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La VOCE ANNO XXI N°6

febbraio 2019

PAGINA 7

Immigrazione, così ha vinto il modello Rosarno



Cancellato il modello Riace, in Calabria comincia la stagione delle arance e si torna all'accoglienza vecchio stile. Baraccopoli, caporalato, truffe allo Stato. E razzismo.

Eccolo, il modello italiano dell'accoglienza. Basta vedere la situazione nelle baracche di San Ferdinando, a due passi da Rosarno, in Calabria. E lo smantellamento di Riace e del sogno del sindaco Mimì Lucano. Sul Venerdì del 9 novembre Alessia Candito e Livio Quagliata raccontano come vivono i migranti arrivati in Italia e trattati come schiavi nella raccolta delle arance. Paghe da fame per 9 ore di lavoro. Costretti a vivere tra le lamiere senza acqua e nemmeno luce. Eppure c'è chi, come il sindaco di Riace, aveva inventato un nuovo modi di integrare italiani e stranieri. Lo aveva fatto trasformando il suo borgo in un esempio di convivenza. Grazie agli immigrati, Riace aveva vinto lo spopolamento del centro storico. Sempre grazie a loro, l'economia era ripartita. Ma questo modello non piaceva a tutti e un'inchiesta che ha coinvolto Lucano, l'ha spazzato via. Un viaggio tra i vicoli del paesino calabrese, fotografa la situazione. Tra botteghe chiuse e riacesi pronti a lasciare la loro terra. Infine Alessandra Ziniti ci spiega come il nuovo decreto sicurezza impatterà negativamente sulla gestione dell'immigrazione.

Archivio opuscoli-manifesti diffusi e affissi in prov. di Varese anno 2010



- A Rosarno i braccianti africani si sollevano contro i soprusi padronali. Le "bande ordiniste" locali scatenano la "caccia al negro". La polizia completa il "repulisti" trasferendo gli insorti nei "CIE" di Crotone e di Bari. Non si è trattato di uno scontro campale tra "neri" e "bianchi", ma di un momento allargato di "guerra sociale" e civile tra proletari e servitori del supersfruttamento del lavoro. Il "razzismo" è il paravento di turno per lo sfruttamento feroce della manodopera di colore e quando occorre per la "pulizia etnica". La realtà di classe è che l'ordine attuale, la legalità imperante, poggia, qualunque sia la forma del lavoro salariato (in regola o a nero), sulla razzia della forza-lavoro e del salario al Sud e al Nord.
Onore ai braccianti insorti a difesa della dignità umana e lavorativa!
Fuori gli arrestati e i deportati nei "CIE"!
Pagamento immediato di tutti i salari maturati!
Salario minimo garantito di 1.250 euro mensili intassabili a favore di disoccupati e sottopagati!
Fronte proletario di tutti i lavoratori locali e immigrati per lo sviluppo della guerra sociale antipadronale e antistatale!

Quanto è avvenuto il 7 l'8 e il 9 gennaio [2010] a Rosarno nella piana di Gioia Tauro in Provincia di Reggio Calabria è un momento allargato della guerra sociale degli sfruttati contro la razzia padronale del lavoro; uno spaccato dell'inasprimento violento dello scontro sociale nella realtà meridionale. E merita una attenta riflessione e soprattutto un deciso
adeguamento pratico, organizzativo e operativo. Proviamo, con questa presa di posizione, di rispondere alla duplice esigenza. Il sollevamento dei braccianti africani un consolidamento e un'estensione della determinazione di classe dimostrata nella rivolta del 19 settembre 2008 a Castel Volturno

A Rosarno, uno dei 33 comuni della Piana di Gioia Tauro specializzata nella produzione agrumicola e che conta 16.000 abitanti, sono concentrati circa 2.000 immigrati africani, provenienti dall'area subsahariana e dal magreb, che dormono in periferia in condizioni sottobestiali. La Piana è dominata dal caporalato e dal lavoro nero. All'immigrato, che sgobba dalla mattina alla sera e che ha una apprezzata competenza agricola, viene corrisposto dagli agricoltori un salario di 25-30 euro, che, al netto del compenso al caporale, si riduce in media a 20 euro giornalieri. La condizione di questi immigrati è di supersfruttamento feroce. A Rosarno, contro gli immigrati, c'è stato sempre un clima di sopraffazione e di violenza, vuoi per tenerli schiacci vuoi per derubarli. Un episodio, che fa da premessa agli avvenimenti attuali, è il ferimento di due ivoriani il 12 dicembre 2008, cui ha fatto seguito una vibrante protesta pacifica degli immigrati. Supersfruttamento e soprusi, perpetrati da padroni e estortori, sono quindi i termini specifici dei rapporti sociali in loco.

Giovedì 7 gennaio tre giovani a bordo di una vettura nera sparano a bruciapelo con una pistola ad aria compressa su due immigrati ferendone uno al braccio. L'azione lesiva è la scintilla che fa divampare l'incendio. Gli immigrati si riversano sulle strade e assaltano le auto che transitano vicino. Cacciano gli autisti e i passeggeri per potere sfogare la rabbia sulle cose. Mandano in frantumi diverse vetrine dei negozi condannando l'ennesima prepotente aggressione. Il punto centrale della rivolta è la fatiscente ex fabbrica Rognetta ove passa la notte un migliaio di braccianti. Gli insorti innalzano barricate dando fuoco a copertoni cassonetti e immondizie e ad alcune vetture. L'altro punto è costituito dall'altro squallido dormitorio, uno stabilimento della ex Opera Sila in rovina, a Sud del paese ove si accalcano svariate centinaia di immigrati. Nella notte gli insorti preparano la dimostrazione di venerdì mattina.

La giornata dell'8 gennaio lo scontro campale tra gli insorti e le "bande ordiniste"

Il venerdì 8 gennaio è la giornata di mobilitazione degli immigrati nonché delle bande ordiniste che aizzano alla contro-rivolta e lanciano la caccia al negro. La mattinata è dominata dalla forza di movimento degli immigrati. In massa essi muovono verso il Municipio per parlare col commissario prefettizio (essendo il Comune sotto commissariamento per complicità con la 'ndrangheta). Nel cammino lasciano una scia di cassonetti rovesciati di auto danneggiate di vetrine infrante. Scendono lungo la statale, ove vengono di solito selezionati dai caporali, fanno piazza pulita di ogni cosa che trovano davanti. La casa di un uomo che spara sul corteo viene circondata e lo sparatore sottratto ai dimostranti dalle forze dell'ordine. Il pourparlerin Comune non dà alcun esito e alla fine i dimostranti tolgono l'assedio e ritornano ai punti di partenza.

La seconda parte della giornata è dominata dalla reazione armata delle bande. Intanto un sedicente "comitato spontaneo" costituito dall'ex assessore di destra (Domenico Ventre) raccoglie le donne davanti il Municipio. Vengono chiusi i negozi. Le bande bloccano la statale per Gioia Tauro e attaccano gli elementi isolati. Due neri vengono colpiti alle gambe da una raffica di pallini da caccia; altri due vengono presi a sprangate; altri sei vengono investiti dalle auto e da una ruspa. Ci sono assalti e scontri in paese e anche nelle campagne circostanti. Gli immigrati fronteggiano a viso alto le bande finché negli scontri non ci sono armi da sparo; quando tuonano le fucilate essi ripiegano nei due fetidi dormitori. A Sud, a circa 100 metri dal dormitorio, si installa una banda munita di molotov e di armi da sparo. Il bilancio della giornata registra 53 feriti: 21 braccianti, 18 appartenenti alle forze dell'ordine, 14 locali.

La mancata solidarietà operaia il ripiegamento e l'internamento nei "Cie"

Nessun insorto poteva circolare a piedi senza incappare nelle fucilate delle bande. Il divario di efficienza dei mezzi impiegati negli scontri (bastoni e oggetti improvvisati da una parte contro molotov e armi da sparo dalla parte opposta) ha avuto la sua indubbia influenza nella sostenibilità degli scontri e gli insorti sono ripiegati. Ma ciò che ha influito in modo decisivo nel ripiegamento è il mancato appoggio, sociale e politico, alla battaglia dei neri. Innanzitutto è mancato l'appoggio dei quasi 500 immigrati magrebini che non si sono uniti al fronte di lotta e sono poi rimasti a disposizione dei caporali e delle imprese agricole. In secondo luogo è mancato l'appoggio da parte dei lavoratori di Rosarno. Nessun gruppo di operai si è mosso per solidarizzare coi braccianti. In terzo luogo tutto quell'insieme di elementi politici (associazioni di volontariato e anti-razzisti), che orbita attorno agli immigrati, si è tenuto completamente fuori dalla mischia e ha lasciato che il coraggioso slancio di difendere la dignità umana contro gli spietati sfruttatori e estortori locali ripiegasse su se stesso. Al termine della serata gli insorti si trovano tra due fuochi: tra il fuoco delle bande e quello della polizia. E si rendono conto che non possono rimanere più a Rosarno. Dal canto suo la polizia continua ad ammonire i braccianti ad andare via per evitare di essere uccisi e fa sapere che il Viminale ha assicurato che tutti verranno lasciati liberi. Nella notte viene sgomberata la Rognetta. Più di 500 immigrati, con mezzi propri o col treno, cercano di raggiungere Castel Volturno. Circa 700, scortati dalla polizia, vengono trasferiti nei Cie di Crotone e di Bari. Il 9, mentre continua ancora la caccia al negro (nelle campagne di Fabiana e di Collina viene recuperata un'ottantina di stagionali e portata in stazione), viene sgomberato il dormitorio dell'Opera Sila. Gli internati presso i Cie toccano il migliaio. Sette vengono arrestati. Molti braccianti non sono stati pagati e non conoscono né il nome dei caporali né quello dei proprietari. Il sollevamento finisce quindi con la fuga, sotto la minaccia esterna delle bande, dei dimostranti dai dormitori; e con la deportazione accettata, sull'impegno preso ma non mantenuto dal Viminale, della gran parte nei Cie.

Dal suo svolgimento ed esito derivano i seguenti insegnamenti: a) la sollevazione è un moto di guerra sociale; e, per la sua determinazione e consapevolezza proletaria, rappresenta una crescita rispetto alla rivolta di Castel Volturno del 19 settembre 2008 contro i pogrom; b) insorgendo contro l'ennesima aggressione i braccianti africani hanno affermato con nettezza il diritto al rispetto umano e alla parità di trattamento; c) la forma radicale e travolgente con cui è stata espressa questa rivendicazione, a prescindere da ogni sbavatura (che non merita qui di essere discussa), ha scosso gli equilibri locali provocando un contraccolpo conservatore di carattere fascio-leghista; d) la rivendicazione anche di un diritto elementare, che comporti una modifica dei rapporti sociali, esige un'adeguata organizzazione di lotta; e) ogni azione di lotta, che miri alla modifica dei rapporti sociali, esige un'attrezzatura adeguata di lotta, idonea ad attaccare e difendersi.

..segue ./.

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