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La VOCE ANNO XXI N°7

marzo 2019

PAGINA 7

Segue da Pag.6: Venezuela: panoramica delle sanzioni statunitensi

Venezuela; della corruzione pubblica dilagante; della repressione e persecuzione in corso, e della violenza verso l'opposizione politica” nell'agosto 2017 Trump emette l’ordine esecutivo 13808, che limita fortemente l'accesso ai mercati finanziari statunitensi da parte del governo venezuelano, compresa la compagnia petrolifera statale del Venezuela (PDVSA), con alcune limitazioni ed eccezioni per ridurre al minimo l'impatto sugli interessi economici degli Stati Uniti.

Sebbene sia “vietato partecipare a qualsiasi tipo di finanziamento a istituzioni venezuelane, la cui durata sia superiore a 30 giorni”, per gli affari con la PDVSA il limite è di 90 giorni. Tra le eccezioni, invece, ci sono le transazioni per nuovo debito da parte di Citgo (che è di proprietà di PDVSA); le transazioni da parte di proprietari statunitensi di obbligazioni venezuelane/PDVSA su mercati secondari; il finanziamento per le esportazioni agricole e mediche e finanziamenti a breve termine per facilitare gli scambi commerciali. In ogni caso, con questo ordine esecutivo, Trump non si limita a colpire il Venezuela, ma qualsiasi persona (statunitense o avente interessi economici negli Stati Uniti) che possa negoziare con un'istituzione pubblica venezuelana. Dunque ad essere colpiti sono anche i partner latinoamericani di Petrocaribe, l’accordo di cooperazione energetica avviato da Chávez nel 2005 per fornire, ai paesi aderenti, condizioni di acquisto e pagamento del petrolio preferenziali, dato che, per non incorrere in violazioni che pregiudicherebbero i loro interessi negli Usa, i partner del Venezuela devono eseguire i pagamenti non finanziati dall’accordo (il 50% del totale acquistato) entro i suddetti 90 giorni.

Nel marzo 2018, in risposta all’annuncio dell’entrata nella fase operativa della criptovaluta Petro fatta da Maduro il mese prima, Trump emette l’ordine esecutivo 13827, che proibisce le transazioni relative all'emissione e all’uso della moneta digitale considerata uno strumento che il governo statunitense giudica utile ad eludere le sanzioni (e potenzialmente in grado di destabilizzare l’egemonia del dollaro se fosse adottato in seno all’Opec di cui il Venezuela quest’anno ha la presidenza).

Nel maggio 2018 con l’ordine esecutivo 13835 e la motivazione della “endemica corruzione e malagestione economica a spese del popolo venezuelano e della sua prosperità; la repressione in corso dell'opposizione politica; i tentativi di indebolire l'ordine democratico tenendo elezioni improvvise che non sono né libere né giuste; e la responsabilità del regime per l'approfondimento della crisi umanitaria e della sanità pubblica in Venezuela” the Donald rafforza le sanzioni economiche emesse nell’agosto precedente vietando le le transazioni relative all'acquisto del debito venezuelano, compresi i crediti, e di qualsiasi debito verso il Venezuela impegnato come collaterale. Dove per Venezuela si intende qualunque entità pubblica o controllata da pubblici poteri.

Il 1° novembre 2018, con l’ordine esecutivo 13850, si stabilisce un quadro per congelare negli Usa il patrimonio di (e proibire alcune transazioni con) qualsiasi persona che operi nel settore dell'oro (o in qualsiasi altro settore dell'economia a discrezione del Segretario del Tesoro) o che sia responsabile o complice nelle transazioni che implicano pratiche ingannevoli o corruzione. La prima applicazione di questo ordine esecutivo si è avuta il 28 gennaio 2019 quando è stata colpita la PDVSA.

Il segretario al Tesoro Steven Mnuchin ha detto che le sanzioni a PDVSA "aiuteranno a prevenire ulteriori deviazioni del patrimonio venezuelano da parte di Maduro e preserveranno questi beni per il popolo del Venezuela. Il percorso verso il rilascio delle sanzioni per PDVSA è soggetta al rapido trasferimento del controllo al Presidente ad interim (Juan Guaidó) o a un successivo governo democraticamente eletto”. Queste sanzioni comportano che tutti i beni e gli interessi di proprietà di PDVSA soggetti alla giurisdizione degli Stati Uniti sono bloccati e ai soggetti residenti negli Stati Uniti è generalmente vietato effettuare transazioni con loro. Mnuchin ha dichiarato che i beni negli Stati Uniti di Citgo Petroleum Corporation, la principale controllata statunitense di PDVSA, saranno autorizzati a continuare a operare, a condizione che tutti i fondi che altrimenti andrebbero a PDVSA vengano conservati in un conto bloccato negli Stati Uniti.

Intanto, Idriss Jazairy, relatore speciale delle Nazioni Unite sull'impatto negativo delle misure coercitive unilaterali sul godimento dei diritti umani, rileva che le sanzioni a PDVSA “possono portare alla fame e alle carenze mediche e non sono la risposta alla crisi del venezuela”. L’alto funzionario Onu, inoltre, aggiunge di essere “particolarmente preoccupato di sentire rapporti secondo cui queste sanzioni mirano a cambiare il governo del Venezuela” in quanto tale “coercizione” da parte di potenze straniere “è una violazione di tutte le norme del diritto internazionale”. Jazairy, infine, ha esortato tutti i paesi ad evitare di applicare sanzioni a meno che non siano stati approvati dal Consiglio di sicurezza, come richiesto dalla Carta delle Nazioni Unite. Un appello a cui i democratici nostrani non sembrano voler dare ascolto.

Fonti
Oltre ai links nel testo si veda
Congressional research service. Venezuela: overview of US sanctions
Revista CuatroF no. 196. Petrocaribe: El blanco de las sanciones
Ordini esecutivi e degli altri provvedimenti presi dal dipartimento del tesoro degli Stati Uniti contro il venezuela (qui).

LA GUERRA AL VENEZUELA È COSTRUITA SULLA MENZOGNA

DI JOHN PILGER - johnpilger.com

Viaggiando con Hugo Chavez, mi fu subito chiara la minaccia del Venezuela. In una cooperativa agricola nello stato di Lara, la gente aspettava paziente e allegra, nonostante il caldo. Brocche d’acqua e succo di melone passavano di mano in mano. Una chitarra suonava; una donna, Katarina, si alzò e cantò con voce roca.

“Che cosa dicono le parole?” chiesi.

“Che siamo orgogliosi”, fu la risposta.

Gli applausi per lei si mischiarono a quelli per l’arrivo di Chavez. Sotto un braccio portava una borsa piena di libri. Indossava la sua grande camicia rossa e salutava le persone per nome, fermandosi ad ascoltare. La cosa che mi colpì di più era la sua capacità di ascoltare.

Poi si mise a leggere. Per quasi due ore lesse al microfono dalla pila di libri accanto a lui: Orwell, Dickens, Tolstoj, Zola, Hemingway, Chomsky, Neruda: una pagina qui, una riga o due là. La gente applaudiva e fischiava mentre lui passava da autore ad autore.

Poi gli agricoltori presero il microfono e gli raccontarono ciò che sapevano e ciò di cui avevano bisogno; un volto antico, che pareva scolpito dal tronco di un albero, fece un lungo discorso critico sul tema dell’irrigazione; Chavez prendeva appunti.

Qui coltivano vigneti, un’uva di tipo Syrah scuro. “John, John, vieni qui”, disse El Presidente, avendomi visto sonnecchiare nel calore e nelle profondità di Oliver Twist.

“Gli piace il vino rosso”, disse Chavez al pubblico esultante e fischiettante, facendomi dono di una bottiglia di “vino de la gente”. Le mie poche parole in cattivo spagnolo provocarono fischi e risate.

Guardando Chavez con la gente si capiva l’uomo che promise, al suo arrivo al potere, che ogni sua mossa sarebbe stata sottoposta alla volontà della gente. In otto anni, Chavez vinse otto elezioni e referendum: un record mondiale. Elettoralmente era il capo di stato più popolare dell’emisfero occidentale, probabilmente del mondo.

Tutte le principali riforme chaviste furono approvate, in particolare una nuova Costituzione, di cui il 71% della popolazione ratificò ciascuno dei 396 articoli che sancivano libertà fino ad allora inconcepibili, come l’articolo 123, che per la prima volta riconosceva i diritti umani delle razze miste, di cui Chavez faceva parte, e delle persone di colore.

In una delle sue lezioni di gruppo citava una scrittrice femminista: “Amore e solidarietà sono la stessa cosa”. Il suo pubblico lo capiva bene e si esprimeva con dignità, raramente con deferenza. La gente comune considerava Chavez e il suo governo come i loro primi campioni, come fossero di loro proprietà.

Questo era particolarmente vero per gli indigeni, per i meticci e per gli afro-venezuelani, storicamente considerati con disprezzo dagli immediati predecessori di Chavez e da quelli che oggi vivono lontano dai quartieri poveri, nelle dimore e negli attici di Caracas orientale, che fanno i pendolari a Miami dove hanno le loro banche e che si considerano “bianchi”. Sono il potente nucleo di ciò che i media chiamano “l’opposizione”.

Quando incontrai questa classe sociale, in periferie chiamate Country Club, in case arredate con lampadari bassi e brutti quadri, li riconobbi. Avrebbero potuto essere bianchi sudafricani, la piccola borghesia di Costantia e Sandton, pilastri delle crudeltà dell’apartheid.

I vignettisti della stampa venezuelana, di cui la maggior parte è di proprietà di un’oligarchia
che si oppone al governo, ritraevano Chavez come uno scimmione. Un conduttore radiofonico lo chiamava “la scimmia”. Nelle università private, il modo di parlare dei figli dei benestanti è spesso un abuso razzista di coloro le cui baracche sono appena visibili attraverso l’inquinamento.

Sebbene la politica dell’identità sia di gran moda nelle pagine dei giornali liberali in occidente, razza e classe sono due parole che non si pronunciano quasi mai nella falsa “copertura” dell’ultimo, più crudo tentativo di Washington di agguantare il più grande deposito di petrolio al mondo e di reclamare ciò che considera il suo “cortile di casa”.

Nonostante le molte colpe dei chavisti – come permettere all’economia venezuelana di diventare ostaggio degli alti e bassi del petrolio e di non sfidare mai seriamente il grande capitale e la corruzione – essi hanno portato la giustizia sociale e l’orgoglio a milioni di persone e l’hanno fatto con una democrazia senza precedenti.
“Delle 92 elezioni che abbiamo monitorato”, dichiarò l’ex presidente Jimmy Carter, il cui Carter Center è un rispettato osservatore delle elezioni a livello globale, “direi che il processo elettorale in Venezuela è il migliore del mondo”. Per contrasto, disse Carter, il sistema elettorale degli Stati Uniti, con la sua enfasi sul denaro, “è uno dei peggiori”.

Conferendo diritti e privilegi a uno stato parallelo di autorità popolare, con sede nei quartieri più poveri, Chavez descrisse la democrazia venezuelana come “la nostra versione dell’idea di Rousseau di sovranità popolare”.
Seduta nella sua minuscola cucina nel barrìo La Linea, Beatrice Balazo mi disse che i suoi figli erano la prima generazione di poveri a frequentare la scuola per un’intera giornata, pasto caldo incluso, per imparare musica, arte e danza. “Ho visto la loro sicurezza sbocciare come un fiore”, ha detto.

Nel barrìo La Vega, ho ascoltato un’infermiera, Mariella Machado, una donna di colore di 45 anni con una strepitosa risata, rivolgersi ad un consiglio urbano su argomenti che vanno dai senzatetto alla guerra illegale. Quel giorno, stavano lanciando Mision Madres de Barrio, un programma mirato alla povertà tra le madri single. Secondo la Costituzione, le donne hanno il diritto di essere pagate come badanti e possono prendere prestiti da una banca speciale per donne. Ora le casalinghe più povere ricevono l’equivalente di $ 200 al mese.

In una stanza illuminata da un singolo tubo fluorescente, ho incontrato Ana Lucia Ferandez, di 86 anni, e Mavis Mendez, di 95 anni. Una trentatreenne, Sonia Alvarez, era venuta con i suoi due figli. Una volta, nessuno di loro poteva leggere e scrivere; ora stavano studiando matematica. Per la prima volta nella sua storia, il Venezuela ha quasi il 100% di alfabetizzazione.

Questo è il lavoro di Mision Robinson, che è stato progettato per adulti e adolescenti a cui precedentemente era negata un’educazione a causa della povertà. Mision Ribas offre a tutti l’opportunità di un’istruzione secondaria, chiamata bachillerato (i nomi Robinson e Ribas si riferiscono ai leader indipendentisti venezuelani del XIX secolo)
Mavis Mendez, nei suoi 95 anni, ha visto una sfilza di governi, per lo più vassalli di Washington, presiedere il furto di miliardi di dollari di bottino di petrolio, in gran parte trasportato a Miami. “Non avevamo importanza dal punto di vista umano”, mi disse. “Vivevamo e morivamo senza una vera istruzione, senza acqua corrente e cibo che non potevamo permetterci. Quando ci ammalavamo, i più deboli morivano. Ora posso leggere e scrivere il mio nome e molto altro ancora, e checché ne dicano i ricchi e i media, noi abbiamo piantato i semi della vera democrazia e io ho la gioia di vederli crescere”.

Nel 2002, durante un colpo di stato appoggiato da Washington, i figli e le figlie, i nipoti e i pronipoti di Mavis si unirono a centinaia di migliaia di persone che scesero dai barrios sulle colline e pretesero che l’esercito rimanesse fedele a Chavez.
“La gente mi ha salvato”, mi disse Chavez. “Lo hanno fatto con i media contro di me, impedendo anche i fatti di base di ciò che è accaduto. Per un eroico esempio di democrazia popolare, ti suggerisco di non guardare oltre”.

Dalla morte di Chavez nel 2013, il suo successore Nicolas Maduro ha perso la sua etichetta derisoria sulla stampa occidentale come “ex autista di autobus” ma ne ha acquisito un’altra come la reincarnazione di Saddam Hussein. Il modo in cui i media abusano di lui è a dir poco ridicolo. Da quando governa, il calo del prezzo del petrolio ha causato un’iperinflazione e devastato i prezzi in una società che importa quasi tutto il suo cibo; eppure, come ha riferito il giornalista e cineasta Pablo Navarrete questa settimana, il Venezuela non è la catastrofe che è stata dipinta. “C’è cibo ovunque”, ha scritto. “Ho girato molti video di cibo nei mercati [in tutta Caracas] … È venerdì sera e i ristoranti sono pieni.”
Maduro fu rieletto presidente nel 2018. Una sezione dell’opposizione ha boicottato le elezioni, una tattica tentata contro Chavez, ma il boicottaggio è fallito: 9.389.056 persone hanno votato; sedici partiti hanno partecipato e sei candidati si sono presentati per la presidenza. Maduro ha ottenuto 6.248.864 voti, ovvero il 67,84%.

Il giorno delle elezioni, ho parlato con uno dei 150 osservatori elettorali stranieri. “Il voto è stato assolutamente equo”, mi disse. “Non c’è stata alcuna frode, nessuna delle clamorose accuse dei media sta in piedi. Zero. Veramente incredibile.”
Come in una pagina del ricevimento del tè di Alice nel Paese delle Meraviglie, l’amministrazione Trump ha presentato Juan Guaidò, una creatura del National Endowment for Democracy della CIA, come “legittimo presidente del Venezuela”. Sconosciuto all’81 per cento del popolo venezuelano, secondo The Nation, Guaidò non è stato eletto da nessuno.

Maduro è “illegittimo”, dice Trump (che ottenne la presidenza degli Stati Uniti con tre milioni di voti in meno rispetto al suo avversario), un “dittatore”, ribadisce l’evidentemente squilibrato vicepresidente Mike Pence e “un trofeo petrolifero”, rincara il consigliere della “sicurezza nazionale” John Bolton (che quando lo intervistai nel 2003 mi disse: “Ehi, sei un comunista, forse persino Laburista?”).
Come suo “inviato speciale in Venezuela” (specializzato in colpi di stato), Trump ha nominato un criminale dichiarato, Elliot Abrams, i cui intrighi al servizio dei presidenti Reagan e George W. Bush hanno contribuito a far scoppiare lo scandalo Iran-Contra negli anni ’80 e precipitato l’America centrale in anni di sanguinoso squallore.

Senza scomodare Lewis Carroll, questi “pazzi” appartengono ai cinegiornali degli anni ’30. Eppure le loro menzogne sul Venezuela sono state accolte con entusiasmo da quelli pagati per dire le cose come stanno.
Sulla rete televisiva indipendente inglese Channel 4 News, Jon Snow ha inveito contro il deputato laburista Chris Williamson, “Guarda, tu e il signor Corbyn vi siete cacciati in una situazione molto brutta [sul Venezuela]!”. Quando Williamson ha cercato di spiegare perché minacciare un paese sovrano è sbagliato, Snow lo interruppe. “Hai parlato abbastanza!”.

In effetti, nel 2006, Channel 4 News aveva accusato Chavez di aver tramato la fabbricazione di armi nucleari con l’Iran: una fantasia. L’allora corrispondente da Washington, Jonathan Rugman, permise a un criminale di guerra, Donald Rumsfeld, di paragonare Chavez a Hitler, senza contraddittorio.

Tempo fa i ricercatori della University of the West of England studiarono i reportage della BBC sul Venezuela su di un periodo di dieci anni. Esaminarono 304 reportage e scoprirono che solo tre di questi si riferivano a una qualsiasi delle politiche positive del governo. Per la BBC, il record democratico del Venezuela, la legislazione sui diritti umani, i programmi alimentari, le iniziative sanitarie e la riduzione della povertà non sono avvenuti. Il più grande programma di alfabetizzazione nella storia umana non è accaduto, proprio come i milioni che marciano a sostegno di Maduro e in memoria di Chavez, non esistono.
Quando alla giornalista della BBC Orla Guerin è stato chiesto perché avesse filmato solo una marcia dell’opposizione, lei ha twittato dicendo che era “troppo difficile” coprire due marce in un solo giorno.
Una guerra è stata dichiarata al Venezuela, la cui verità è “troppo difficile” da riferire.
È troppo difficile riferire che il crollo dei prezzi del petrolio dal 2014 è in gran parte il risultato di macchinazioni criminali di Wall Street.
È troppo difficile denunciare come sabotaggio il blocco dell’accesso del Venezuela al sistema finanziario internazionale dominato dagli Stati Uniti.

È troppo difficile riportare le “sanzioni” di Washington contro il Venezuela, che hanno causato la perdita di almeno 6 miliardi di dollari nelle entrate del Venezuela dal 2017, inclusi 2 miliardi di dollari di medicinali importati, come illegali, o di dichiarare un atto di pirateria il rifiuto della Bank of England di restituire la riserva d’oro del Venezuela.
Alfred de Zayas, ex relatore delle Nazioni Unite, ha paragonato tutto ciò ad un “assedio medievale” progettato “per mettere in ginocchio i paesi”. È un attacco criminale, dice. È simile a quello affrontato da Salvador Allende nel 1970 quando il presidente Richard Nixon e il suo equivalente di John Bolton, Henry Kissinger, si proponevano di “far urlare l’economia [del Cile]”. Seguì la lunga notte buia di Pinochet.
Il corrispondente del Guardian, Tom Phillips, ha twittato una foto di un berretto su cui le parole in spagnolo significano in gergo locale: “Rendi il Venezuela fottutamente figo”. Il giornalista-pagliaccio potrebbe essere la fase finale di gran parte della degenerazione del giornalismo mainstream.
Se il tirapiedi della CIA Guaidò e i suoi suprematisti bianchi prendessero il potere, sarebbe il 68° rovesciamento di un governo sovrano da parte degli Stati Uniti, la maggior parte dei quali democrazie. Seguirà sicuramente una svendita delle utenze e delle risorse minerarie del Venezuela, insieme al furto del petrolio del paese, come delineato da John Bolton.

Sotto l’ultimo governo controllato da Washington a Caracas, la povertà raggiunse proporzioni storiche. Non c’era assistenza sanitaria per coloro che non potevano pagare. Non c’era educazione universale; Mavis Mendez e milioni come lei non potevano leggere o scrivere.
Quant’è figo questo, Tom? - John Pilger - Fonte: http://johnpilger.com - 1.02.2019
Link: http://johnpilger.com/articles/the-war-on-venezuela-is-built-on-lies

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