Gli Stati Uniti hanno avviato il ritiro delle truppe dal nord-est della Siria controllato dai curdi
"Abbiamo sconfitto l'Isis, non c'è motivo per restare", ha scritto il presidente Trump su Twitter, ma il Pentagono e la Difesa sono contrari per il rischio di rappresaglie turche sugli alleati curdi e per la presenza iraniana nel Paese
19 dicembre 2018/Repubblica
Gli Stati Uniti hanno avviato il ritiro delle loro truppe dal nord-est della Siria, una mossa che Trump aveva in mente da tempo ma che era stata sempre avversata dal Pentagono e dalla Difesa per le conseguenze che potrebbe avere sugli alleati curdi e sulla presenza iraniana nel Paese. La notizia era stata anticipata dai media americani, tra cui il Washington Post e il New York Times, ma poi è stato lo stesso presidente sul suo profilo Twitter a evocare il possibile ritiro dal Paese.
"Abbiamo sconfitto l'Isis in Siria, per me l'unico motivo di restare lì durante la presidenza Trump", ha scritto il numero uno della Casa Bianca senza precisare però se il ritiro avverrà davvero ed entro quando.
Poco dopo la dichiarazione di Trump, la responsabile stampa della Casa Bianca Sarah Huckabee Sanders ha confermato l'inizio del ritiro: "Abbiamo iniziato a riportare a casa le truppe degli Stati Uniti mentre passiamo alla fase successiva di questa campagna", si legge nella dichiarazione ufficiale.
"Cinque anni fa, l'Isis era una forza molto potente e pericolosa in Medio Oriente, e ora gli Stati Uniti hanno sconfitto il califfato territoriale", ha detto Sanders. "Queste vittorie sull'Isis in Siria non segnano la fine della Global Coalition o la sua campagna".
Sanders ha aggiunto che gli Stati Uniti e i loro alleati "continueranno a lavorare insieme per negare il territorio dei terroristi islamici radicali, i finanziamenti, il sostegno e ogni mezzo per infiltrarsi nei nostri confini".
La contrarietà del Pentagono e dei militari
Nell'area le truppe americane contano su circa duemila soldati, una buona parte sono uomini delle forze speciali incaricati di dare la caccia ai leader dello Stato Islamico mentre le forze regolari sostengono i curdi che hanno combattutto e sconfitto l'Isis sul terreno.
Nello scorso aprile Trump aveva già annunciato di volersi disimpegnare dal teatro siriano, ma aveva incontrato le resistenze del Pentagono e della Difesa, preoccupati delle possibili ripercussioni sugli alleati curdi, esposti alle rappresaglie della Turchia, e per la presenza iraniana nel Paese: con il ritiro degli americani Teheran. alleata di Assad, avrebbe campo libero in Siria.
Anche questa volta i militari non sono d'accordo con Trump, i giornali americani dicono che il Pentagono avrebbe cercato di dissuadere il presidente che però sembra ormai intenzionato a portare avanti la sua decisione. L'esercito americano avrebbe infatti già informato i suoi alleati nella regione di voler iniziare "immediatamente" le operazioni di ritiro delle truppe.
A ottobre il consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton aveva assicurato che gli Stati Uniti avrebbero mantenuto la loro presenza militare nella regione fino a quando le forze iraniane non avessero lasciato la Siria.
Il «ritiro» di Trump sulla pelle dei combattenti curdi del Rojava
Alberto Negri - Il Manifesto - EDIZIONE DEL 22.12.2018 -PUBBLICATO 21.12.2018
Quando il gioco si fa duro – politicamente serio – Trump se ne va da Siria e Afghanistan mollando al loro destino gli alleati curdi e il fragile governo di Kabul, assediato da talebani e affiliati dell’Isis. La sua è una modesta realpolitik: caricare la doppietta a salve sperando che riportare le truppe a casa e l’isolazionismo siano carte buone per vincere un secondo mandato.
Sullo sfondo però non c’è la fine dei conflitti nel Medio Oriente allargato ma loro prosecuzione con la «privatizzazione» delle guerre attraverso i “contractors”, cioè i mercenari: era già accaduto in Iraq dopo il ritiro Usa nel 2011 e avviene già oggi in Siria e nella ex roccaforte del Califfato a Raqqa.
L’obiettivo in Siria, oltre a vendere i Patriot a Erdogan, è riportare la Turchia nell’alveo della Nato, senza per altro riuscire a staccarla da Mosca e da Teheran (l’altro ieri Erdogan ha incontrato Rohani ad Ankara). In Afghanistan, dopo 17 anni di guerra, torna in gioco il Pakistan, che sostenne negli anni’90 l’ascesa dell’Emirato del Mullah Omar e proteggeva il fondatore di Al Qaeda, Osama bin Laden. Gli Stati Uniti, dopo essere stati ai ferri corti sia con Ankara che con Islamabad, al punto di imporre sanzioni finanziarie, tornano a puntare sui vecchi alleati ma a spese di coloro che il jihadismo lo hanno combattuto davvero.
I SOVRANISTI americani sono tra i principali traditori dei curdi, sia oggi come in passato. Ma non tradiscono soltanto loro: la Federazione della Siria del Nord, il Rojava, è uno dei pochi esperimenti, sia pure assai complicato, di convivenza tra curdi e arabi, oltre che rappresentare il tentativo di insediare in Medio Oriente un modello di governo locale laico, democratico e di sinistra che punta all’emancipazione delle donne e delle minoranze.
L’Occidente così rinuncia a fare l’Occidente: la Francia di Macron, insieme agli Usa nella coalizione anti-Isis, vorrebbe proteggere i curdi ma l’Europa resta sotto il ricatto, ben pagato dall’Unione, di Erdogan sui profughi siriani mentre Donald Trump ha pure la sfacciataggine di dichiarare vittoria, emulando i suoi predecessori, tra i quali Obama che nel 2011 lasciò l’Iraq al suo destino.
Dopo avere dato alla Turchia via libera nel cantone di Afrin, con il consenso della Russia di Vladimir Putin, adesso sui curdi siriani si rovescerà addosso l’apparato militare e l’aviazione di Erdogan che ha l’obiettivo di controllare 600 chilometri di confine con un’ampia «fascia di sicurezza» dentro al territorio siriano.
Non è un’amara novità: i curdi sono stati traditi con regolarità dai loro alleati a ogni tornante della storia.
Il primo a illuderli, in epoca contemporanea, fu il segretario di stato Henry Kissinger che negli anni Settanta incoraggiò la ribellione dei curdi iracheni perché allora Baghdad si opponeva a un accordo sulle frontiere con l’Iran dello Shah Reza Palhevi, alleato di ferro di Washington e investito del ruolo di guardiano del Golfo.
QUANDO L’IRAQ, proprio con Saddam Hussein, allora vicepresidente, firmò l’intesa di Algeri nel 1975 sul confine dello Shatt el Arab, gli americani abbandonarono i curdi al loro destino. Non servivano più.
Una replica ci fu nel1988 quando Saddam lanciò i gas contro i curdi uccidendo nell’area di Halabja almeno cinquemila persone. Nessuno disse nulla perché il raìs iracheno combatteva con il sostegno dell’Occidente e delle monarchie del Golfo contro la repubblica islamica dell’Imam Khomeini.
Lo stesso accadde negli anni Novanta. Dopo la guerra del Golfo del 1991 per la riconquista del Kuwait invaso dagli iracheni, il presidente Usa George Bush senior lanciò un appello ai curdi e agli sciiti affinchè si sollevassero contro il dittatore. Ma anche allora i curdi, così come le popolazioni del Sud, vennero massacrati.
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Il destino dei curdi, oltre venti milioni divisi tra Turchia, Ira, Siria e Iran, è sempre stato in bilico e mai è stata attuata la promessa di uno stato curdo, previsto con lo smembramento dell’Impero ottomano dal tratto di Sèvres del 1920 e cancellato tre anni dopo da quello di Losanna per la strenua opposizione di Kemal Ataturk.
NELL’ANATOLIA del Sud Est _ coì Ankara chiama il Kurdistan _ i turchi si sono sempre opposti a ogni forma di autogoverno e la reazione negli anni Ottanta è stata la guerriglia e il terrorismo del Pkk di Abdullah Ocalan. Quando nel febbraio 2015 fu raggiunto un accordo di pacificazione tra il Pkk e Ankara il primo a violarlo è stato proprio Erdogan che nell’estate di quell’anno, dopo avere subito una battuta d’arresto elettorale con l’entrata in parlamento, per la prima volta, del partito curdo Hdp, lanciò una pesante offensiva contro i curdi distruggendo intere città e villaggi.
Più realisticamente i curdi siriani si sono posti come obiettivo di avere una loro regione autonoma nel Rojava. Questa autonomia se la sono guadagnata sul campo combattendo strenuamente da Kobane in poi contro l’Isis. Qui in Occidente sono stati acclamati come eroi e gli americani si sono serviti dei curdi siriani per combattere il Califfato fino a espugnare Raqqa, la capitale di Abu Baqr al Baghadi. Ma adesso Trump sceglie il terrorismo di stato di Ankara a coloro che hanno combattuto un duello mortale contro i jihadisti.
di Mauro Gemma* *post Facebook del 23/12/2018- Notizia del: 23/12/2018
"Trump (in accordo con le subdole Russia, Iran e il dittatore Assad) abbandona i curdi (che si erano messi con solerzia al servizio degli Stati Uniti) al loro tragico destino".
Questo è il ritornello che in continuazione (con la consulenza di paludati esperti a libro paga) ci recitano, in perfetta sintonia con i falchi democratici e repubblicani, i militari USA e ai loro alleati dell'Unione Europea, le reti Rai, quelle private, Repubblica, Corriere, La Stampa, ecc. Lo stesso ritornello viene cantato insistentemente da il Manifesto e numerosi siti della "sinistra che più a sinistra non si può".
Ma davvero non c'è qualcosa che non funziona in questa eclettica compagnia? Che, guarda caso, al momento buono balla tutta al suono dell'orchestra imperialista.
Compagni dalla memoria corta, ricordate quando il Manifesto uscì con il titolo "Rivoluzione d'Ottobre", nel momento in cui l'imperialismo, un anno dopo la criminale aggressione alla Jugoslavia, provocava la caduta di Milosevic, condannandolo a morte?
Non è solo stupidità la vostra, quando, al momento di prendere posizione, siete sempre schierati dalla parte sbagliata. sempre contro gli interessi dei popoli aggrediti dall'imperialismo. No, la vostra è vera e propria complicità con le peggiori imprese criminali dell'imperialismo. Mascherata da ipocrisia vergognosa. Vedere "compagni" che invocano gli imperialisti USA perché non ritirino le truppe dalle regioni in cui hanno provocato morte e devastazione, conculcando le ragioni di popoli sovrani, è solo uno dei tanti segnali di un' indecente deriva, ormai inarrestabile.
Ben detto Mauro Gemma! Ben detto nell'articolo che compare sotto sull'Antidiplomatico!
Ci manca solo che, mentre ai tempi della guerra del Vietnam gridavamo "Yankee Go Home!", adesso ci mettiamo a gridare:"Please Yankee, don't go away!" Vincenzo Brandi
Anche i colombiani Camilo Echeverry, Carlos Vives, Orlando "El Cholo" Valderrama, Fonseca, Gusi, Jorge Villamizar, Juanes, Maluma, Santiago Cruz e Silvestre Dangond.
Oltre ai venezuelani Carlos Baute, Chyno Miranda, Danny Ocean, Jorge Glem, José Luis Rodríguez, "el Puma"; Lele Pons, Nacho, Reynaldo Armas, Reymar Perdomo, Ricardo Montaner e il duo Mau e Ricky.
(Traduzione de l'AntiDiplomatico) - Fonte: Resumen Latinoamericano Notizia del: 23/02/2019
Il ministro degli Esteri russo ha espresso fiducia che "il ritiro degli Stati Uniti dalla Siria, se avverrà, avrà un impatto positivo" sul processo di pace nel paese arabo.
Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha annunciato che "l'obiettivo degli Stati Uniti è quello di dividere la Siria e creare un 'quasi-stato' sulla sponda orientale dell'Eufrate". Il cancelliere russo ha espresso la sua fiducia sul fatto che "il ritiro degli Stati Uniti dalla Siria, se questo accadrà, avrà un impatto positivo" sul processo di pace in quel paese arabo.
Secondo Lavrov, Washington proibisce ai suoi alleati di investire nelle aree liberate della Siria. Inoltre, il capo della diplomazia russa ha definito "inutili e illegittime" dichiarazioni delle autorità statunitensi su chi determinerà la sicurezza nella "zona cuscinetto" nel nord della Siria.
Fonte: RT - Notizia del: 19/02/2019
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