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La VOCE 1909

  P R E C E D E N T E   

    S U C C E S S I V A  


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La VOCE ANNO XXII N°1

settembre 2019

PAGINA 2         - 22

segue da pag.21: jugocoord onlus al convegno “unione europea, nato, basi militari, la guerra in casa”. in quei giorni in edicola appare l’espresso, con una copertina in cui si vede la metà della faccia di hitler unita alla metà della faccia di milosevic – titolo: hitlerosevic – con cui si completa la nazistificazione della leadership serba. sorprendente norberto bobbio, il custode del diritto internazionale e della morale che scrive: la questione essenziale non è la legittimità di una determinata guerra contro milosevic, l’unica cosa che conta è se la strategia di dissuasione avrà raggiunto l’effetto che si propone. tutti con l’elmetto contro i barbari: serbi, come diceva mussolini a proposito dei popoli slavi a suo tempo. con tutte queste premesse dunque nella notte tra il 23 e 24 marzo 1999 iniziano i 78 giorni di bombardamenti terroristici nato su fabbriche, scuole, ospedali, asili, ponti e infrastrutture sull’intera serbia. l’italia fu seconda solo agli stati uniti, così si è vantato l’allora presidente del consiglio massimo d’alema, per impiego di mezzi e dando la disponibilità delle sue basi. su questa nostra prima guerra in casa c’è da dire, come scrive sergio cararo in un suo articolo su contropiano, che fu “una sorta di guerra costituente, nella quale le potenze europee, germania e francia soprattutto, non intesero lasciare tutto lo spazio di manovra agli stati uniti, per una guerra sostanzialmente alla periferia dell’europa. in questo senso l’aggressione alla jugoslavia diventerà uno spartiacque tra un prima e un dopo delle relazioni transatlantiche, la cui crisi diventerà più leggibile quattro anni dopo con lo smarcamento di francia e germania dall’invasione usa in iraq.” non mi dilungo qui a parlare del movimento per la pace perché penso che la vicenda jugoslava ne abbia messo a nudo tutte le insufficienze. anche se ci furono manifestazioni anche grandi contro quella guerra, il movimento era diviso, e penso che le cause di queste divisioni, che vanno ulteriormente indagate, ci abbiano portato fino alla disgregazione dei nostri giorni. non ero in italia in quel periodo, ma ricordo di quanto fossi per così dire sconcertata, quando rientravo, sentir dire da molti compagni che militavano nel movimento per la pace: “io non sto né con milosevic né con la nato”. penso proprio che questo né né sia emblematico quanto, lasciatemelo dire, vigliacco. oggi si sente dire anche “né con maduro né con gli americani”: tutto ciò è sintomo di una grave malattia che va curata al più presto, siamo già parecchio in ritardo! andrea catone, in un suo recente articolo apparso su marxventunodedicato ai vent’anni dai bombardamenti alla jugoslavia (*), sostiene, e con ragione, che la guerra del 99 “creò una nuova geografia politica di un mondo senza né ordine né legge, in cui lo spettro del diritto internazionale si aggira senza bussola tra le macerie fumanti dell’afghanistan, dell’iraq, della palestina di tutto il pianeta, in cui dopo l’11 settembre la cosiddetta ‘guerra al terrorismo’ ha preso il posto della ‘guerra umanitaria’.” c’è una differenza tra questi due concetti di guerra. la guerra umanitaria è più complessa perché ha bisogno di diverse mediazioni, non a caso è stata momentaneamente accantonata (salvo magari saltar fuori per il venezuela… ma la situazione è complicata). la guerra al terrorismo è più immediata perché chiede di essere sostenuta e accettata per difendere noi stessi da un nemico tentacolare e oscuro, e fa perciò leva sull’egoismo. vorrei concludere questo mio intervento con una frase del già citato peter handke: per me la jugoslavia era l’europa… la jugoslavia per quanto frammentata sia potuta essere, era il modello per l’europa del futuro. non l’europa come è adesso, la nostra europa in un certo senso artificiale, con le sue zone di libero scambio, ma un posto in cui nazionalità diverse vivono mischiate l’una con l’altra, specialmente come facevano i giovani in jugoslavia anche dopo la morte di tito. ecco penso che quella sia l’europa, per come io la vorrei. perciò in me l’immagine dell’europa, è stata distrutta con la distruzione della jugoslavia. (*) bombe su belgrado vent’anni dopo. all’origine delle guerre umanitarie. a cura di andrea catone e andrea martocchia. bari: marxventuno edizioni, 2019. pagine: 235 – formato: 14,5 x 21 – isbn: 978-88-909183-7-7. http://www.cnj.it/home/it/. --- una base dell'esercito partigiano jugoslavo a gravina-altamura. sulla strada statale 96 altamura-gravina di puglia, a sinistra per chi procede in direzione di gravina, si trova un’area di notevole interesse storico, popolarmente denominata “ex campo profughi”. la storia del sito è stata lunga e complessa: tra le altre cose esso fu adibito alla fine del 1943 e per circa un anno a centro di raccolta, riorganizzazione e addestramento dell'esercito popolare di liberazione della jugoslavia (novj nell'acronimo serbocroato ovvero narodno-oslobodilačka vojska jugoslavije). la storia. fonti locali attestano che già nel corso della i guerra mondiale nel sito furono tenuti prigionieri soldati dell’esercito austroungarico. nell'italia fascista, e precisamente dalla primavera del 1942 all'estate del 1943, esso entrò a far parte della rete dei campi di concentramento per prigionieri di guerra con il numero d'ordine 65 – da cui la sigla p.g.65. vi furono internati circa 9 mila soldati inglesi, sudafricani e neozelandesi, su una capienza complessiva di 12 mila posti: era il più grande campo d’italia (fonte: associazione campo 65). dopo l'8 settembre, dapprima in sordina, poi ufficialmente a seguito degli accordi intercorsi tra tito e churchill (luglio 1944), il "campo di gravina" venne destinato a centro di addestramento e inquadramento militare per gli antifascisti jugoslavi – ex prigionieri sulla penisola italiana oppure provenienti da oltre adriatico ed inviati in puglia per cure mediche o con incarichi specifici – nonché per i non-jugoslavi desiderosi di partecipare alla lotta popolare di liberazione (nob, acronimo serbocroato equivalente alla locuzione italiana "resistenza") nei balcani combattendo, inquadrati nel novj e in accordo con gli alleati, sul territorio jugoslavo contro il nemico tedesco e le forze collaborazioniste. al termine della guerra il sito divenne un centro di raccolta profughi. si trattava degli italiani rimpatriati dall’africa (tunisia, eritrea, egitto) e di quelli di istria e dalmazia. nel novembre 1950 venne reso più funzionale a quest'ultimo utilizzo, in grado di ospitare 500 civili in 60 capannoni forniti di bagni, lavabi, banco cucina, con una sezione staccata di scuola elementare e asilo infantile e una palazzina di comando (fonte: barinedita.it). fu chiuso nel 1962. la base jugoslava. il periodo "jugoslavo" del campo di gravina-altamura è ovviamente quello più importante dal nostro punto di vista, ma crediamo si possa considerare tale anche oggettivamente per gli storici, per almeno due motivi: 1) perché è quello del quale restano le tracce fisiche più preziose nel sito: veri e propri affreschi ed iscrizioni dei commissari politici jugoslavi, che descriviamo più avanti; 2) perché la sua memoria è la meno tutelata storiograficamente, come dimostra la mancata menzione nei testi italiani, specialmente di storici locali, che si occupano del sito. in quel periodo il campo "di gravina" – così definito, di solito, nelle memorie dell'epoca perché effettivamente più vicino a gravina che non ad altamura, del cui comune oggi fa parte – era un nodo fondamentale nella vasta rete di strutture militari, diplomatiche e civili jugoslave installate in puglia a seguito degli accordi tra gli alleati. una mappa (non esauriente) di tale rete è mostrata qui sopra. nella stessa città di gravina gli jugoslavi gestirono anche l'ospedale cittadino, come attestato da una lapide tuttora lì presente (cfr. i partigiani jugoslavi nella resistenza italiana). documenti d'archivio attestano che nel campo affluirono gran parte degli ex-prigionieri jugoslavi dei campi di concentramento della penisola, spesso dopo aver partecipato alla resistenza italiana con proprie formazioni (cfr. m2011), nonché ex prigionieri all'estero (africa, malta), combattenti ristabilitisi da ferite o malattia dopo le cure in ospedali pugliesi, personale militare e politico-diplomatico. parte degli jugoslavi presenti nel campo erano sloveni e croati delle zone (venezia giulia ovvero litorale sloveno, istria e quarnero) entrate a far parte del regno d'italia dopo la i guerra mondiale, perciò definiti "italiani alloglotti" dal regime fascista. non furono pochi, comunque, nemmeno gli italiani "in senso stretto", confluiti nel campo per i motivi più vari e desiderosi di essere inquadrati nel novj per ragioni ideologiche o per apprezzamento della efficacia e determinazione delle forze antifasciste jugoslave. rapporti segreti dell'esercito regio, conservati negli archivi, dimostrano che le autorità italiane erano fortemente preoccupate di tali presenze e della "propaganda" svolta dagli jugoslavi verso i cittadini italiani, non solo a gravina ma anche in altri importanti centri come monopoli, e si rifiutavano di riconoscere il carattere volontario di tali rapporti preferendo classificare quei soggetti come "prigionieri" degli jugoslavi. il numero delle presenze nel campo nei mesi oscillò con picchi superiori alle 4000 persone, e considerato il fortissimo turn-over possiamo stimare il totale in circa dieci volte tanto. tra i comandanti militari del campo si ricordano franc hocevar e milan kmet, tra le dirigenti del partito comunista (kpj) con incarichi politici (tesseramento eccetera) menzioniamo vida tomsic e vjera kovacevic. la funzione preminente del "campo di gravina" dal punto di vista militare fu la riorganizzazione delle formazioni destinate a ri-attraversare l'adriatico per combattere: è qui che vengono strutturate le ben cinque "brigate d’oltremare" (prekomorske brigade) dell’esercito popolare jugoslavo che vengono via via inviate sui fronti jugoslavi, a partire dalla fine del 1943. le attività che vengono svolte nel campo sono le più varie: corsi di lingua, di teatro, di musica (con relative performance), di guida dei veicoli (inclusi i carri armati), di uso di telefoni e ricetrasmittenti, di geografia e metereologia, di uso delle armi, artiglieria e aviazione, di infermieristica. vi si trovano tutte le strutture necessarie alla vita civile, e poiché non sono rare le donne e i bambini esistono strutture per l'assistenza familiare, classi di asilo e scolastiche. nelle foto che pubblichiamo alla pagina http://www.cnj.it/home/it/ , riprodotte dalla letteratura e memorialistica militare jugoslava citata in bibliografia (bk1967, lb1988, pr1965, k1981), vediamo alcuni momenti della vita nel campo: (1-2) militari in marcia nelle campagne vicine e dentro al campo (3) corsi.
militari per le soldatesse (4) collaborazione con i militari inglesi nell'organizzazione dei corsi di lingua (5-6) corsi per infermiere con esercitazioni pratiche (7) materiali per i corsi di lingua slovena (8) corsi di teatro (9) il coro partigiano. cosa rimane. alcune straordinarie testimonianze della fase "jugoslava" del campo sono tuttora visibili all'interno della baracca in muratura meglio conservata, quella in cui sopravvive una copertura (tetto a doppio spiovente). su due archi interni a caratteri cubitali sono tuttora leggibili gli slogan inneggianti alla lotta di liberazione e all’alleanza antifascista: smrt fašizmu sloboda narodu ("morte al fascismo libertà al popolo", in lingua serbocroata) e ziveli nasi zavezniki sssr-anglija-amerika ("viva i nostri alleati urss-inghilterra-america", in uno sloveno un po' imperfetto). nella sala in cui appare la prima iscrizione (foto da 1 a 18 a pagina http://www.cnj.it/home/it/ ) alla destra dell'arco sono presenti numerose tracce pittoriche parzialmente interpretabili. nel muro che affaccia all'esterno sono presenti due vani-finestra, di cui uno murato; al di sopra di essi una scritta in stampatello viola apparentemente recita "partizanski kotišek", cioè (in lingua slovena) "cantuccio partigiano" o "angoletto partigiano". alla sinistra di essa un affresco rappresenta una figura a cavallo, che apparentemente brandisce una spada; al di sotto si legge un'altra scritta in corsivo: "prosveti ...". ai due angoli è possibile ancora consultare due carte geografiche dipinte sui muri: l’una raffigura il fronte orientale ovvero l'unione sovietica (si leggono molti toponimi tra cui "stalingrad"), l’altra riguarda lo scenario adriatico e comprende anche l’italia. sopra a quest'ultima mappa si nota un affresco con quattro bandiere – inglese, jugoslava, sovietica e statunitense – fra loro unite. altri affreschi sono a malapena leggibili o di fatto sbiaditi. nel 2017 jugocoord onlus, nell'ambito delle attività sollecitate dagli autori del testo i partigiani jugoslavi nella resistenza italiana, ed attualmente ricondotte alla campagna "rete della memoria e dell'amicizia per l'appennino centrale", ha commissionato la realizzazione di immagini ad alta risoluzione degli ambienti e degli affreschi di cui sopra. le iniziative intraprese e la situazione attuale. fino ad alcuni anni fa il sito afferiva al demanio militare, oggi appartiene al comune di altamura. e' accatastato al foglio 152, particella 668, sub 1. se la servitù militare ha lungamente impedito l’indagine storica, essa ha però consentito la parziale protezione del sito con l'interdizione all'accesso. quando il complesso è passato al comune di altamura, la sua stessa posizione decentrata e difficilmente controllabile, considerate anche le scarse conoscenze sul significato storico dell'area, lo ha esposto a seri danni determinati da abbandono e degrado. all'area si accede oggi liberamente. l'edificio più imponente è l'ex sede del comando, davanti alla quale si notano i resti di una fontana; per molte centinaia di metri nell'intorno ci si perde in una campagna spoglia, costellata da poche strutture in muratura, e l'occhio può spaziare per molti chilometri nel suggestivo panorama delle murge. sulla destra si trovano i ruderi di sole tre baracche di forma rettangolare allungata. due di esse sono totalmente o parzialmente prive di tetto e tutte e tre sono prive di chiusure, pertanto esposte sia ad agenti atmosferici sia soprattutto ad eventuali fenomeni di vandalismo (di matrice comune o anche ideologica, data la presenza di elementi riconducibili all’esercito partigiano jugoslavo). in effetti, all’interno è possibile constatare rifiuti e segni di frequentazione umana (coperte, bottiglie), mentre dappertutto si notano calcinacci. il pericolo di crollo, causato dal degrado, è evidenziabile soprattutto per le due baracche prive di soffitto. il 1 febbraio 2017 lo studioso prof. gaetano colantuono, coautore de i partigiani jugoslavi nella resistenza italiana, inviava una relazione-esposto alla soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di bari barletta-andria-trani e foggia per segnalare il sito e chiedere la apposizione di vincolo monumentale. da questa spinta iniziale, e da successivi incontri e scambi di corrispondenza, dopo alcuni mesi è derivata la lodevole decisione da parte della soprintendenza di apporre il vincolo sul sito definito “ex campo profughi in loc. lama sambuco”. il 21 marzo 2017 lo stesso colantuono inviava notizia anche al comune di altamura nella persona del sindaco giacinto forte. dopo il commissariamento dell'amministrazione, seguiva una nuova lettera in data 28 agosto 2017, indirizzata alla dott.ssa rachele grandolfo commissario prefettizio del comune, per sollecitare azioni di tutela. alcune proposte. in data 20 dicembre 2018 per conto di jugocoord onlus la dott.ssa rosa d'amico, storica dell'arte ex funzionaria della soprintendenza per i beni storici e artistici di bologna e membro del comitato scientifico-artistico della stessa onlus, scriveva alla neo-sindaca di altamura rosa melodia sottolineando come il sito meriterebbe di essere valorizzato da parte del comune che ne è il proprietario, "in accordo con i comuni limitrofi, e segnatamente quello di gravina, che potrebbero dimostrarsi interessati. tale valorizzazione potrebbe portare a uno sviluppo non solo conoscitivo dell’area e della sua storia, ma anche alla crescita di un possibile turismo curioso e interessato, dando inoltre un incentivo anche all’ utilizzo da parte della cittadinanza dello spazio circostante. per avviare un percorso virtuoso che conduca a risultati positivi, dovranno programmarsi interventi preliminari (a brevissimo termine) destinati alla messa in sicurezza dell’area, impedendo l’ingresso di estranei, e alla pulizia. in una fase più avanzata (medio-lungo termine) ci si dovrà dedicare al restauro dei reperti rilevanti e alla sistemazione degli immobili dal punto di vista strutturale, visto lo stato deteriorato delle murature e delle coperture – interventi indispensabili per poter ipotizzare destinazioni successive. si comprendono bene le difficoltà che un comune può incontrare quando si tratta di erogare sia pur limitati finanziamenti, ma la restituzione dell’agibilità degli edifici potrebbe portare un significativo ritorno, anche perché la struttura recuperata potrebbe essere utilizzata non solo come contenitore storico ma anche come luogo di attività differenziate (allestimenti museali, incontri, convegni, proiezioni di immagini e documentari, piccole mostre temporanee, esposizione di manufatti locali…). tali attività potrebbero coinvolgere diversi soggetti: dai comuni interessati per ragioni storiche (luoghi della resistenza, e spec. con presenza jugoslava/novj, in territorio pugliese) o di vicinanza geografica, a provincia e regione; dalle scuole del territorio a università e istituti di storia contemporanea come l’ipsaic; da associazioni antifasciste e di amicizia internazionale come la nostra o l’anpi fino ad associazioni ed enti diversi, di promozione culturale e turistica, attivi in un territorio ricco di presenze culturali e naturalistiche. la zona in cui si trova il complesso potrebbe essere rivalutata infatti anche nei suoi aspetti naturali, dandole la funzione di parco pubblico. si potrebbe insomma costruire una rete come quella che ad esempio nel veneto ha coinvolto i diversi luoghi interessati dagli eventi della prima guerra mondiale, anche collocati al di fuori dei centri abitati. il coordinamento nazionale per la jugoslavia onlus, che qui rappresento nella veste di membro del comitato scientifico-artistico, mette a disposizione dei possibili progetti futuri le competenze presenti al suo interno, per eventuali consulenze e sostegno al percorso che si vorrà individuare: questo potrà includere anche momenti di gemellaggio con altre realtà, con possibile allargamento a livello internazionale." la dimensione internazionale è effettivamente quella più consona ad inquadrare un sito simile, anche perché la documentazione necessaria a ricostruirne le vicende storiche si trova non solo negli archivi italiani ma anche in quelli, ad esempio, di belgrado e di londra. gli studiosi interessati a queste ricerche possono contattarci, anche per indicazioni sulla assegnazione di tesi sull'argomento. a cura di andrea martocchia. fonti . bibliografiche: [bk1967] r. butorović, a. klun: tretja prekomorska brigada [la terza brigata d'oltremare]. nova gorica, knjizica nov in pos 25-ii, 1967. [c2012] gaetano colantuono: la presenza di partigiani jugoslavi nella puglia centrale 1943-1945. il caso del comune di grumo appula. in “italia contemporanea” 266 (2012), pp. 43-65. [k1981] albert klun: brigada bratstva in enotnosti. ljubljana, partizanska knjiga, 1981 . [kv1967] a. klun, s. vilhar: prva in druga prekomorkoska brigada [prima e seconda brigata d’oltremare]. nova gorica, knjizica nov in pos 25-i, 1967. [lb1988] cita lovrenčič-bole: prekomorke. ljubljana: borec / koper: lipa, 1988. [m1963] sergije makiedo: prva partizanska misija. beograd, sedma sila, 1963. [m2011] andrea martocchia e altri: i partigiani jugoslavi nella resistenza italiana. storie e memorie di una vicenda ignorata. roma, odradek edizioni, 2011. [p1983] john phillips: jugoslovenska priča. belgrade, jugoslavenska revija, 1983. [pr1965] --: prekomorci. oris zgodovine prekomorkoskih brigad in drugih prekomorkoskih enot novj[combattenti d’oltremare. compendio storico della brigata e di altre unità d’oltremare dell’eplj]. ljubljana, 1965. internet (ordine cronologico inverso): associazione campo 65 - prigionieri di guerre (altamura). ..segue ./.
Segue da Pag.21: Jugocoord Onlus al Convegno “Unione Europea, NATO, basi militari, la guerra in casa”

In quei giorni in edicola appare l’Espresso, con una copertina in cui si vede la metà della faccia di Hitler unita alla metà della faccia di Milosevic – titolo: 

Hitlerosevic – con cui si completa la nazistificazione della leadership serba.

Sorprendente Norberto Bobbio, il custode del diritto internazionale e della morale che scrive: la questione essenziale non è la legittimità di una determinata guerra contro Milosevic, l’unica cosa che conta è se la strategia di dissuasione avrà raggiunto l’effetto che si propone.

Tutti con l’elmetto contro i barbari: serbi, come diceva Mussolini a proposito dei popoli slavi a suo tempo.

Con tutte queste premesse dunque nella notte tra il 23 e 24 marzo 1999 iniziano i 78 giorni di bombardamenti terroristici NATO su fabbriche, scuole, ospedali, asili, ponti e infrastrutture sull’intera Serbia.

L’Italia fu seconda solo agli Stati Uniti, così si è vantato l’allora presidente del consiglio Massimo d’Alema, per impiego di mezzi e dando la disponibilità delle sue basi.

Su questa nostra prima guerra in casa c’è da dire, come scrive Sergio Cararo in un suo articolo su Contropiano, che fu “una sorta di guerra costituente, nella quale le potenze europee, Germania e Francia soprattutto, non intesero lasciare tutto lo spazio di manovra agli Stati Uniti, per una guerra sostanzialmente alla periferia dell’Europa. In questo senso l’aggressione alla Jugoslavia diventerà uno spartiacque tra un prima e un dopo delle relazioni transatlantiche, la cui crisi diventerà più leggibile quattro anni dopo con lo smarcamento di Francia e Germania dall’invasione USA in Iraq.

Non mi dilungo qui a parlare del movimento per la pace perché penso che la vicenda Jugoslava ne abbia messo a nudo tutte le insufficienze. Anche se ci furono manifestazioni anche grandi contro quella guerra, il movimento era diviso, e penso che le cause di queste divisioni, che vanno ulteriormente indagate, ci abbiano portato fino alla disgregazione dei nostri giorni.

Non ero in Italia in quel periodo, ma ricordo di quanto fossi per così dire sconcertata, quando rientravo, sentir dire da molti compagni che militavano nel movimento per la pace: “Io non sto né con Milosevic né con la NATO”. Penso proprio che questo né né sia emblematico quanto, lasciatemelo dire, vigliacco. Oggi si sente dire anche “né con Maduro né con gli americani”: tutto ciò è sintomo di una grave malattia che va curata al più presto, siamo già parecchio in ritardo!

Andrea Catone, in un suo recente articolo apparso su MarxVentunodedicato ai vent’anni dai bombardamenti alla Jugoslavia (*), sostiene, e con ragione, che la guerra del 99 “creò una nuova geografia politica di un mondo senza né ordine né legge, in cui lo spettro del diritto internazionale si aggira senza bussola tra le macerie fumanti dell’Afghanistan, dell’Iraq, della Palestina di tutto il pianeta, in cui dopo l’11 Settembre la cosiddetta ‘guerra al terrorismo’ ha preso il posto della ‘guerra umanitaria’.

C’è una differenza tra questi due concetti di guerra.

La guerra umanitaria è più complessa perché ha bisogno di diverse mediazioni, non a caso è stata momentaneamente accantonata (salvo magari saltar fuori per il Venezuela… ma la situazione è complicata).

La guerra al terrorismo è più immediata perché chiede di essere sostenuta e accettata per difendere noi stessi da un nemico tentacolare e oscuro, e fa perciò leva sull’egoismo.

Vorrei concludere questo mio intervento con una frase del già citato Peter Handke:

Per me la Jugoslavia era l’Europa… la Jugoslavia per quanto frammentata sia potuta essere, era il modello per l’Europa del futuro. Non l’Europa come è adesso, la nostra Europa in un certo senso artificiale, con le sue zone di libero scambio, ma un posto in cui nazionalità diverse vivono mischiate l’una con l’altra, specialmente come facevano i giovani in Jugoslavia anche dopo la morte di Tito. Ecco penso che quella sia l’Europa, per come io la vorrei. Perciò in me l’immagine dell’Europa, è stata distrutta con la distruzione della Jugoslavia.

 

(*) Bombe su Belgrado vent’anni dopo. All’origine delle guerre umanitarie

A cura di Andrea Catone e Andrea Martocchia. Bari: MarxVentuno Edizioni, 2019

Pagine: 235 – Formato: 14,5 x 21 – ISBN: 978-88-909183-7-7

http://www.cnj.it/home/it/



--- Una base dell'esercito partigiano jugoslavo a Gravina-Altamura


Sulla strada statale 96 Altamura-Gravina di Puglia, a sinistra per chi procede in direzione di Gravina, si trova un’area di notevole interesse storico, popolarmente denominata “ex campo profughi”. La storia del sito è stata lunga e complessa: tra le altre cose esso fu adibito alla fine del 1943 e per circa un anno a centro di raccolta, riorganizzazione e addestramento dell'Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia (NOVJ nell'acronimo serbocroato ovvero Narodno-Oslobodilačka Vojska Jugoslavije).



LA STORIA

Fonti locali attestano che già nel corso della I Guerra Mondiale nel sito furono tenuti prigionieri soldati dell’esercito austroungarico.

Nell'Italia fascista, e precisamente dalla primavera del 1942 all'estate del 1943, esso entrò a far parte della rete dei campi di concentramento per prigionieri di guerra con il numero d'ordine 65 – da cui la sigla P.G.65. Vi furono internati circa 9 mila soldati inglesi, sudafricani e neozelandesi, su una capienza complessiva di 12 mila posti: era il più grande campo d’Italia (fonte: Associazione Campo 65).

Dopo l'8 Settembre, dapprima in sordina, poi ufficialmente a seguito degli accordi intercorsi tra Tito e Churchill (luglio 1944), il "campo di Gravina" venne destinato a centro di addestramento e inquadramento militare per gli antifascisti jugoslavi – ex prigionieri sulla Penisola italiana oppure provenienti da oltre Adriatico ed inviati in Puglia per cure mediche o con incarichi specifici – nonché per i non-jugoslavi desiderosi di partecipare alla Lotta Popolare di Liberazione (NOB, acronimo serbocroato equivalente alla locuzione italiana "Resistenza") nei Balcani combattendo, inquadrati nel NOVJ e in accordo con gli Alleati, sul territorio jugoslavo contro il nemico tedesco e le forze collaborazioniste. 

Al termine della guerra il sito divenne un centro di raccolta profughi. Si trattava degli italiani rimpatriati dall’Africa (Tunisia, Eritrea, Egitto) e di quelli di Istria e Dalmazia. Nel novembre 1950 venne reso più funzionale a quest'ultimo utilizzo, in grado di ospitare 500 civili in 60 capannoni forniti di bagni, lavabi, banco cucina, con una sezione staccata di scuola elementare e asilo infantile e una palazzina di comando (fonte: barinedita.it). Fu chiuso nel 1962.

 

LA BASE JUGOSLAVA

Il periodo "jugoslavo" del campo di Gravina-Altamura è ovviamente quello più importante dal nostro punto di vista, ma crediamo si possa considerare tale anche oggettivamente per gli storici, per almeno due motivi: 1) perché è quello del quale restano le tracce fisiche più preziose nel sito: veri e propri affreschi ed iscrizioni dei commissari politici jugoslavi, che descriviamo più avanti; 2) perché la sua memoria è la meno tutelata storiograficamente, come dimostra la mancata menzione nei testi italiani, specialmente di storici locali, che si occupano del sito.



In quel periodo il campo "di Gravina" – così definito, di solito, nelle memorie dell'epoca perché effettivamente più vicino a Gravina che non ad Altamura, del cui Comune oggi fa parte – era un nodo fondamentale nella vasta rete di strutture militari, diplomatiche e civili jugoslave installate in Puglia a seguito degli accordi tra gli Alleati. Una mappa (non esauriente) di tale rete è mostrata qui sopra. Nella stessa città di Gravina gli jugoslavi gestirono anche l'Ospedale cittadino, come attestato da una lapide tuttora lì presente (cfr. I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana).

Documenti d'archivio attestano che nel campo affluirono gran parte degli ex-prigionieri jugoslavi dei campi di concentramento della Penisola, spesso dopo aver partecipato alla Resistenza italiana con proprie formazioni (cfr. M2011), nonché ex prigionieri all'estero (Africa, Malta), combattenti ristabilitisi da ferite o malattia dopo le cure in ospedali pugliesi, personale militare e politico-diplomatico.

Parte degli jugoslavi presenti nel campo erano sloveni e croati delle zone (Venezia Giulia ovvero Litorale sloveno, Istria e Quarnero) entrate a far parte del regno d'Italia dopo la I Guerra Mondiale, perciò definiti "italiani alloglotti" dal regime fascista. Non furono pochi, comunque, nemmeno gli italiani "in senso stretto", confluiti nel campo per i motivi più vari e desiderosi di essere inquadrati nel NOVJ per ragioni ideologiche o per apprezzamento della efficacia e determinazione delle forze antifasciste jugoslave. Rapporti segreti dell'esercito regio, conservati negli archivi, dimostrano che le autorità italiane erano fortemente preoccupate di tali presenze e della "propaganda" svolta dagli jugoslavi verso i cittadini italiani, non solo a Gravina ma anche in altri importanti centri come Monopoli, e si rifiutavano di riconoscere il carattere volontario di tali rapporti preferendo classificare quei soggetti come "prigionieri" degli jugoslavi. 

Il numero delle presenze nel campo nei mesi oscillò con picchi superiori alle 4000 persone, e considerato il fortissimo turn-over possiamo stimare il totale in circa dieci volte tanto. Tra i comandanti militari del campo si ricordano Franc Hocevar e Milan Kmet, tra le dirigenti del Partito Comunista (KPJ) con incarichi politici (tesseramento eccetera) menzioniamo Vida Tomsic e Vjera Kovacevic.

La funzione preminente del "campo di Gravina" dal punto di vista militare fu la riorganizzazione delle formazioni destinate a ri-attraversare l'Adriatico per combattere: è qui che vengono strutturate le ben cinque "Brigate d’Oltremare" (Prekomorske Brigade) dell’Esercito popolare jugoslavo che vengono via via inviate sui fronti jugoslavi, a partire dalla fine del 1943.

Le attività che vengono svolte nel campo sono le più varie: corsi di lingua, di teatro, di musica (con relative performance), di guida dei veicoli (inclusi i carri armati), di uso di telefoni e ricetrasmittenti, di geografia e metereologia, di uso delle armi, artiglieria e aviazione, di infermieristica. Vi si trovano tutte le strutture necessarie alla vita civile, e poiché non sono rare le donne e i bambini esistono strutture per l'assistenza familiare, classi di asilo e scolastiche. 

Nelle foto che pubblichiamo alla pagina http://www.cnj.it/home/it/ , riprodotte dalla letteratura e memorialistica militare jugoslava citata in Bibliografia (BK1967, LB1988, PR1965, K1981), vediamo alcuni momenti della vita nel campo: (1-2) militari in marcia nelle campagne vicine e dentro al campo (3) corsi

militari per le soldatesse (4) collaborazione con i militari inglesi nell'organizzazione dei corsi di lingua (5-6) corsi per infermiere con esercitazioni pratiche (7) materiali per i corsi di lingua slovena (8) corsi di teatro (9) il coro partigiano.



COSA RIMANE

Alcune straordinarie testimonianze della fase "jugoslava" del campo sono tuttora visibili all'interno della baracca in muratura meglio conservata, quella in cui sopravvive una copertura (tetto a doppio spiovente). Su due archi interni a caratteri cubitali sono tuttora leggibili gli slogan inneggianti alla lotta di liberazione e all’alleanza antifascista: SMRT FAŠIZMU SLOBODA NARODU ("Morte al fascismo libertà al popolo", in lingua serbocroata) e ZIVELI NASI ZAVEZNIKI SSSR-ANGLIJA-AMERIKA ("Viva i nostri alleati URSS-Inghilterra-America", in uno sloveno un po' imperfetto). 

Nella sala in cui appare la prima iscrizione (foto da 1 a 18 a pagina http://www.cnj.it/home/it/ ) alla destra dell'arco sono presenti numerose tracce pittoriche parzialmente interpretabili. Nel muro che affaccia all'esterno sono presenti due vani-finestra, di cui uno murato; al di sopra di essi una scritta in stampatello viola apparentemente recita "PARTIZANSKI KOTIŠEK", cioè (in lingua slovena) "cantuccio partigiano" o "angoletto partigiano". Alla sinistra di essa un affresco rappresenta una figura a cavallo, che apparentemente brandisce una spada; al di sotto si legge un'altra scritta in corsivo: "PROSVETI ...". Ai due angoli è possibile ancora consultare due carte geografiche dipinte sui muri: l’una raffigura il fronte orientale ovvero l'Unione Sovietica (si leggono molti toponimi tra cui "Stalingrad"), l’altra riguarda lo scenario adriatico e comprende anche l’Italia. Sopra a quest'ultima mappa si nota un affresco con quattro bandiere – inglese, jugoslava, sovietica e statunitense – fra loro unite. Altri affreschi sono a malapena leggibili o di fatto sbiaditi.

Nel 2017 Jugocoord Onlus, nell'ambito delle attività sollecitate dagli autori del testo I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana, ed attualmente ricondotte alla campagna "Rete della memoria e dell'amicizia per l'Appennino centrale", ha commissionato la realizzazione di immagini ad alta risoluzione degli ambienti e degli affreschi di cui sopra. 



LE INIZIATIVE INTRAPRESE E LA SITUAZIONE ATTUALE

Fino ad alcuni anni fa il sito afferiva al Demanio Militare, oggi appartiene al Comune di Altamura. E' accatastato al foglio 152, particella 668, sub 1.

Se la servitù militare ha lungamente impedito l’indagine storica, essa ha però consentito la parziale protezione del sito con l'interdizione all'accesso. Quando il complesso è passato al Comune di Altamura, la sua stessa posizione decentrata e difficilmente controllabile, considerate anche le scarse conoscenze sul significato storico dell'area, lo ha esposto a seri danni determinati da abbandono e degrado.

All'area si accede oggi liberamente. L'edificio più imponente è l'ex sede del Comando, davanti alla quale si notano i resti di una fontana; per molte centinaia di metri nell'intorno ci si perde in una campagna spoglia, costellata da poche strutture in muratura, e l'occhio può spaziare per molti chilometri nel suggestivo panorama delle Murge. Sulla destra si trovano i ruderi di sole tre baracche di forma rettangolare allungata. Due di esse sono totalmente o parzialmente prive di tetto e tutte e tre sono prive di chiusure, pertanto esposte sia ad agenti atmosferici sia soprattutto ad eventuali fenomeni di vandalismo (di matrice comune o anche ideologica, data la presenza di elementi riconducibili all’esercito partigiano jugoslavo). In effetti, all’interno è possibile constatare rifiuti e segni di frequentazione umana (coperte, bottiglie), mentre dappertutto si notano calcinacci. Il pericolo di crollo, causato dal degrado, è evidenziabile soprattutto per le due baracche prive di soffitto.

Il 1 febbraio 2017 lo studioso prof. Gaetano Colantuono, coautore de I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana, inviava una Relazione-esposto alla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Bari Barletta-Andria-Trani e Foggia per segnalare il sito e chiedere la apposizione di vincolo monumentale. Da questa spinta iniziale, e da successivi incontri e scambi di corrispondenza, dopo alcuni mesi è derivata la lodevole decisione da parte della Soprintendenza di apporre il vincolo sul sito definito “Ex campo profughi in loc. Lama Sambuco”.

Il 21 marzo 2017 lo stesso Colantuono inviava notizia anche al Comune di Altamura nella persona del Sindaco Giacinto Forte. Dopo il commissariamento dell'amministrazione, seguiva una nuova lettera in data 28 agosto 2017, indirizzata alla dott.ssa Rachele Grandolfo Commissario prefettizio del Comune, per sollecitare azioni di tutela. 



ALCUNE PROPOSTE

In data 20 dicembre 2018 per conto di Jugocoord Onlus la dott.ssa Rosa D'Amico, storica dell'Arte ex funzionaria della Soprintendenza per i beni storici e artistici di Bologna e membro del Comitato Scientifico-Artistico della stessa Onlus, scriveva alla neo-Sindaca di Altamura Rosa Melodia sottolineando come il sito meriterebbe di essere valorizzato da parte del Comune che ne è il proprietario, "in accordo con i Comuni limitrofi, e segnatamente quello di Gravina, che potrebbero dimostrarsi interessati. Tale valorizzazione potrebbe portare a uno sviluppo non solo conoscitivo dell’area e della sua storia, ma anche alla crescita di un possibile turismo curioso e interessato, dando inoltre un incentivo anche all’ utilizzo da parte della cittadinanza dello spazio circostante. Per avviare un percorso virtuoso che conduca a risultati positivi, dovranno programmarsi interventi preliminari (a brevissimo termine) destinati alla messa in sicurezza dell’area, impedendo l’ingresso di estranei, e alla pulizia.
In una fase più avanzata (medio-lungo termine) ci si dovrà dedicare al 
restauro dei reperti rilevanti e alla sistemazione degli immobili dal punto di vista strutturale, visto lo stato deteriorato delle murature e delle coperture – interventi indispensabili per poter ipotizzare destinazioni successive. Si comprendono bene le difficoltà che un Comune può incontrare quando si tratta di erogare sia pur limitati finanziamenti, ma la restituzione dell’agibilità degli edifici potrebbe portare un significativo ritorno, anche perché la struttura recuperata potrebbe essere utilizzata non solo come contenitore storico ma anche come luogo di attività differenziate (allestimenti museali, incontri, convegni, proiezioni di immagini e documentari, piccole mostre temporanee, esposizione di manufatti locali…). Tali attività potrebbero coinvolgere diversi soggetti: dai Comuni interessati per ragioni storiche (luoghi della Resistenza, e spec. con presenza jugoslava/NOVJ, in territorio pugliese) o di vicinanza geografica, a Provincia e Regione; dalle scuole del territorio a Università e istituti di Storia contemporanea come l’IPSAIC; da associazioni antifasciste e di amicizia internazionale come la nostra o l’ANPI fino ad associazioni ed enti diversi, di promozione culturale e turistica, attivi in un territorio ricco di presenze culturali e naturalistiche. La zona in cui si trova il complesso potrebbe essere rivalutata infatti anche nei suoi aspetti naturali, dandole la funzione di parco pubblico. Si potrebbe insomma costruire una rete come quella che ad esempio nel Veneto ha coinvolto i diversi luoghi interessati dagli eventi della Prima Guerra Mondiale, anche collocati al di fuori dei centri abitati. Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS, che qui rappresento nella veste di membro del Comitato Scientifico-Artistico, mette a disposizione dei possibili progetti futuri le competenze presenti al suo interno, per eventuali consulenze e sostegno al percorso che si vorrà individuare: questo potrà includere anche momenti di gemellaggio con altre realtà, con possibile allargamento a livello internazionale."

La dimensione internazionale è effettivamente quella più consona ad inquadrare un sito simile, anche perché la documentazione necessaria a ricostruirne le vicende storiche si trova non solo negli archivi italiani ma anche in quelli, ad esempio, di Belgrado e di Londra. Gli studiosi interessati a queste ricerche possono contattarci, anche per indicazioni sulla assegnazione di Tesi sull'argomento.

 

A cura di Andrea Martocchia

Fonti 

bibliografiche:

[BK1967] R. Butorović, A. Klun: Tretja Prekomorska Brigada [La terza Brigata d'Oltremare]. Nova Gorica, Knjizica NOV in POS 25-II, 1967

[C2012] Gaetano Colantuono: La presenza di partigiani jugoslavi nella Puglia centrale 1943-1945. Il caso del comune di Grumo Appula. In “Italia contemporanea” 266 (2012), pp. 43-65

[K1981] Albert Klun: Brigada Bratstva in Enotnosti. Ljubljana, Partizanska Knjiga, 1981 

[KV1967] A. Klun, S. Vilhar: Prva in Druga Prekomorkoska Brigada [Prima e Seconda Brigata d’Oltremare]. Nova Gorica, Knjizica NOV in POS 25-I, 1967

[LB1988] Cita Lovrenčič-Bole: Prekomorke. Ljubljana: Borec / Koper: Lipa, 1988

[M1963] Sergije Makiedo: Prva partizanska misija. Beograd, Sedma sila, 1963

[M2011] Andrea Martocchia e altri: I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana. Storie e memorie di una vicenda ignorata. Roma, Odradek Edizioni, 2011

[P1983] John Phillips: Jugoslovenska priča. Belgrade, Jugoslavenska revija, 1983

[PR1965] --: Prekomorci. Oris zgodovine prekomorkoskih brigad in drugih prekomorkoskih enot NOVJ[Combattenti d’Oltremare. Compendio storico della Brigata e di altre unità d’Oltremare dell’EPLJ]. Ljubljana, 1965

internet (ordine cronologico inverso):

Associazione Campo 65 - Prigionieri di GuerrE (Altamura)

..segue ./.

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