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La VOCE 1906

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La VOCE ANNO XXI N°10

giugno 2019

PAGINA D         - 36

presentazione al senato dell'accordo italia-cina sulla via della seta (belt&road) senza dimenticare il bombardamento di belgrado e le sanzioni all'iran. venerdì 10 maggio presso un'aula del senato è stato presentato l'accordo italia-cina che dovrebbe portare al potenziamento di alcuni porti italiani quali terminali europei del grande asse commerciale ed economico tra cina-asia meridionale- medio oriente- africa settentrionale ed europa. il progetto, cui hanno già aderito numerosi paesi delle aree interessate, dovrebbe apportare grandi vantaggi economici e favorire il commercio tra i paesi aderenti. l'ambasciatore cinese ed un professore della più famosa università cinese hanno sottolineato gli aspetti anche culturali dell'accordo che crea legami più stretti tra paesi di antichissima civiltà in relazione tra loro già ai tempi dell'impero romano, per non parlare di marco polo e del gesuita ricci, italiani alla corte di pechino. hanno detto che l'accordo è un esempio di un sistema internazionale di relazioni multilaterali su un piano di parità in assenza di tentazioni egemoniche, e che segnerà un nuovo "rinascimento" per i paesi aderenti, sull'esempio del rinascimento italiano di 500 anni fa. la ministra per il mezzogiorno barbara lezzi (5stelle) ha dichiarato che l'accordo porterà al rilancio non solo dei porti di trieste, genova e vado ligure, ma anche dei porti dell'italia meridionale (taranto, gioia tauro, palermo ….), ricordando la visita a palermo del presidente cinese xi jin ping. ha ricordato che alcuni tipici prodotti italiani, come le arance siciliane, sono molto richiesti in cina e che l'accordo favorirà l'esportazione di questi prodotti. la moderatrice maria novella rossi (giornalista rai che si è dimostrata ben informata su argomenti di storia e politica internazionale) ha ricordato che la cina non è mai stata un paese con pulsioni colonialiste e che sta solo riprendendo il ruolo che le compete sul piano internazionale in collaborazione paritaria con i paesi che accettano di sfruttare un'enorme occasione di rilancio dell'economia internazionale dopo la grande stagnazione degli ultimi 10 anni, la più grave dalla fina della seconda guerra mondiale. l'economista vladimiro giacchè ha mostrato con una puntuale analisi economica come i miglioramenti infrastrutturali previsti assicureranno vantaggi economici consistenti a tutti i paesi che aderiranno all'accordo. il dirigente italiano donati della terza compagnia di trasporti marittimi del mondo, la cinese cosco, ha ricordato che i porti italiani non sono attrezzati per ricevere le grandi navi di trasporto di ultima generazione e che i miglioramenti che saranno apportati nel settore favoriranno il commercio nei due sensi ( cioè non solo per l'importazione di prodotti cinesi, ma anche per l'esportazione verso la cina e paesi terzi). il sottosegretario agli esteri manlio di stefano (5stelle) ha sottolineato - con un intervento moderato nella forma, ma incisivo nella sostanza - come questo accordo, criticato ed osteggiato dagli usa, da vari paesi europei e dall'opposizione interna italiana, è una manifestazione di indipendenza e spirito di iniziativa da parte del governo italiano. ha ironizzato sul fatto che vari paesi hanno criticato l'italia per aver preso questa iniziativa, mentre in realtà stavano studiando in segreto il modo per aderire all'accordo, rimanendo indispettiti per essere stati preceduti dall'itala. particolarmente incisivo, fino ad assumere toni polemici difficili da registrare in una sede così paludata, è stato l'intervento del giornalista alberto negri. ha affermato che per capire ciò che succede, e l'importanza dello scontro in atto, è necessario partire da 20 anni fa quando l'aviazione americana bombardò l'ambasciata cinese di belgrado. a questo sanguinoso "avvertimento" nei confronti della cina (rea di sostenere il governo di belgrado diretto da milosevic) seguì la beffa delle spudorate dichiarazioni del capo della cia tenet secondo cui i morti cinesi sotto le bombe erano dovuti al fatto che i servizi di informazione usa "non avevano mappe aggiornate". negri ha ricordato anche il servilismo dimostrato da vari governi italiani, non solo nel caso del bombardamento della jugoslavia, cui l'italia ha attivamente partecipato, ma anche in molti altri casi successivi. secondo negri il caso più grave è stata la partecipazione dell'italia nel 2011 all'attacco della nato contro la libia, che ha comportato il tradimento aperto verso il governo alleato di gheddafi ed alla fine è risultato il più grave scacco di politica internazionale subita dall'italia dalla fine della seconda guerra mondiale, viste le attuali condizioni della libia. il giornalista ha anche denunciato il servilismo dimostrato dall'italia aderendo, contro i suoi interessi, alle sanzioni contro l'iran. ha ricordato che l'eni non ha nemmeno sfruttato la moratoria di 6 mesi concessa dagli usa per permettere all'italia l'acquisto di petrolio iraniano, tagliando subito le relazioni economiche con l'iran. ha concluso affermando che le sanzioni all'iran, che potrebbero a breve trasformarsi in un'aggressione militare condotta di comune accordo dagli alleati stati uniti - israele - arabia saudita, sono anche e soprattutto un attacco alla cina mediante il blocco della belt&road di cui l'iran è un nodo essenziale (insieme alla siria). infine il senatore vito petrocelli (5stelle), concludendo i lavori, ha ribadito, con toni moderati, ma con chiarezza, concetti già espressi dal sotto-segretario di stefano. in definitiva una manifestazione dai contenuti più positivi di quanto ci si potesse aspettare. roma 11 maggio 2019 (a cura di vincenzo brandi) , la rivoluzione dei nuovi atei. di raffaele carcano - (9 maggio 2019) . sembra che sia trascorso un secolo, eppure sono passati soltanto tre decenni. la caduta dei regimi comunisti europei rappresentò la fine di un’epoca – e, per il politologo francis fukuyama, la fine della storia tout-court. nei sacri palazzi del vaticano, in molti pensarono che fosse finita anche un’altra storia: quella dell’ateismo. il duo ratzinger-wojtyla soppresse infatti il pontificio consiglio per il dialogo con i non credenti. ritenevano che la creatura montiniana non avesse più alcuna ragion d’essere: credevano nell’equazione ateismo=comunismo, e la caduta del secondo non poteva che far cadere a sua volta il primo. non c’era più bisogno di interagire con un “nemico” considerato in fase terminale, e staccarono la spina. nel 1998, avvenire arrivò a pubblicare un pezzo strafottente sul congresso uaar: lo intitolò gli ultimi atei, ormai “meno numerosi dei panda in cina”. ma il quotidiano dei vescovi non era completamente dalla parte del torto, perché una sensazione del genere era in parte condivisa anche nel campo opposto. qualche lettore ricorderà le riunioni a cui partecipava vent’anni fa: sporadiche, carbonare, piene di rimpianti sul passato e di apprensioni sul futuro. l’impegno laico somigliava molto alla leopardiana renitenza al fato. e invece. e invece venne l’11 settembre, rendendo palese a chiunque che un mondo più religioso non è necessariamente anche un mondo più pacifico. ma, soprattutto, venne internet. a dire il vero, era già venuta nel 1991. dal 2000 in poi avrebbe però cambiato il pianeta assai più del crollo del muro di berlino. avrebbe anche permesso agli atei di tanti luoghi sperduti di entrare finalmente in contatto e di non sentirsi finalmente più soli. le loro riflessioni potevano ora virtualmente arrivare all’intera umanità.
tra i primi documenti che circolarono vorticosamente nella neonata community atea ci fu anche un commento scritto da un famoso biologo inglese, richard dawkins, intorno ai fatti dell’11 settembre. nel 2004 uscì la fine della fede: era il primo libro di un ancora sconosciuto sam harris, ma l’anno successivo entrò nella classifica dei bestseller del new york times, rimanendoci per 33 settimane. nel 2006, il boom: harris fece il bis con lettera a una nazione cristiana, dawkins pubblicò l’illusione di dio e l’autorevole filosofo daniel dennett diede a sua volta alle stampe rompere l’incantesimo. i mass media annusarono la tendenza e cominciarono a parlare dei “tre moschettieri del nuovo ateismo”. quando uno dei giornalisti più conosciuti, christopher hitchens, diffuse nel 2007 dio non è grande, diventarono “i quattro cavalieri”. come i funesti protagonisti del libro dell’apocalisse. era un fenomeno che scompaginava convinzioni consolidate (seppure da poco tempo, come si è visto). ma era comunque un fenomeno di nicchia, anche se coinvolgeva personaggi famosi. e non era nemmeno tanto nuovo, guardando ai contenuti. tutte e cinque le opere proponevano una critica serrata alla religione – come già quelle di schopenhuaer o di russell, per esempio. o come quelle di odifreddi, onfray e schmidt-salomon, più o meno contemporaneamente (e con altrettanto successo) in italia, francia e germania. harris, peraltro, non ci stava nemmeno a definirsi ateo, ricordando a tutti che «nessuno ha bisogno di identificarsi come “non-astrologo” o “non-alchimista”». dawkins era più ambizioso, e si proponeva esplicitamente di convertire il lettore credente con un testo divulgativo; una versione militante e per le masse del documentatissimo libro di dennett, ma pur sempre scritta da un grande scienziato. hitchens primeggiava per vis polemica, e da consumato giornalista aveva appuntito la matita ancora più del solito. se i contenuti non erano particolarmente nuovi, non erano però mai stati presentati in una maniera più efficace. è il grande vantaggio degli autori atei: i loro ragionamenti possono essere riformulati da sé o da altri in forme eternamente perfettibili. i testi sacri, no. ebbene, il 30 settembre 2007 i quattro cavalieri del nuovo ateismo si ritrovarono quasi casualmente a washington, e decisero che la loro chiacchierata a casa hitchens sarebbe stata ripresa e diffusa online. un’amichevole improvvisata, dunque, tra quattro uomini che non si sarebbero mai più rivisti tutti insieme. nelle scorse settimane la chiacchierata è finalmente arrivata nelle librerie del mondo anglosassone con il titolo the four horsemen. the conversation that sparked an atheist revolution. impreziosito dall’introduzione dell’attore stephen fry e dagli amarcord dei tre cavalieri superstiti, dedicato alla memoria dello scomparso hitchens, è un libro che ci permette di rivivere quei momenti e di azzardare un bilancio, quasi dodici anni dopo. il dialogo tra i quattro, sin dall’inizio, si sofferma sulle critiche ricevute: da esponenti religiosi, ma non soltanto. i quattro sono stati accusati di essere “striduli, arroganti, caustici”. di mancare di umiltà. di non capire la religione – anzi, di non poterla proprio capire, in quanto non credenti. tutti e quattro respingono ovviamente le contestazioni al mittente. non solo: rilanciano a loro volta. perché è semmai la religione a peccare di presunzione, con le sue innumerevoli affermazioni indimostrate sull’universo. sono proprio i leader religiosi a negare che la fede possa essere osservata scientificamente, dati alla mano e usando la ragione, come qualunque altro fenomeno naturale (con buona pace dell’altrimenti grande stephen jay gould e dei suoi magisteri non sovrapponibili). dawkins ricorda che la religione va affrontata, e se del caso criticata, non diversamente dall’astrologia; harris rimarca che “ogni persona religiosa critica le altre religioni nel nostro stesso modo”. e se è vero che ai quattro piacerebbe un sacco un mondo senza religioni, è altrettanto vero che le religioni sarebbero deliziate da un mondo senza ateismo – e senza tutte le altre religioni concorrenti. ma quale sarà mai il modo più efficace di criticare le religioni? ahinoi, “non c’è alcuna maniera gentile di dire a qualcuno ‘tu hai sprecato la tua vita’”, convengono dennett e harris. ci sarà sempre chi si sentirà offeso, anche quando sta difendendo bizzarrie assolutamente implausibili: perché purtroppo appaiono tali soltanto a chi usa la ragione e si affida alla scienza, è costretto a constatare dawkins. i quattro sono stati sovente accusati di non conoscere la teologia: ma, a parte che è largamente non vero e che la conoscono meglio della stragrande maggioranza dei fedeli, resta il fatto che la teologia è una disciplina assolutamente incapace di risolvere le questioni sollevate dalla ragione e dalla scienza. alla fine, stringi stringi, la realtà è che, anziché rispondere argomentando, le confessioni religiose preferiscono darsi da fare (soprattutto con le istituzioni) affinché la loro dottrina non sia posta in discussione da nessuno. e anatema sia su chi ha comunque il coraggio di farlo, come la storia continua a insegnarci. la conversazione è tutto fuorché un manifesto ateo. e sono invece numerosi i punti di vista differenti. per esempio, harris ritiene che gli apologeti non possano nemmeno rivendicare la produzione artistica religiosa; sia perché non siamo assolutamente certi che un michelangelo credesse veramente (rischiava la morte, affermando il contrario); sia perché, se il committente fosse stato secolare, oggi avremmo un patrimonio artistico quasi esclusivamente secolare. hitchens dissente, perché non riesce nemmeno a immaginare che certe vette di poesia devozionale siano il frutto di una menzogna, o della piaggeria verso i mecenati (e dawkins concorda con lui). c’è dissonanza anche sull’effettiva pericolosità delle religioni, e se siano tutte ugualmente pericolose. hitchens, in particolare, arriva addirittura a ritenere che i veri combattenti per la laicità siano i soldati americani impegnati in iraq e afghanistan e, per contro, che le stesse argomentazioni dei nuovi atei siano assolutamente prive di effetti. il convertitore dawkins non è per nulla d’accordo (e non soltanto lui, probabilmente). sulla presa d’atto della divergenza termina comunque la discussione. alla fine, come evidenzia dennett nella sua introduzione, “l’unico dogma condiviso è la fiducia nella verità, nell’evidenza e nella persuasione onesta”. un dogma che, a ben vedere, può però essere condiviso anche da credenti. harris ha ragione nel ricordare che la cultura, nelle sue varie forme, può costituire un’alternativa alla religione, ma è altrettanto vero che può conviverci serenamente. dawkins rivendica agli atei sia “il coraggio intellettuale di accettare la realtà per quello che è: meravigliosamente e incredibilmente spiegabile”, sia “il coraggio morale di vivere pienamente l’unica vita che abbiamo: di vivere pienamente nella realtà, di goderne, e di fare il possibile per lasciarla in uno stato migliore di come l’abbiamo trovata”. la qualificazione dell’ateismo resta tuttavia in secondo piano rispetto alla critica alle religioni. del resto, se ogni ipotizzabile realtà sovrannaturale è inesistente, l’ateismo è inevitabilmente vero di per sé, e non ha alcun bisogno di produrre qualche prova a favore. e dunque, tirando le somme: l’evento fu veramente la scintilla di una rivoluzione, come pretende il sottotitolo, o fu soltanto la fugace istantanea di un incontro irripetibile? né l’una né l’altra, probabilmente. i libri erano stati già pubblicati, il successo era stato già raggiunto, ma quel caminetto diede ulteriore energia a un movimento in pieno sviluppo. banalmente, l’impatto maggiore lo si ebbe vedendoli insieme: i quattro incarnavano fisicamente una comunità reale. l’ateismo, in quanto pensiero condiviso, era ora visibile. un altro muro era caduto. era l’inizio di una nuova storia: se l’ateismo non avesse già tre millenni di vista alle spalle, potremmo quasi paragonarlo al concilio di gerusalemme. pochi mesi dopo sarebbe iniziata la campagna internazionale sugli autobus. l’ateismo percorreva le strade di mezzo mondo, e anche l’altra metà non poteva più far finta di niente. non potevano farlo la politica e i mezzi d’informazione, che hanno iniziato a parlarne molto più spesso. non poteva farlo la comunità accademica, in cui hanno cominciato a fioccare gli studi specifici. e non potevano naturalmente farlo nemmeno i leader religiosi. in vaticano sono tornati sui propri passi e hanno creato il cortile dei gentili. il grande imam dell’università al-azhar, costernato, ha preso atto che gli atei stanno minando le convinzioni islamiche “diffondendo le loro idee con spiegazioni semplici e comprensibili destinate alla gioventù”. in effetti, l’illusione di dio ha ormai soppiantato perché non sono cristiano quale testo ateo di riferimento, al punto che è nato un progetto per tradurre e diffondere gratuitamente i libri di dawkins nei paesi musulmani. stephen fry, nell’introduzione a the four horsemen, sostiene che la conversazione tra i quattro “ci ricorda che la ricerca aperta, il pensiero libero e lo scambio di idee prive di vincoli producono frutti reali e tangibili”. oggi i “senza religione” sono in maggioranza in gran bretagna e il gruppo “religioso” più grande negli stati uniti. nel nostro paese il più noto sociologo della religione, franco garelli, ha pubblicato un libro dal titolo piccoli atei crescono. dati alla mano il progresso è costante, ovunque, trainato dai più giovani. e può ancora accelerare. perché il pensiero ateo ha un potenziale enorme, può volare ancora più alto ed è in grado di dare un contributo fondamentale alla creazione di un mondo migliore.

Presentazione al Senato dell'accordo Italia-Cina sulla Via della Seta (Belt&Road) senza dimenticare il bombardamento di Belgrado e le sanzioni all'Iran.



Venerdì 10 maggio presso un'aula del Senato è stato presentato l'accordo Italia-Cina che dovrebbe portare al potenziamento di alcuni porti italiani quali terminali europei del grande asse commerciale ed economico tra Cina-Asia Meridionale- Medio Oriente- Africa Settentrionale ed Europa. Il progetto, cui hanno già aderito numerosi Paesi delle aree interessate, dovrebbe apportare grandi vantaggi economici e favorire il commercio tra i Paesi aderenti.

L'ambasciatore cinese ed un professore della più famosa università cinese hanno sottolineato gli aspetti anche culturali dell'accordo che crea legami più stretti tra Paesi di antichissima civiltà in relazione tra loro già ai tempi dell'Impero Romano, per non parlare di Marco Polo e del gesuita Ricci, italiani alla corte di Pechino. Hanno detto che l'accordo è un esempio di un sistema internazionale di relazioni multilaterali su un piano di parità in assenza di tentazioni egemoniche, e che segnerà un nuovo "Rinascimento" per i Paesi aderenti, sull'esempio del Rinascimento italiano di 500 anni fa.

La Ministra per il Mezzogiorno Barbara Lezzi (5Stelle) ha dichiarato che l'accordo porterà al rilancio non solo dei porti di Trieste, Genova e Vado Ligure, ma anche dei porti dell'Italia Meridionale (Taranto, Gioia Tauro, Palermo ….), ricordando la visita a Palermo del Presidente cinese Xi Jin Ping. Ha ricordato che alcuni tipici prodotti italiani, come le arance siciliane, sono molto richiesti in Cina e che l'accordo favorirà l'esportazione di questi prodotti.

La moderatrice Maria Novella Rossi (giornalista RAI che si è dimostrata ben informata su argomenti di storia e politica internazionale) ha ricordato che la Cina non è mai stata un Paese con pulsioni colonialiste e che sta solo riprendendo il ruolo che le compete sul piano internazionale in collaborazione paritaria con i Paesi che accettano di sfruttare un'enorme occasione di rilancio dell'economia internazionale dopo la grande stagnazione degli ultimi 10 anni, la più grave dalla fina della Seconda Guerra Mondiale.

L'economista Vladimiro Giacchè ha mostrato con una puntuale analisi economica come i miglioramenti infrastrutturali previsti assicureranno vantaggi economici consistenti a tutti i Paesi che aderiranno all'accordo.

Il dirigente italiano Donati della terza compagnia di trasporti marittimi del mondo, la cinese COSCO, ha ricordato che i porti italiani non sono attrezzati per ricevere le grandi navi di trasporto di ultima generazione e che i miglioramenti che saranno apportati nel settore favoriranno il commercio nei due sensi ( cioè non solo per l'importazione di prodotti cinesi, ma anche per l'esportazione verso la Cina e Paesi terzi).

Il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano (5Stelle) ha sottolineato - con un intervento moderato nella forma, ma incisivo nella sostanza - come questo accordo, criticato ed osteggiato dagli USA, da vari Paesi europei e dall'opposizione interna italiana, è una manifestazione di indipendenza e spirito di iniziativa da parte del Governo italiano. Ha ironizzato sul fatto che vari Paesi hanno criticato l'Italia per aver preso questa iniziativa, mentre in realtà stavano studiando in segreto il modo per aderire all'accordo, rimanendo indispettiti per essere stati preceduti dall'Itala.

Particolarmente incisivo, fino ad assumere toni polemici difficili da registrare in una sede così paludata, è stato l'intervento del giornalista Alberto Negri. Ha affermato che per capire ciò che succede, e l'importanza dello scontro in atto, è necessario partire da 20 anni fa quando l'aviazione americana bombardò l'ambasciata cinese di Belgrado. A questo sanguinoso "avvertimento" nei confronti della Cina (rea di sostenere il Governo di Belgrado diretto da Milosevic) seguì la beffa delle spudorate dichiarazioni del capo della CIA Tenet secondo cui i morti cinesi sotto le bombe erano dovuti al fatto che i servizi di informazione USA "non avevano mappe aggiornate". Negri ha ricordato anche il servilismo dimostrato da vari Governi italiani, non solo nel caso del bombardamento della Jugoslavia, cui l'Italia ha attivamente partecipato, ma anche in molti altri casi successivi. Secondo Negri il caso più grave è stata la partecipazione dell'Italia nel 2011 all'attacco della NATO contro la Libia, che ha comportato il tradimento aperto verso il Governo alleato di Gheddafi ed alla fine è risultato il più grave scacco di politica internazionale subita dall'Italia dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, viste le attuali condizioni della Libia. Il giornalista ha anche denunciato il servilismo dimostrato dall'Italia aderendo, contro i suoi interessi, alle sanzioni contro l'Iran. Ha ricordato che l'ENI non ha nemmeno sfruttato la moratoria di 6 mesi concessa dagli USA per permettere all'Italia l'acquisto di petrolio iraniano, tagliando subito le relazioni economiche con l'Iran. Ha concluso affermando che le sanzioni all'Iran, che potrebbero a breve trasformarsi in un'aggressione militare condotta di comune accordo dagli alleati Stati Uniti - Israele - Arabia Saudita, sono anche e soprattutto un attacco alla Cina mediante il blocco della Belt&Road di cui l'iran è un nodo essenziale (insieme alla Siria).

Infine il Senatore Vito Petrocelli (5Stelle), concludendo i lavori, ha ribadito, con toni moderati, ma con chiarezza, concetti già espressi dal sotto-segretario Di Stefano. In definitiva una manifestazione dai contenuti più positivi di quanto ci si potesse aspettare.

Roma 11 maggio 2019 (a cura di Vincenzo Brandi)

La rivoluzione dei nuovi atei



di Raffaele Carcano - (9 maggio 2019)

Sembra che sia trascorso un secolo, eppure sono passati soltanto tre decenni. La caduta dei regimi comunisti europei rappresentò la fine di un’epoca – e, per il politologo Francis Fukuyama, la fine della storia tout-court. Nei sacri palazzi del Vaticano, in molti pensarono che fosse finita anche un’altra storia: quella dell’ateismo.

Il duo Ratzinger-Wojtyla soppresse infatti il Pontificio consiglio per il dialogo con i non credenti. Ritenevano che la creatura montiniana non avesse più alcuna ragion d’essere: credevano nell’equazione ateismo=comunismo, e la caduta del secondo non poteva che far cadere a sua volta il primo. Non c’era più bisogno di interagire con un “nemico” considerato in fase terminale, e staccarono la spina.

Nel 1998, Avvenire arrivò a pubblicare un pezzo strafottente sul congresso Uaar: lo intitolò Gli ultimi atei, ormai “meno numerosi dei panda in Cina”. Ma il quotidiano dei vescovi non era completamente dalla parte del torto, perché una sensazione del genere era in parte condivisa anche nel campo opposto. Qualche lettore ricorderà le riunioni a cui partecipava vent’anni fa: sporadiche, carbonare, piene di rimpianti sul passato e di apprensioni sul futuro. L’impegno laico somigliava molto alla leopardiana renitenza al fato.

E invece.

E invece venne l’11 settembre, rendendo palese a chiunque che un mondo più religioso non è necessariamente anche un mondo più pacifico. Ma, soprattutto, venne internet. A dire il vero, era già venuta nel 1991. Dal 2000 in poi avrebbe però cambiato il pianeta assai più del crollo del muro di Berlino. Avrebbe anche permesso agli atei di tanti luoghi sperduti di entrare finalmente in contatto e di non sentirsi finalmente più soli. Le loro riflessioni potevano ora virtualmente arrivare all’intera umanità.

Tra i primi documenti che circolarono vorticosamente nella neonata community atea ci fu anche un commento scritto da un famoso biologo inglese, Richard Dawkins, intorno ai fatti dell’11 settembre. Nel 2004 uscì La fine della fede: era il primo libro di un ancora sconosciuto Sam Harris, ma l’anno successivo entrò nella classifica dei bestseller del New York Times, rimanendoci per 33 settimane. Nel 2006, il boom: Harris fece il bis con Lettera a una nazione cristiana, Dawkins pubblicò L’illusione di Dio e l’autorevole filosofo Daniel Dennett diede a sua volta alle stampe Rompere l’incantesimo. I mass media annusarono la tendenza e cominciarono a parlare dei “tre moschettieri del nuovo ateismo”. Quando uno dei giornalisti più conosciuti, Christopher Hitchens, diffuse nel 2007 Dio non è grande, diventarono “i quattro cavalieri”. Come i funesti protagonisti del libro dell’Apocalisse.

Era un fenomeno che scompaginava convinzioni consolidate (seppure da poco tempo, come si è visto). Ma era comunque un fenomeno di nicchia, anche se coinvolgeva personaggi famosi. E non era nemmeno tanto nuovo, guardando ai contenuti. Tutte e cinque le opere proponevano una critica serrata alla religione – come già quelle di Schopenhuaer o di Russell, per esempio. O come quelle di Odifreddi, Onfray e Schmidt-Salomon, più o meno contemporaneamente (e con altrettanto successo) in Italia, Francia e Germania. Harris, peraltro, non ci stava nemmeno a definirsi ateo, ricordando a tutti che «nessuno ha bisogno di identificarsi come “non-astrologo” o “non-alchimista”». Dawkins era più ambizioso, e si proponeva esplicitamente di convertire il lettore credente con un testo divulgativo; una versione militante e per le masse del documentatissimo libro di Dennett, ma pur sempre scritta da un grande scienziato. Hitchens primeggiava per vis polemica, e da consumato giornalista aveva appuntito la matita ancora più del solito.

Se i contenuti non erano particolarmente nuovi, non erano però mai stati presentati in una maniera più efficace. È il grande vantaggio degli autori atei: i loro ragionamenti possono essere riformulati da sé o da altri in forme eternamente perfettibili. I testi sacri, no.

Ebbene, il 30 settembre 2007 i quattro cavalieri del nuovo ateismo si ritrovarono quasi casualmente a Washington, e decisero che la loro chiacchierata a casa Hitchens sarebbe stata ripresa e diffusa online. Un’amichevole improvvisata, dunque, tra quattro uomini che non si sarebbero mai più rivisti tutti insieme. Nelle scorse settimane la chiacchierata è finalmente arrivata nelle librerie del mondo anglosassone con il titolo The Four Horsemen. The Conversation That Sparked an Atheist Revolution. Impreziosito dall’introduzione dell’attore Stephen Fry e dagli amarcord dei tre cavalieri superstiti, dedicato alla memoria dello scomparso Hitchens, è un libro che ci permette di rivivere quei momenti e di azzardare un bilancio, quasi dodici anni dopo.

Il dialogo tra i quattro, sin dall’inizio, si sofferma sulle critiche ricevute: da esponenti religiosi, ma non soltanto. I quattro sono stati accusati di essere “striduli, arroganti, caustici”. Di mancare di umiltà. Di non capire la religione – anzi, di non poterla proprio capire, in quanto non credenti. Tutti e quattro respingono ovviamente le contestazioni al mittente. Non solo: rilanciano a loro volta. Perché è semmai la religione a peccare di presunzione, con le sue innumerevoli affermazioni indimostrate sull’universo. Sono proprio i leader religiosi a negare che la fede possa essere osservata scientificamente, dati alla mano e usando la ragione, come qualunque altro fenomeno naturale (con buona pace dell’altrimenti grande Stephen Jay Gould e dei suoi magisteri non sovrapponibili). Dawkins ricorda che la religione va affrontata, e se del caso criticata, non diversamente dall’astrologia; Harris rimarca che “ogni persona religiosa critica le altre religioni nel nostro stesso modo”. E se è vero che ai quattro piacerebbe un sacco un mondo senza religioni, è altrettanto vero che le religioni sarebbero deliziate da un mondo senza ateismo – e senza tutte le altre religioni concorrenti.

Ma quale sarà mai il modo più efficace di criticare le religioni? Ahinoi, “non c’è alcuna maniera gentile di dire a qualcuno ‘tu hai sprecato la tua vita’”, convengono Dennett e Harris. Ci sarà sempre chi si sentirà offeso, anche quando sta difendendo bizzarrie assolutamente implausibili: perché purtroppo appaiono tali soltanto a chi usa la ragione e si affida alla scienza, è costretto a constatare Dawkins. I quattro sono stati sovente accusati di non conoscere la teologia: ma, a parte che è largamente non vero e che la conoscono meglio della stragrande maggioranza dei fedeli, resta il fatto che la teologia è una disciplina assolutamente incapace di risolvere le questioni sollevate dalla ragione e dalla scienza. Alla fine, stringi stringi, la realtà è che, anziché rispondere argomentando, le confessioni religiose preferiscono darsi da fare (soprattutto con le istituzioni) affinché la loro dottrina non sia posta in discussione da nessuno. E anatema sia su chi ha comunque il coraggio di farlo, come la storia continua a insegnarci.

La conversazione è tutto fuorché un manifesto ateo. E sono invece numerosi i punti di vista differenti. Per esempio, Harris ritiene che gli apologeti non possano nemmeno rivendicare la produzione artistica religiosa; sia perché non siamo assolutamente certi che un Michelangelo credesse veramente (rischiava la morte, affermando il contrario); sia perché, se il committente fosse stato secolare, oggi avremmo un patrimonio artistico quasi esclusivamente secolare. Hitchens dissente, perché non riesce nemmeno a immaginare che certe vette di poesia devozionale siano il frutto di una menzogna, o della piaggeria verso i mecenati (e Dawkins concorda con lui).

C’è dissonanza anche sull’effettiva pericolosità delle religioni, e se siano tutte ugualmente pericolose. Hitchens, in particolare, arriva addirittura a ritenere che i veri combattenti per la laicità siano i soldati americani impegnati in Iraq e Afghanistan e, per contro, che le stesse argomentazioni dei nuovi atei siano assolutamente prive di effetti. Il convertitore Dawkins non è per nulla d’accordo (e non soltanto lui, probabilmente). Sulla presa d’atto della divergenza termina comunque la discussione.

Alla fine, come evidenzia Dennett nella sua introduzione, “l’unico dogma condiviso è la fiducia nella verità, nell’evidenza e nella persuasione onesta”. Un dogma che, a ben vedere, può però essere condiviso anche da credenti. Harris ha ragione nel ricordare che la cultura, nelle sue varie forme, può costituire un’alternativa alla religione, ma è altrettanto vero che può conviverci serenamente. Dawkins rivendica agli atei sia “il coraggio intellettuale di accettare la realtà per quello che è: meravigliosamente e incredibilmente spiegabile”, sia “il coraggio morale di vivere pienamente l’unica vita che abbiamo: di vivere pienamente nella realtà, di goderne, e di fare il possibile per lasciarla in uno stato migliore di come l’abbiamo trovata”. La qualificazione dell’ateismo resta tuttavia in secondo piano rispetto alla critica alle religioni. Del resto, se ogni ipotizzabile realtà sovrannaturale è inesistente, l’ateismo è inevitabilmente vero di per sé, e non ha alcun bisogno di produrre qualche prova a favore.

E dunque, tirando le somme: l’evento fu veramente la scintilla di una rivoluzione, come pretende il sottotitolo, o fu soltanto la fugace istantanea di un incontro irripetibile? Né l’una né l’altra, probabilmente. I libri erano stati già pubblicati, il successo era stato già raggiunto, ma quel caminetto diede ulteriore energia a un movimento in pieno sviluppo. Banalmente, l’impatto maggiore lo si ebbe vedendoli insieme: i quattro incarnavano fisicamente una comunità reale. L’ateismo, in quanto pensiero condiviso, era ora visibile. Un altro muro era caduto. Era l’inizio di una nuova storia: se l’ateismo non avesse già tre millenni di vista alle spalle, potremmo quasi paragonarlo al concilio di Gerusalemme.

Pochi mesi dopo sarebbe iniziata la campagna internazionale sugli autobus. L’ateismo percorreva le strade di mezzo mondo, e anche l’altra metà non poteva più far finta di niente. Non potevano farlo la politica e i mezzi d’informazione, che hanno iniziato a parlarne molto più spesso. Non poteva farlo la comunità accademica, in cui hanno cominciato a fioccare gli studi specifici. E non potevano naturalmente farlo nemmeno i leader religiosi. In Vaticano sono tornati sui propri passi e hanno creato il Cortile dei gentili. Il grande imam dell’università Al-Azhar, costernato, ha preso atto che gli atei stanno minando le convinzioni islamiche “diffondendo le loro idee con spiegazioni semplici e comprensibili destinate alla gioventù”. In effetti, L’illusione di Dio ha ormai soppiantato Perché non sono cristiano quale testo ateo di riferimento, al punto che è nato un progetto per tradurre e diffondere gratuitamente i libri di Dawkins nei paesi musulmani.

Stephen Fry, nell’introduzione a The Four Horsemen, sostiene che la conversazione tra i quattro “ci ricorda che la ricerca aperta, il pensiero libero e lo scambio di idee prive di vincoli producono frutti reali e tangibili”. Oggi i “senza religione” sono in maggioranza in Gran Bretagna e il gruppo “religioso” più grande negli Stati Uniti. Nel nostro paese il più noto sociologo della religione, Franco Garelli, ha pubblicato un libro dal titolo Piccoli atei crescono. Dati alla mano il progresso è costante, ovunque, trainato dai più giovani. E può ancora accelerare. Perché il pensiero ateo ha un potenziale enorme, può volare ancora più alto ed è in grado di dare un contributo fondamentale alla creazione di un mondo migliore.

  P R E C E D E N T E   

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