d’alema, per impiego di mezzi e dando la disponibilità delle sue basi. su questa nostra prima guerra in casa c’è da dire, come scrive sergio cararo in un suo articolo su contropiano, che fu “una sorta di guerra costituente, nella quale le potenze europee, germania e francia soprattutto, non intesero lasciare tutto lo spazio di manovra agli stati uniti, per una guerra sostanzialmente alla periferia dell’europa. in questo senso l’aggressione alla jugoslavia diventerà uno spartiacque tra un prima e un dopo delle relazioni transatlantiche, la cui crisi diventerà più leggibile quattro anni dopo con lo smarcamento di francia e germania dall’invasione usa in iraq.” non mi dilungo qui a parlare del movimento per la pace perché penso che la vicenda jugoslava ne abbia messo a nudo tutte le insufficienze. anche se ci furono manifestazioni anche grandi contro quella guerra, il movimento era diviso, e penso che le cause di queste divisioni, che vanno ulteriormente indagate, ci abbiano portato fino alla disgregazione dei nostri giorni. ..segue ./.
Segue da Pag.20: Una base dell'esercito partigiano jugoslavo a Gravina-Altamura

Apposizione del vincolo sul sito definito “Ex campo profughi in loc. Lama Sambuco” da parte della Soprintendenza

campifascisti.it: voce "Campo P.G. n. 065 di Gravina"

barinedita.it: articolo di Katia Moro, 5 settembre 2015

partigianijugoslavi.it (M2011)

 

Ogni segnalazione, integrazione, informazione supplementare e proposta di collaborazione nelle ricerche è benvenuta!

Scrivere a: jugocoord@tiscali.it

--- Per la morte di Momir Bulatovic


E' morto lo scorso 30 giugno per infarto, a soli 63 anni, Momir Bulatovic. Ultimo presidente onesto del Montenegro, jugoslavista e progressista convinto, mai piegatosi all'arroganza dei paesi NATO. I funerali si sono tenuti martedì 2 luglio nel paese natale di Rača presso Podgorica. Un tributo di Jugocoord Onlus è stato pubblicato nello spazio necrologi del quotidiano Politika del 3.7.2019:


In questo numero:

* Restaurato il Cimitero Partigiano Internazionale di Pozza

* Jugocoord Onlus al Convegno “Unione Europea, NATO, basi militari, la guerra in casa”

* Una base dell'esercito partigiano jugoslavo a Gravina-Altamura

* Per la morte di Momir Bulatovic


--- Restaurato il Cimitero Partigiano Internazionale di Pozza

A Pozza di Acquasanta Terme (AP) il 9 agosto 2019 sono state posate le nuove lapidi del Cimitero Partigiano Internazionale, realizzate con un contributo di 8000 euro devoluti dal Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS

Grazie anche al rappresentante ANPI locale, Giuseppe Parlamenti, è stata curata la revisione dei dati riportati sulle lapidi, verificando l'anagrafica e la corretta grafia dei nomi stranieri, sostituendo 3 nomi di caduti montenegrini in zona, precedentemente assenti, ad uno che in base alle verifiche è risultato errato (la lapide precedentemente dedicata a "Vukotić Dušan" – evidentemente un doppione di Vujović Dušan – è stata modificata con l'indicazione di 3 caduti jugoslavi in zona "dimenticati": MITROVIĆ DRAGOLJUB, VUJAČIĆ KOSTO e VUJAČIĆ RAKO – DRAGO).

Sono quindi attualmente presenti 37 lapidi per 39 caduti, dei quali:

13 italiani
21 jugoslavi
 (montenegrini)
5 altri stranieri
 (inglesi, greci o ciprioti).

La strage nazifascista di Pozza, Umito e Pito (11 marzo 1944) è stata descritta nel libro I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana.



La inaugurazione ufficiale del cimitero restaurato dovrebbe tenersi sabato 21 settembre 2019 alle ore 9.

Il giorno dopo (domenica 22 settembre alle 10), nel 76.mo Anniversario della grande fuga dal "Campo 64", si dovrebbe tenere invece una cerimonia alle "Casermette" di Colfiorito di Foligno (PG). 
Le due iniziative sono fortemente interconnesse perché la gran parte dei caduti montenegrini di Pozza erano stati dapprima prigionieri a Colfiorito – non a caso entrambi i siti sono inclusi nella nostra campagna 
Rete della memoria e dell'amicizia per l'Appennino Centrale.

Su entrambe le iniziative seguiranno informazioni più dettagliate sul sito internet: http://www.cnj.it/



--- Jugocoord Onlus al Convegno “Unione Europea, NATO, basi militari, la guerra in casa”


Report assemblea “Unione Europea, NATO, basi militari, la guerra in casa”. 
Un primo passo per la ripresa del dibattito sulla tendenza alla guerra interimperialista in atto.

Domenica 19 maggio si è svolta a Pisa l’assemblea di Potere al Popolo! sul tema “Unione Europea, NATO, basi militari, la guerra in casa”, aperta da Giorgio Cremaschi, Portavoce nazionale PaP.
Gli interventi susseguitisi durante l’intensa giornata di lavoro sono stati quelli previsti ed altri “fuori programma”, come Giacomo Marchetti di Potere al Popolo! Genova sulla mobilitazione dei portuali del capoluogo ligure contro l’arrivo della nave Bari Yanbu carica di armi, diretta in Arabia Saudita per la guerra in Yemen. 
Nel pomeriggio altri interventi dal pubblico hanno animato un proficuo e interessante confronto tra esperienze e punti di vista diversi, comunemente interessati a gettare le basi di una analisi aggiornata sugli scenari economici, politici e militari che determinano una nuova, pericolosa, tendenza alla guerra da parte dei poli imperialisti occidentali (USA – UE), contrapposti alle economie di paesi una volta “emergenti” ed oggi in competizione diretta per l’egemonia dei mercati e dei continenti a livello planetario.
Il lavoro di ricostruzione di un fronte antimilitarista, antimperialista e pacifista che si radichi all’interno del più largo conflitto sociale nel quale siamo impegnati è, purtroppo, ai primordi nel nostro paese, nonostante gli imponenti movimenti pacifisti che hanno caratterizzato altre, recenti, epoche politiche del nostro paese. Movimenti di base sicuramente genuini nella loro espressione di massa, ma portati dalle precedenti leadership “pacifinte” ad infrangersi sugli scogli delle compatibilità euro/atlantiche imposte dai governi di centro sinistra di inizio secolo. La cosiddetta ed infausta teoria della “riduzione del danno”, con la quale le sinistre “radicali” votarono a favore del rifinanziamento della guerra in Afghanistan portarono prima divisione, poi alla dispersione ed infine al termine di quelle mobilitazioni.
Oggi siamo di fronte ad un arcipelago di realtà impegnate territorialmente nella lotta contro le basi militari e contro la guerra, a gruppi e forze politiche che agitano sporadicamente i temi dell’antimilitarismo, e tentativi di ricomposizione che non di rado sono costretti a distinguersi e scontrarsi con posizioni “geopolitiche” che propongono alleanze con l’estrema destra, sulla base dell’infausta teoria per cui “il nemico del mio nemico è mio amico”, i cosiddetti “rossobruni”, da allontanare da ogni nostro contesto di confronto e dibattito.
Sostanzialmente riteniamo manchi una analisi condivisa sulla attuale fase internazionale di scontro tra potenze, sulle sue radici economiche e sociali, sugli scenari presenti e futuri che questa fase di fortissima instabilità internazionale determina e determinerà. Senza questa visione di insieme non abbiamo alcuna possibilità di orientare le lotte e mobilitazioni che ci aspettano, contro le prossime tappe di una “guerra mondiale a pezzi” che avvicina sempre più possibili conflagrazioni di ben più ampia dimensione.
Occorre ricomporre un quadro per sapere come muoverci, a partire dal nostro blocco sociale di riferimento, i lavoratori, i pensionati, i giovani che non percepiscono l’importanza della lotta contro la guerra per risolvere i propri problemi materiali, di tutti i giorni. Occorre ricostruire i nessi tra la lotta di classe e lotta contro la guerra, recisi da una intelligente regia politica che ha inteso separare le legittime spinte etiche dalla vita materiale delle maggioranze, chiudendo in piccole “nicchie” i militanti nowar.
L’assemblea di Pisa è stato un contributo su questa strada, al quale dovranno seguirne molti altri, per rimettere al centro dell’agenda politica, anche in Potere al Popolo, la questione della lotta contro la guerra. 


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(Potere al Popolo! di Pisa)

A 20 anni dall’aggressione alla Jugoslavia: una guerra costituente per l’Unione Europea

Intervento di Susanna Angeleri (Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS) al Convegno “Unione Europea, NATO, basi militari - LA GUERRA IN CASA” organizzato da Potere al Popolo! a Pisa il 19 maggio 2019 [VIDEO: https://www. ]

  

Sono passati 20 anni da quando, la notte tra il 23 e il 24 marzo 1999, per la quarta volta in un secolo sono iniziati i bombardamenti su Belgrado e tutta la Serbia e il Montenegro.

Ma l’ultima guerra a questo paese che si chiamava Jugoslavia non è cominciata certo quella notte.

Ora che sono stati declassificati molti documenti segreti USA, possiamo ricostruire molti avvenimenti. Sappiamo quindi, ad esempio, che la Jugoslavia era già nel mirino degli USA almeno dal 1984, quando il Consiglio per la Sicurezza Nazionale USA elaborò una direttiva, la NSDD 133, che ne prevedeva la distruzione in quanto unità politica ed economica.

Il salto di qualità però avvenne nel 1989.

Non possiamo capire questa guerra se non la inseriamo nel quadro politico, economico e militare del dopo muro di Berlino.

Il crollo del blocco Sovietico non è stato solo una sconfitta pesante per il movimento operaio mondiale, ma, per il capitalismo occidentale e l’imperialismo USA, che in quel momento erano gli unici e incontrastati vincitori della guerra fredda, è stata l’occasione, da cogliere al balzo, per espandersi ad est dove c’erano da conquistare risorse, mercati e molto altro.

Si cominciarono così a costruire e a rafforzare gli strumenti necessari per questa conquista:

la Unione Europea di Maastricht da una parte

il nuovo concetto strategico NATO a guida USA dall’altra.

Per i paesi dell’Est europeo, la prima, la nuova UE di Maastricht, serviva e serve da specchietto per le allodole: promesse di democrazia, libertà, benessere, diritti civili. Se questi in seguito si siano realizzati o si realizzeranno è chiaramente un’altra storia!

La seconda, la NATO, serviva e serve a tenerli attaccati al carro USA in un quadro di subordinazione gerarchica strettamente militare.

Per questi paesi, terre di conquista occidentale, non ci sono molte scelte tranne che quella di inglobarsi a NATO e UE. Non stiamo qui ad elencare la serie di provvedimenti economici, militari e psicologici messi in atto: sarebbe un altro intero capitolo.

L’avanzata occidentale verso questi paesi tutto sommato è stata rapida e senza troppi scossoni. Ma in mezzo, anche fisicamente, c’era la Jugoslavia, che si era presentata all’appuntamento dell’Ottantanove come un paese dai tratti politici ed economici peculiari: a cavallo tra Est ed Ovest, non solo per la sua posizione geografica, per cultura e sistema di valori, ma anche per il carattere misto della sua economia. Non solo la nascente borghesia autoctona, ma anche i centri di potere occidentali reclamavano ben altro che la presenza di elementi di mercato nel sistema economico, o il pluralismo in campo politico. Volevano non solo la cancellazione di ogni conquista socialista, ma la testa stessa del paese: avevano bisogno di disgregarlo in piccoli Stati deboli e servili, come quelli che avevano creato nel processo di disgregazione dei paesi dell’area URSS.

C’era bisogno, tra l’altro, di ridisegnare la mappa geopolitica, non solo dei Balcani, ma dei corridoi strategici che percorrono le pipeline da est a ovest e viceversa, occorreva una zona di sicurezza per i terminali che vanno dal Mar Nero all’Adriatico congiungendo l’Asia all’Europa.

In sostanza c’erano e ci sono molti interessi in ballo.

Non serviva più, come durante la guerra fredda, la Jugoslavia come stato cuscinetto tra i due blocchi, ora che di blocchi ce n’era uno solo… e per di più, lo stesso schieramento di cui la Jugoslavia era leader, quello dei Paesi Non Allineati, fu ritenuto non solo anacronistico, ma anche pericoloso: la Jugoslavia cosi come era andava dunque smantellata.

La formula è sempre quella: si approfitta di una crisi economica, si cerca l’anello debole e si comincia.

Gli anelli deboli in quel momento: la Slovenia e la Croazia.

I germi di un nazionalismo esclusivista e anticomunista, che avevano alimentato il movimento Ustascia di Ante Pavelic non erano mai stati eliminati in Croazia. Con la crisi economica, politica e istituzionale, che negli anni ’80 attraversava la RFSJ, ripresero vigore. Questi sentimenti, come da prassi erano nutriti da forze esterne: la Germania in primis, ma anche il Vaticano.

La Germania vedeva nella rottura dello stato Jugoslavo la possibilità di penetrare nei Balcani.

Il 17 dicembre 1991, a Maastricht, l’unità Jugoslava e con essa la pace furono sacrificate per compiacere il cancelliere tedesco Helmut Kohl, come prezzo da pagare per l’avvio del processo di unificazione Europea.

Questa cinica trattativa è stata raccontata da Gianni de Michelis, recentemente trapassato, che vi partecipò.

In quel contesto la Germania impose agli altri stati il riconoscimento diplomatico delle Repubbliche secessioniste di Slovenia e Croazia. Nel giro di pochi giorni prima venne il riconoscimento della Germania, poi quello del Vaticano e poi di tutti gli altri.

Possiamo dunque dire che, proprio in occasione del tanto celebrato vertice di Maastricht, la Jugoslavia è stata trattata da agnello sacrificale del processo di unificazione europea.

A Maastricht l’Europa ha perso per sempre la sua presunta innocenza e ha rivelato la sua natura di carnefice.

Come ha ripetuto anche recentemente (a Belgrado lo scorso 23 marzo) il più grande scrittore tedesco vivente, Peter Handke: con l’uccisione della Jugoslavia è nata la UE, ma è morta l’Europa stessa come valore e come ideale di progresso.

Il processo di disgregazione della Jugoslavia si svolge in un arco di tempo abbastanza preciso che va dal 5 dicembre 1990 – quando il congresso USA approva la legge 101/513, con cui dichiara guerra alla RFSJ, ordinando il finanziamento di tutte le nuove formazioni da loro ritenute “democratiche”, in realtà quelle nazionaliste e secessioniste – fino al 4 febbraio 2003 – quando il parlamento della RFJ, oramai composta dalle sole Serbia e Montenegro, decretando la nascita di una formale quanto effimera “Unione” delle due, cancella il nome della Jugoslavia dalle carte geografiche dell’Europa.

Nel mezzo, l’intero campo imperialista USA e Europeo opera pesantemente per frantumare la Jugoslavia, fomentando guerre intestine che vengono definite etniche, formando ministati che, per dimensione economica e militare non contano nulla e dipendono in toto dai paesi imperialisti.

E arriviamo alla “questione” Kosovo.

A partire dal 1997 le potenze occidentali puntano al sostegno dell’UCK albanese, fino a poco tempo prima nella lista nera delle organizzazioni terroriste. Vogliono creare il casus belli per intervenire: per questo l’UCK diventa la pedina principale della strategia imperialista, in quegli anni cresce in misura esponenziale e pratica una guerra di attentati e terrore nei confronti delle comunità serbe e Rom presenti in Kosovo, facendo salire il livello di scontro. Obbiettivo principale è staccare il Kosovo dalla Serbia, anche per installare sul territorio la più grande base americana – Camp Bondsteel nei pressi di Urosevac.

Non si cerca dunque una soluzione per il “conflitto etnico” in Kosovo, si vogliono invece creare le condizioni per l’intervento militare della NATO, colpire la RFJ e in primo luogo la Serbia, perché non si è piegata completamente ai voleri occidentali: non aveva accettato di diventare, come gli altri ministati, l’ennesimo ministato maggiordomo.

Che l’obbiettivo fosse lo smembramento ulteriore della Jugoslavia attraverso il furto del Kosovo, lo dimostra la trappola di Rambouillet, il castello vicino a Parigi, dove, per iniziativa del gruppo di contatto formato da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e Russia, i rappresentanti della RFJ e dei nazionalisti albanesi del Kosovo furono convocati nel febbraio 1999. I due contendenti, va detto, non si incontrarono mai direttamente. A quell’incontro fu presentata una bozza di accordo che non accennava minimamente all’indipendenza del Kosovo, ma solo ad una sua autonomia con un parlamento, un presidente, una costituzione e una corte costituzionale, al Kosovo non era consentito coniare una propria moneta, né avere un proprio esercito, né una propria politica estera, prerogative queste della RFJ. Gli osservatori OSCE sarebbero dovuti rimanere in Kosovo per un periodo di tre anni e ci sarebbe dovuto essere un ritiro non totale delle truppe serbe.

Al momento della firma fu però inserito un allegato, che di fatto prevedeva l’occupazione militare della RFJ da parte della NATO. Furono poste delle condizioni talmente punitive per la Serbia da costringerla a rifiutare per avere dunque il pretesto per attaccare.

Ormai abbiamo imparato, studiando la storia, che è piena di pretesti bellici costruiti su menzogne, falsificazioni e manipolazioni. Le guerre non si scatenano mai per i motivi dichiarati, ma per ben altre ragioni e di quelle ragioni abbiamo già parlato all’inizio.

In tempo di guerra muore anche la verità e la guerra alla Jugoslavia è un esempio eclatante, perché ancora oggi questa verità stenta a venire fuori. Sono tante e tali le menzogne ripetute all’infinito che sono entrate ormai nelle menti delle persone diventando verità, Goebbels insegna.

C’è una generale rimozione della vicenda jugoslava!

Se ci si pensa, ad oltre mezzo secolo dalla fine della seconda guerra mondiale, finita la guerra fredda, non era facile far digerire all’opinione pubblica dei paesi europei, in gran parte governati da formazioni di centro sinistra, che fare una guerra in casa, nel caso dell’Italia proprio alle porte, ad un altro paese europeo fosse una cosa giusta.

La campagna di menzogne contro la Jugoslavia è stata sistematica e prolungata, è stata un crescendo di provocazioni e bugie. Si sono inventati di tutto: cifre sparate a casaccio, montature di stragi, perfino una nuova Auschwitz: quella sì una genialata pubblicitaria nel vero senso del termine, ideata dall’agenzia americana di relazioni pubbliche, la Ruder&Finn, ingaggiata dal leader bosniaco Izebegovic, che permise di accostare i serbi ai nazisti.

Comincia così il coro che invoca l’ingerenza umanitaria: bisognava legittimare agli occhi dell’opinione pubblica europea la guerra, naturalmente con acrobazie strampalate, all’inizio non chiamandola nemmeno guerra, ma intervento militare umanitario, che poi diventerà guerra umanitaria semplicemente. Occorreva presentare quanto avveniva in Kosovo come una catastrofe umanitaria.

Mentre per la guerra all’Iraq del ’91 avevano il “pretesto” di una decisione dell’ONU, l’aggressione alla Serbia non poteva appigliarsi a nemmeno un brandello di legalità internazionale: per questo, come dice Andrea Catone, è stato necessario ricorrere all’argomento dell’ingerenza umanitaria, e sostituire all’ONU il fantasma ambiguo della “comunità internazionale” quale autentico e unico depositario della legalità internazionale.

Si arruolano così intellettuali e giornalisti vari per sostenere la necessità “umana” di questa guerra. Qui accenno ad alcuni dei nostri giornalisti e intellettuali arruolati.

Sofri scrive in un articolo patetico quanto ipocrita:

 “ufficialmente questa non è una guerra e non deve esserlo… ufficialmente si chiama azione militare.”

Invece Flores d’Arcais, direttore di Micromega vuole proprio la guerra! Sulla base di ormai acclarate falsificazioni dei fatti, scrive un articolo enfatico dal titolo “A sinistra di Ponzio Pilato” che chiede di “far sul serio la guerra, al più presto e il più duramente possibile” (anche contro i mezzi di informazione serbi) e fustiga gli attendisti come complici dei barbari (i serbi).

In quei giorni in edicola appare l’Espresso, con una copertina in cui si vede la metà della faccia di Hitler unita alla metà della faccia di Milosevic – titolo: Hitlerosevic – con cui si completa la nazistificazione della leadership serba.

Sorprendente Norberto Bobbio, il custode del diritto internazionale e della morale che scrive: la questione essenziale non è la legittimità di una determinata guerra contro Milosevic, l’unica cosa che conta è se la strategia di dissuasione avrà raggiunto l’effetto che si propone.

Tutti con l’elmetto contro i barbari: serbi, come diceva Mussolini a proposito dei popoli slavi a suo tempo.

Con tutte queste premesse dunque nella notte tra il 23 e 24 marzo 1999 iniziano i 78 giorni di bombardamenti terroristici NATO su fabbriche, scuole, ospedali, asili, ponti e infrastrutture sull’intera Serbia.

L’Italia fu seconda solo agli Stati Uniti, così si è vantato l’allora presidente del consiglio Massimo d’Alema, per impiego di mezzi e dando la disponibilità delle sue basi.

Su questa nostra prima guerra in casa c’è da dire, come scrive Sergio Cararo in un suo articolo su Contropiano, che fu “una sorta di guerra costituente, nella quale le potenze europee, Germania e Francia soprattutto, non intesero lasciare tutto lo spazio di manovra agli Stati Uniti, per una guerra sostanzialmente alla periferia dell’Europa. In questo senso l’aggressione alla Jugoslavia diventerà uno spartiacque tra un prima e un dopo delle relazioni transatlantiche, la cui crisi diventerà più leggibile quattro anni dopo con lo smarcamento di Francia e Germania dall’invasione USA in Iraq.

Non mi dilungo qui a parlare del movimento per la pace perché penso che la vicenda Jugoslava ne abbia messo a nudo tutte le insufficienze. Anche se ci furono manifestazioni anche grandi contro quella guerra, il movimento era diviso, e penso che le cause di queste divisioni, che vanno ulteriormente indagate, ci abbiano portato fino alla disgregazione dei nostri giorni.

..segue ./.

  P R E C E D E N T E   

    S U C C E S S I V A  

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