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La VOCE ANNO XXI N°7

marzo 2019

PAGINA b         - 26

Segue da Pag.25: Un generale israeliano lancia la sfida a Netanyahu sbandierando il massacro di Gaza

Come i precedenti generali di Israele diventati uomini politici, da Yitzhak Rabin a Ehud Barak e Ariel Sharon, Gantz viene dipinto – e lui stesso si dipinge – come un guerriero forgiato in battaglia, in grado di portare alla pace da una posizione di forza.

Prima ancora che avesse fatto una sola dichiarazione politica, i sondaggi gli hanno attribuito 15 su 120 seggi parlamentari, un segnale incoraggiante per coloro che sperano che una coalizione di centro-sinistra questa volta possa trionfare.

Ma ciò per cui in realtà Gantz si batte – rivelato questa settimana nei suoi primi video elettorali – è ben lungi dall’essere rassicurante.

Nel 2014 ha condotto Israele nell’operazione militare più lunga e più spietata che si ricordi: 50 giorni in cui la stretta enclave costiera di Gaza è stata bombardata incessantemente.

Alla fine, una delle aree più densamente popolate al mondo – con i suoi due milioni di abitanti già intrappolati da un lungo assedio israeliano – versa in rovine. Nell’offensiva sono stati uccisi più di 2.200 palestinesi, un quarto dei quali minori, e decine di migliaia sono rimasti senza casa.

Il mondo ha assistito, sgomento. Indagini da parte di associazioni per i diritti umani, come Amnesty International, hanno concluso che Israele ha commesso crimini di guerra.

Si sarebbe potuto pensare che nella sua campagna elettorale Gantz avrebbe voluto stendere un velo su quell’inquietante periodo della sua carriera militare. Neanche per sogno.

Uno dei video della sua campagna sorvola le macerie di Gaza, dichiarando orgogliosamente che Gantz è stato responsabile della distruzione di molte migliaia di edifici. “Parti di Gaza sono state riportate all’età della pietra”, si vanta il video.

Questo è un riferimento alla dottrina Dahiya, una strategia sviluppata dal comando militare israeliano di cui Gantz era un membro di spicco. Lo scopo è quello di radere al suolo le infrastrutture moderne dei vicini di Israele, costringendo i sopravvissuti a condurre un’esistenza di stenti, piuttosto che resistere a Israele. La punizione collettiva implicita nell’apocalittica dottrina Dahiya è senza dubbio un crimine di guerra.

In particolare, il video inneggia alla distruzione di Rafah, un centro di Gaza che ha subito il più intenso bombardamento dopo che un soldato israeliano è stato rapito da Hamas. In pochi minuti l’ indiscriminato bombardamento israeliano ha ucciso almeno 135 civili palestinesi e distrutto un ospedale.

Secondo le indagini, Israele aveva invocato la ‘Procedura Annibale’, nome in codice per un ordine che consente all’esercito di utilizzare qualunque mezzo per porre fine alla cattura di uno dei suoi soldati. Ciò include l’uccisione di civili, come “danno collaterale” e, cosa più discutibile per gli israeliani, anche del soldato stesso.

Il video di Gantz presenta un numero totale di “1.364 terroristi uccisi”, in cambio di “tre anni e mezzo di calma.” Come ha osservato il quotidiano israeliano progressista Haaretz, il video “esalta un conto delle vittime come se fosse un gioco al computer.”

Ma il numero dei morti citato da Gantz supera persino la stima ufficiale dell’esercito israeliano – mentre ovviamente disumanizza quei “terroristi” che lottano per la loro libertà.

In quanto osservatore più imparziale, l’associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem stima che i combattenti palestinesi uccisi da Israele ammontavano a 765. Secondo i suoi calcoli, e quelli di altri enti come le Nazioni Unite, quasi due terzi dei gazawi uccisi nell’operazione israeliana del 2014 erano civili.

Inoltre, il “tranquillo” Gantz si attribuisce il merito di ciò che ha beneficiato soprattutto Israele.

A Gaza i palestinesi subiscono sistematici attacchi militari, un assedio continuo che impedisce l’ingresso di beni essenziali e devasta le industrie di esportazione ed una politica di esecuzioni da parte di cecchini israeliani che sparano su manifestanti disarmati presso la barriera che circonda ed imprigiona l’enclave.

Gli slogan della campagna di Gantz, “Solo i forti vincono” e “Israele prima di ogni cosa”, parlano da soli. ‘Ogni cosa’, per Gantz, chiaramente include i diritti umani.

È abbastanza vergognoso che egli creda che la sua consolidata serie di crimini di guerra convincerà gli elettori. Ma lo stesso approccio è stato espresso dal nuovo capo di stato maggiore dell’esercito di Israele.

Aviv Kochavi, soprannominato l’“ufficiale filosofo” per via dei suoi studi universitari, questo mese si è insediato come nuovo capo dell’esercito. In un importante discorso, ha promesso di trasformare il famoso “esercito più morale del mondo” in un esercito “letale, efficiente”.

Nella visione di Kochavi, l’aggressivo esercito un tempo comandato da Gantz ha bisogno di migliorare la sua strategia. Ed egli è un provato esperto in distruzione.

Nelle prime fasi della rivolta palestinese che scoppiò nel 2000, l’esercito israeliano lottò per trovare il modo di annientare i combattenti palestinesi nascosti nelle città densamente popolate sotto occupazione.

A Nablus, dove era comandante di brigata, Kochavi escogitò un’ingegnosa soluzione .L’esercito avrebbe fatto irruzione in una casa palestinese, poi abbattuto i suoi muri, spostandosi da una casa all’altra, penetrando di nascosto in città. Lo spazio palestinese non fu solamente usurpato, ma distrutto da cima a fondo.

Gantz, l’ex generale che spera di guidare il governo, e Kochavi, il generale a capo del suo esercito, sono sintomi di quanto totale sia in realtà la logica militarista che si è impossessata di Israele. Un Israele deciso a diventare una moderna Sparta.

Se dovesse provocare la caduta di Netanyahu, Gantz, come i politici-generali che lo hanno preceduto, si dimostrerà un falso uomo di pace. È stato abituato a comprendere solo la forza, le strategie a somma zero, la conquista e la distruzione, non la pietà o il compromesso.

Cosa ancor più pericolosa, la glorificazione di Gantz del proprio passato militare probabilmente rafforzerà nelle menti israeliane la necessità non della pace, ma in maggior misura della stessa cosa: sostegno ad una destra ultranazionalista intrisa di una filosofia di suprematismo etnico, che respinge ogni riconoscimento dei palestinesi come esseri umani con dei diritti.

(Una versione di questo articolo è comparsa per la prima volta sul National, Abu Dhabi.)

Jonathan Cook ha vinto il Premio Speciale Martha Gellhorn per il giornalismo. Tra i suoi libri: “Israele e il crollo della civiltà: Iraq, Iran ed il piano per rifare il Medio Oriente” (Pluto Press), e “Palestina scomparsa: esperimenti israeliani in disperazione umana” (Zed Books). Ha fornito questo articolo a PalestineChronicle.com.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)

I minori palestinesi temono per il loro futuro in quanto Israele intende chiudere scuole

TOPICS:ANP Chiusura Scuole Unrwa Cisgiordania Coloni Gerusalemme Middle East Eye Shuafat UNRWA
Zena Tahhan - 29 gennaio 2019, Middle East Eye

Le strutture educative per i palestinesi a Gerusalemme est sono già tutt’altro che adeguate. Ora potrebbero essere molto peggiori

Campo profughi di Shuafat, Gerusalemme est occupata –Nel trascurato campo profughi di Shuafat, nella Gersualemme est occupata, l’atmosfera è sempre tesa.

Qui i bambini giocano nelle strade piene di spazzatura e acque reflue, mentre giovani adolescenti sono obbligati ad abbandonare la scuola per lavorare in autorimesse e ristoranti per aiutare in casa ad arrivare a fine mese.

Almeno 24.000 persone – la maggioranza delle quali profughi le cui famiglie vennero espulse nel 1948 – vivono in questo angolo di illegalità, rinchiuso tra due posti di controllo e un muro di cemento altro 8 metri che circonda il campo.

Notizie riguardo ai progetti di Israele di chiudere qui le due scuole per rifugiati delle Nazioni Unite hanno solo soffiato sul fuoco.

Le scuole, benché carenti come organizzazione e qualità necessarie, sono gratuite e offrono un piccolo ma significativo barlume di speranza in un contesto difficile.

“Tutte le mie amiche sono nella mia scuola. Amo i miei insegnanti. Passiamo più tempo a scuola che a casa,” dice Zuhoor al-Tawil, una studentessa quattordicenne della scuola femminile di Shuafat, gestita dall’Agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, UNRWA.

“Perché non aspettano che ci diplomiamo e poi la chiudono?” chiede a Middle East Eye.

Con l’ennesimo colpo ai profughi palestinesi e al sistema educativo nella Gerusalemme est occupata, la scorsa settimana i media israeliani hanno informato che Israele chiuderà le scuole dell’ONU che forniscono servizi ai campi profughi palestinesi in tutta la città.

Secondo i mezzi di informazione israeliani, dall’inizio del prossimo anno scolastico il Consiglio della Sicurezza Nazionale di Israele revocherà i permessi alle scuole gestite dall’UNRWA.

Le scuole dirette dall’agenzia ONU verrebbero sostituite da scuole alle dipendenze del Comune di Gerusalemme, e seguirebbero il curriculum di studi del ministero dell’Educazione di Israele.

In attività dal 1949, l’UNRWA gestisce sei scuole a Gerusalemme, fornendo servizi a circa 3.000 studenti. L’agenzia gestisce anche centri sanitari e associazioni di donne e giovani, e offre anche servizi di assistenza e protezione.

In merito alla questione, l’UNRWA ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma di non essere informata della decisione di chiudere le scuole.

“In nessun momento dal 1967 le autorità israeliane hanno contestato le basi su cui l’agenzia mantiene e gestisce strutture a Gerusalemme est,” afferma la dichiarazione.

‘Ipotesi B’

Sebbene l’UNRWA sia preoccupata, sta cercando di non parlare di un’“ipotesi B” se Israele decidesse di chiudere le scuole o di limitare l’operatività dell’agenzia, ha detto il portavoce Sami Mshasha a MEE.

“Ci sono 60.000 rifugiati palestinesi a Gerusalemme. Gran parte di loro vive al di sotto del livello di povertà. C’è un altissimo tasso di disoccupazione, la qualità della vita di queste persone si ridurrà drasticamente e ne soffriranno.”

Mohannad Masalameh, direttore esecutivo del Comitato Popolare del campo di Shuafat, afferma che, mentre le scuole dell’ONU stanno affrontando una grave riduzione del personale a causa dei recenti tagli [ai finanziamenti all’UNRWA, ndtr.] da parte del governo USA, le loro strutture rimangono migliori di altre scuole.

L’amministrazione comunale israeliana di Gerusalemme gestisce una serie di scuole nel campo, dove, nonostante ripetuti tentativi da parte del governo israeliano di introdurre il proprio programma, vengono seguiti i programmi dell’Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania.

“Tu vai in una scuola municipale e non c’è neppure un’atmosfera da scuola. Le scuole dell’UNRWA sono molto più grandi e migliori. C’è un grande cortile. La maggior parte delle scuole municipali è in edifici affittati,” dice Masalameh a MEE.

“Sebbene non sia stata presa nessuna decisione, se un simile progetto venisse messo in pratica avrà conseguenze molto negative. L’UNRWA ha fornito lavoro a circa 85 dipendenti nelle scuole: perderanno il loro lavoro.” E aggiunge: “Penso che la gente si rifiuterà di mettere i propri figli nelle scuole municipali con un programma di studi israeliano. In quanto palestinesi, alcuni potrebbero rifiutarsi di imparare un programma di un altro Paese che è in conflitto con il proprio patriottismo.”

Strutture fatiscenti

Il fatto che Israele prenda di mira le scuole dell’UNRWA è solo uno dei modi in cui le sue politiche hanno un impatto negativo sull’educazione dei palestinesi a Gerusalemme.

In base alle leggi israeliane e internazionali, Israele ha l’obbligo di fornire un’educazione adeguata a tutti i bambini palestinesi della città.

Tuttavia” Ir Amim”, una Ong israeliana che monitora la vita dei palestinesi in città, informa che sarebbero necessarie più di 2.500 aule per fornire servizi adeguati ai minori palestinesi.

Oltretutto si stima che circa 70 aule dovrebbero essere costruite ogni anno per rispondere all’aumento della popolazione palestinese, ma in media Israele ne costruisce annualmente 37.

“Fino a poco tempo fa il Comune di Gerusalemme e il ministero dell’Educazione attribuivano la crescente mancanza di aule alla carenza di terreni disponibili su cui costruire strutture scolastiche a Gerusalemme est,” affermava un rapporto dell’associazione pubblicato nel 2017.

“Di fatto, la scarsità in questione non è una reale mancanza di terreni, quanto piuttosto una mancanza di aree edificabili destinate a edifici pubblici – un risultato diretto della pianificazione urbanistica discriminatoria a Gerusalemme est.”

Israele conquistò Gerusalemme est, l’annesse e mise i suoi quartieri sotto la giurisdizione israeliana nel 1967, con un’iniziativa che violava le leggi internazionali e che non è mai stata riconosciuta dalla comunità internazionale.

Da allora ha destinato il 2,6% di tutta la terra a Gerusalemme est per strutture pubbliche. Al contrario, circa l’86% di Gerusalemme est è stato destinato ad uso dello Stato di Israele e dei coloni.

..segue ./.

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