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La VOCE ANNO XXI N°6

febbraio 2019

PAGINA 6

Nell’anniversario dell’assassinio di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht



Il 15 gennaio 1919 Rosa Luxemburg veniva assassinata a Berlino – insieme a Karl Liebknecht – dalle squadracce paramilitari dei c.d. Freikorps, esecutrici degli ordini del governo socialdemocratico tedesco guidato da F. Ebert e G. Noske, terrorizzati dalla rivoluzione bolscevica e dal tentativo insurrezionale – la rivolta di gennaio che dal 6 al 15 gennaio 1919, su impulso della Lega di Spartaco, aveva infiammato le speranze del proletariato tedesco. Il suo assassinio, e le brutali modalità dello stesso, rimasero impresse nella memoria degli operai e dei proletari che in quegli anni cruciali avevano trovato nella rivoluzionaria polacca una indomita guida.
Per lei, come per pochi altri rivoluzionari, la prima guerra mondiale aveva segnato lo spartiacque definitivo, la rottura insanabile, il punto di non ritorno, con la socialdemocrazia, responsabile del massacro – socialdemocrazia in precedenza già fermamente criticata, dalla Luxemburg, nella denuncia del revisionismo di Bernstein e dell’attendismo di Kautski – tanto che già nel 1915, insieme a Liebknecht aveva fondato il Gruppo Internazionale, che sarebbe poi diventato la Lega di Spartaco, e dal dicembre 1918 aveva contribuito alla costituzione del Partito Comunista di Germania.
Dopo il periodo delle calunnie staliniane – intellettuale piccolo-borghese, la definì il piccolo padre dei popoli – le è toccato l’oblio e – ancor peggio – per un certo periodo di tempo, le è toccato assurgere ad idolo di tutti gli antileninisti di turno, che ad ogni piè sospinto hanno rammentato le sue critiche al bolscevismo, pur di dar fiato alle trombe antipartito e contro la dittatura del proletariato.
Non è questo il luogo per ricostruire il suo apporto critico alle modalità dello sviluppo della rivoluzione russa né il suo contributo alla analisi economica marxista.
Ciò che in questa sede ci preme rammentare è che Rosa Luxemburg è stata - prima di tutto – una comunista che ha individuato nell’organizzazione politica partito – e lo dimostra la sua vita - non solo lo strumento necessario per l’effettiva emancipazione del proletariato bensì l’unico strumento idoneo a risolvere concretamente i problemi che nascono dalla rivoluzione proletaria, prima, durante e dopo la stessa.
Nel pieno della dinamica rivoluzionaria russa scriveva che il partito di Lenin : è il solo che abbia capito la legge e il dovere di un partito veramente rivoluzionario e che attraverso la parola d’ordine : tutto il potere nelle mani dei proletari e dei contadini, ha risolto la famosa questione della maggioranza della popolazione che, da sempre, pesa come un incubo sul petto dei socialisti tedeschi. Ed ancora, in ordine alla dittatura socialista, scriveva che la stessa : non può indietreggiare davanti a nessun impiego dell’autorità per prendere o impedire delle misure nell’interesse della collettività, rispondendo agli interessati critici del leninismo, nella consapevolezza dei limiti delle possibilità storiche, che : sarebbe una cosa sovrumana esigere da Lenin e compagni, in simili circostanze, di dare quasi per incanto la migliore democrazia, la dittatura modello del proletariato ed una fiorente società socialista (…) In Russia il problema poteva solo essere posto ma non risolto. E’ in tal senso che l’avvenire appartiene ovunque al bolscevismo.
Nel quadro della presentazione – rivolta in particolare alla gioventù – di articoli e documenti storici pubblichiamo, di seguito, un articolo apparso sul Soviet – settimanale della sezione napoletana del Partito Socialista Italiano – nel numero del 26 gennaio 1919 – dal titolo: Nella rossa luce del sacrificio – apparso nella immediatezza dei fatti, sulla morte di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht.

Il “Decreto sicurezza” va cancellato con l’unità d’azione del proletariato!



La mobilitazione di massa contro il “Decreto sicurezza”, voluto dal ministro reazionario e razzista Matteo Salvini, va acquisendo in questa fase un significato politico centrale.

Questa legge approvata a forza di voti di fiducia dalla maggioranza parlamentare populista, è stata pensata, voluta e approvata per dividere, disorganizzare e immobilizzare il proletariato autoctono e immigrato.

E’ la sintesi della politica del governo del “peggioramento”, che agisce come forza organizzata del capitalismo italiano per aumentare la pressione e il
controllo sulla classe operaia, data l’impossibilità dei populisti di soddisfare le esigenze dei lavoratori.

Gli articoli del “Decreto sicurezza” sono volti da un lato a rendere più ricattabili i lavoratori provenienti da altri paesi per far accettare loro salari da fame, assenza di diritti, soprusi e angherie da parte di padroni e caporali; dall’altro a criminalizzare e reprimere le pratiche di lotta di tutti gli sfruttati contro gli sfruttatori.

Lo dimostra l’articolo 23 che su richiesta dei padroni della logistica, trasforma in un reato, punito con pene pesanti e multe salate, il blocco stradale e ferroviario, i presidi, i picchetti, tradizionali e irrinunciabili forme di lotta della classe operaia occupata e disoccupata, italiana e immigrata, la cui necessità è sempre più avvertita dai settori di proletari in lotta per rispondere colpo su colpo all’offensiva capitalista e governativa.

Se guardiamo alla lotta dei gilet gialli in Francia, basata sui picchetti stradali, capiremo meglio il vero motivo di questa norma: impedire lo sviluppo di movimenti di protesta di massa, che mettono in crisi i piani dell’oligarchia finanziaria, reprimere chiunque osi alzare la testa ricorrendo a forme di lotta che colpiscono seriamente gli interessi dei capitalisti.

Ma la legge Salvini va anche oltre: inasprisce le pene (fino a quattro anni di reclusione!) per gli occupanti di edifici come le fabbriche e le case sfitte, mentre i licenziamenti fioccano e nelle grandi città viene scatenata un’ondata di sgomberi che gettano sulla strada, al freddo, intere famiglie; estende l’applicazione del Daspo urbano, per colpire gli elementi di avanguardia della classe che vogliono protestare sotto i palazzi del potere borghese, come recentemente accaduto ai cinque operai licenziati dalla Fiat-Fca).

La lotta contro il “Decreto sicurezza” non è solo necessaria, è anche urgente, perché le sue norme disumane, discriminatorie e antioperaie, e la volontà del governo che le applica, causano seri danni nelle file del proletariato: lo dividono, lo costringono ad arretrare e a perdere diritti, a combattere con le mani legate, come vorrebbero padroni e capi sindacali, mentre l’offensiva reazionaria si fa sempre più violento.

Il problema da affrontare è come lottare efficacemente nelle nuove condizioni, come contrastare l’applicazione della legge Salvini, che è un aspetto della liquidazione delle libertà democratiche portata avanti dalla classe dominante.

Noi comunisti (marxisti-leninisti) sosteniamo che la reazione politica borghese, e le leggi che da essa derivano, non si sconfiggono con i proclami umanitari, ma solo con l’unità di azione del proletariato, col fronte unico di lotta.

Questa è la via attraverso la quale possiamo spezzare l’attacco del populismo di destra che esegue la volontà dei settori più reazionari dei capitalisti.

Questa è la preoccupazione costante dell’azione politica che svolgiamo nella classe, a partire dalle lotte quotidiane che entrano sempre più in urto con l’apparato statale.

Non possiamo permettere che il “Decreto sicurezza” divida ancor più le nostre file.

Dunque l’intero proletariato deve comprendere la necessità di organizzarsi nel suo fronte unico e nei suoi organismi (comitati operai e altri organismi eletti direttamente dalla massa) per dare vita all’azione diretta contro la classe dominante, partendo dalle lotte parziali sino alla lotta per il potere.

Vi è chi ancora non si rende conto di questa necessità e pensa di potere con le sole sue forze di ribaltare la situazione, compiendo un grave errore di valutazione, isolando la questione del “Decreto sicurezza” dalla difesa degli interessi di classe, e isolandosi dalle masse lavoratrici.

Ma vi sono molte forze del movimento operaio e sindacale che invece comprendono la necessità di unirsi e lottare contro il nemico di classe e perciò spingono in questa direzione, sapendo che migliaia e migliaia di operai che bloccano strade e ferrovie non possono essere mandati in tribunale, che è la classe operaia che deve “disapplicare” in massa questa legge repressiva e razzista.

Ciò è il risultato dell’esperienza pratica, ma anche dello sforzo ostinato dei settori più coscienti del proletariato per favorire l’unità di lotta degli sfruttati, smascherando e denunciando i collaborazionisti e tutti gli opportunisti che vi si oppongono.

Occorre fare tutto il possibile affinché questa tendenza si rafforzi, affinché si stabiliscano piattaforme, accordi di lotta, patti d’azione che indichino fra gli obiettivi della lotta in comune la rottura della “legalità” razzista, la non accettazione dell’anticostituzionale “Decreto sicurezza” e il suo immediato ritiro, stringendo i legami della solidarietà di classe di fronte alla reazione e alla repressione borghese, alla politica di guerra imperialista che si sviluppa fuori casa e dentro casa.

Quanto allo sviluppo della mobilitazione, registriamo che le centinaia di realtà che hanno promosso la manifestazione nazionale del 10 novembre contro il governo Salvini-Di Maio e la sua politica razzista e antioperaia, hanno deciso di inserire fra i punti della piattaforma “#indivisibili” il ritiro del “Decreto sicurezza” e di promuovere dal 2 al 9 febbraio una settimana di iniziative e mobilitazioni contro questa legge infame.

Appoggiamo questa iniziativa e vi parteciperemo attivamente, per caratterizzarla dal punto di vista di classe. Ma essa è ancora insufficiente.

Bisogna lavorare per spingere allo sciopero generale, per la difesa degli interessi economici e politici della classe operaia, tutti i sindacati di lotta, tutti i delegati combattivi, tutti i lavoratori!

"IL PRESIDENTE DEI RICCHI"

Mario Albanesi
Nel giudizio di un italiano che vive in Francia sulle manifestazione francesi c'è riprovazione per il modo in cui i mezzi di informazione hanno raccontato le motivazioni della popolazione riducendole a futili motivi.


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