La VOCE   COREA   CUBA   JUGOSLAVIA   PALESTINA   RUSSIA   SCIENZA 

Stampa pagina

 Stampa inserto 

La VOCE 1710

  P R E C E D E N T E   

    S U C C E S S I V A  


GIÙ

SU


La VOCE ANNO XX N°2

ottobre 2017

PAGINA G         - 39

Segue da Pag.38: L’eredità della Secular Conference 2017: la libertà dalla religione come diritto umano

Come ha ben spiegato a Londra Pranga Patel, fondatrice delle Southall Black Sisters, “la libertà di espressione e di pensiero sono fondamentali, sono scritti nella Dichiarazione dei diritti umani universali e sono il cardine di ogni altro diritto, quindi sono connessi all’autodeterminazione, alla libertà di cultura e di professare, o non professare, la religione, senza essere minacciati da intimidazioni. Poter discutere e criticare è espressione di progresso, e viceversa il progresso si nutre della libertà di espressione. Tuttavia esiste un limite alla libertà di espressione, e per me questo limite scatta quando si diffondono odio e intimidazione contro le altre persone o quando la libertà di espressione viene usata per manipolare e creare un contesto che fomenta la violenza attraverso l’uso regressivo della religione e della fede, che alimenta la violenza e l’odio. L’esercizio della libertà di espressione e di coscienza è fondamentalmente connesso con la libertà di dissentire. Come femministe dobbiamo occuparci del dissenso in varie forme: dissenso verso il patriarcato, verso il neoliberismo, verso il razzismo, verso ogni forma di discriminazione”.

Ciò che alla Secular Conference è stata ribadito in ogni panel è che la libertà di pensiero e di espressione non sono pienamente attuati se nel mondo ci sono paesi dove esiste il reato di blasfemia e apostasia e si rischia il carcere, e la morte, per accuse relative all’offesa della religione.

Secondo il recente report pubblicato dall’Economist, citato anche alla Secular Conference, si tratta di 71 paesi del mondo, a maggioranza islamica, nei quali l’attivismo laico e ateo è perseguito con una repressione violentissima, che quasi sempre colpisce donne e persone omosessuali, due categorie in prima fila nella difesa dell’universalità dei diritti.

L’esistenza così diffusa e persistente nel mondo dei reati di blasfemia e apostasia è un preoccupante indicatore di resistenza del totalitarismo politico su base religiosa.

“Non si tratta di un dibattito filosofico, ha sottolineato Imad Iddine Habib, fondatore del Consiglio degli Ex Musulmani in Marocco; si tratta di questione di vita o di morte per molte persone che si trovano a dover abbandonare tutto ciò che hanno solo per la paura di esprimere quello che sentono. Penso che sia importante stare a fianco e sostenere le persone coraggiose che osano sfidare le regole e alzare la voce dicendo di non essere d’accordo con le imposizioni religiose e di non avere problemi con l’omosessualità o l’apostasia”.

Alla domanda sul perché la libertà di espressione e di pensiero, le due parole chiave della Secular Conference 2017, siano così importanti l’attivista curdo-irachena Houzan Mahmoud non ha esitazione: “La libertà di espressione è sotto attacco nel mondo quando si cerca di criticare la religione, ogni religione: se lo fai nel caso dell’islam, però, il rischio in Occidente è quello di essere accusata di essere razzista o islamofobica. Questo è il motivo per il quale è importante enfatizzare la centralità della libertà di espressione e difendere il diritto alla laicità”.

È il nodo più evidente che a Londra ha percorso tutti gli interventi, come emerso in modo potente nei due momenti di apertura e chiusura dell’assise londinese, affidati rispettivamente a Inna Shevchenko, leader del gruppo Femen, e a Zineb El Razoui, giornalista di Charlie Hebdo.

Mentre la prima ha sostenuto che diritti delle donne e religioni sono incompatibili, El Razoui si è rivolta direttamente alle seconde generazioni in Europa e alla sinistra, che crede di rendere un buon servizio alla causa migrante e antirazzista sottovalutando il fondamentalismo islamico e abbracciando il relativismo abbandonando l’universalismo dei diritti.

“Non ho dubbi sul fatto che l’estrema destra da fermare in Occidente sia l’islamismo - ha scandito El Razoui. Voglio dire agli europei e specialmente alla sinistra: ‘Non cadete in questa trappola. Ricordate cosa hanno fatto gli islamisti alle persone comuniste e di sinistra in Iran o in Afganistan; ricordate che gli islamisti sono finanziati dai peggiori sistemi capitalistici come l’Arabia Saudita o il Qatar. Queste persone non sono rappresentative della cultura del mondo musulmano. Voglio dire in particolare ai giovani musulmani che vivono in Europa: è una cosa buona se volete far conoscere la vostra cultura, ma allora imparate la lingua, scoprite la bellissima letteratura del mondo musulmano, scoprite la musica del mondo arabo invece di vestire un burka o un costume afgano pensando che questo rifletta la cultura del nord Africa”.

Per Zehra Pala, presidente dell’Atheism Association of Turkey “la laicità è importante per me come donna e come attivista in Turchia, perché è molto più difficile vivere nel mio paese, oggi diventato più islamista: il governo ha ristretto le libertà di espressione soprattutto nei confronti delle donne. Se giri per la strada con i pantaloncini rischi le botte perché i fondamentalisti ti attaccano; se vai alla polizia a denunciare le violenze ti viene detto che sei contro l’islam, visto come ti comporti, e quindi non ti difendono. Nel mio paese c’è una forte pressione sia in famiglia che a scuola affinché tu stia dentro una gabbia ideologica. Oggi a scuola, sin dalle elementari, viene insegnata la jihad e si è deciso eliminare dai programmi la teoria darwiniana dell’evoluzione perché si tratta di una visione laica. Come motivo il governo sostiene che il cervello infantile non può capire Darwin, ma mi chiedo: e invece nell’infanzia si possono capire le regole della jihad islamica? È una abile tecnica manipolatoria, perché è più facile avere consenso se sin dall’infanzia si indottrinano le menti. La violenza non è solo quella fatta al tuo corpo con lo stupro, ma anche quella che si fa manipolando le menti più fragili e malleabili. Il meccanismo adottato è anche quello della paura, perché a scuola si minacciano i piccoli dicendo che se non segui queste regole vai all’inferno. È così che sono stata educata anche io: la mia famiglia ha provato a fare pressione su di me, così come la scuola, ma non ha funzionato perché ero lì continuamente a fare domande. Per questo è così importante pensare in modo libero e, anche se ci sono pressioni, dobbiamo fare in modo che le persone possano pensare liberamente con la loro testa”.

Tutte le interviste realizzate alla Secular Conference 2017 sono disponibili qui.
Zineb El Razoui giornalista e scrittrice

Prevenire il terrorismo con la matematica?

di ELENA RINALDI *

Che differenza c’è tra i recenti attentati in Spagna e in Finlandia? O tra i precedenti in Francia? Mentre alcuni vengono preparati per tempo e organizzati da cellule di terroristi che hanno talvolta trascorso periodi di addestramento in paesi islamici, altri sono compiuti da individui arruolati sui social network o che agiscono per emulazione. Poiché non è pensabile blindare completamente città e luoghi di aggregazione, è possibile prevedere gli attacchi terroristici? Le risposte della matematica.

Dopo l’attentato dell’11 settembre l’America non è stata più la stessa. Dopo la barbarie terroristica degli ultimi decenni il mondo non è stato più lo stesso. E neppure la matematica. Il linguaggio della natura, come la definiva Galileo, ha dovuto in breve tempo modificarsi per cercare di descrivere i nuovi fenomeni che stanno sconvolgendo paesi nei quali sta ormai svanendo la memoria della guerra.

A oltre un anno di distanza dalla strage di Nizza ci si chiede se attacchi come quello possano essere evitati e se esista un modo per prevederli in futuro.

Il terrorismo è come un uragano, uno tsunami o un terremoto: imprevedibile ma, in un certo senso, matematizzabile. L’avvento di Internet ha permesso ai nuovi gruppi terroristici di svolgere la loro propaganda utilizzando canali come Youtube o siti internet e di fare proseliti a distanza attraverso i social network. La strategia del terrore prevede l’utilizzo dei mezzi di comunicazione di massa1 e negli ultimi decenni gli analisti hanno riscontrato un utilizzo sempre più massivo dei media digitali. Già nel 2011 un rapporto del Comitato di Sicurezza statunitense aveva affermato che i leader terroristici di al Qaeda2 consideravano la propaganda sui siti internet il 90% della lotta. La pubblicazione di video di decapitazioni, audio di estremisti inneggianti la lotta armata contro l’Occidente, hanno destato negli ultimi anni scalpore e indignazione nelle società democratiche di tutto il mondo.

Il Direttore dell’Europol, Rob Wainwright, ha affermato che, in una recente operazione di intelligence condotta da Stati Uniti e Europa, sono stati scoperti oltre 2000 articoli scritti da estremisti su 52 piattaforme tradizionali3. Per sfuggire al controllo dei servizi di sicurezza internazionali gli esperti informatici dell’ISIS stanno creando una piattaforma criptata per la comunicazione sui social media.

L’obiettivo degli jihadisti è quello di colpire l’Occidente dall’interno, di destabilizzare i Paesi usando i loro stessi cittadini come arma. La maggior parte degli attentati terroristici che sono avvenuti in questi anni, infatti, non sono stati causati da stranieri, bensì da individui che avevano la cittadinanza di quel paese.

Il terrorismo che viene dall’interno nasce in gran parte dall’opera di proselitismo online. Lo sanno bene i matematici che tentano di modellizzare il comportamento delle reti terroristiche mondiali per prevenire futuri attacchi. Cercando di ottenere il maggior numero di informazioni possibili quali l’accesso ai social network, la consultazione di pagine o di profili, la creazione di legami virtuali, come le amicizie in Facebook o i followers in Twitter, è possibile capire quali siano i leader di queste reti e in che modo possano incrementare la loro cerchia di contatti.

Nel modello del matematico Gordon Woo4 dell’Università di Singapore, ogni collegamento della rete può essere analizzato attribuendogli una certo peso, che dipende da un valore di probabilità calcolato a partire dal monitoraggio dei sospetti e dalla disponibilità di informazioni. Quando la probabilità supera una certa soglia, il modello permette di intercettare il sospetto terrorista. Lo studio delle reti dipende dalle definizioni che i matematici attribuiscono ai collegamenti.

Negli ultimi anni i ricercatori hanno notato che pensare al leader solo come a colui che ha il maggior numero di amicizie in una determinata parte di rete è riduttivo in quanto non spiega il fenomeno dei cosiddetti “lupi solitari” che, pur non avendo legami diretti con la rete terroristica, svolgono azioni autonomamente. Individui con personalità fragili o con un vissuto problematico, frequentando il mondo dei social network, possono venire in contatto con siti o entità virtuali che li inducono a simulare comportamenti violenti o a premeditare azioni stragiste. I video postati dall’ISIS5 su Youtube o su altre piattaforme sono stati costruiti mediaticamente per aver il maggior impatto, non solo sugli utenti che visualizzandoli rimangono sdegnati, ma anche su quelli che traducono la follia distruttiva in forza e ambiscono a diventare protagonisti del terrore.

Dal punto di vista matematico, il fenomeno dell’emulazione è descrivibile analizzando le reti in cui i legami fra gli individui, detti “nodi”, sono dati da amicizie virtuali che talvolta non sussistono nella vita reale. In quest’ottica viene definito “leader” colui (sia esso persona o pagina virtuale) che ha il maggior numero di visualizzazioni da parte di individui aventi affinità culturali, religiose o soggettive e dunque potenzialmente influenzabili.

Negli ultimi decenni sono stati creati diversi modelli6 che permettono di studiare l’evoluzione di alcuni gruppi. I ricercatori hanno raccolto tutte le informazioni possibili dai primi attacchi a New York e Madrid fino ad arrivare a quelli più recenti in Francia e hanno cercato di creare un algoritmo che permettesse, una volta individuati i leader, di capire le possibili configurazioni future della rete e le possibili misure per smantellarle. Se, per esempio, uno dei nodi viene eliminato perché imprigionato o ucciso nell’attentato, la rete non subisce una battuta di arresto, in quanto l’attentatore non è mai uno dei leader ma un nodo marginale del grafo. È dunque necessario agire sui nodi “pensanti”, detti anche “attrattori” perché in grado di stabilire molte connessioni nella rete.

Negli anni ‘70 Alan Hawkes, professore di statistica presso la Swansea University, ha sviluppato un modello matematico per la descrizione dei terremoti. Le sue equazioni si basavano sul principio che le scosse non sono sempre eventi indipendenti, ma alcune si verificano in una stessa zona nel corso del periodo di assestamento. Se si conoscono con precisione le condizioni del fenomeno in un certo istante è possibile descriverne l’evoluzione.

Le equazioni di Hawkes sono state poi utilizzate per cercare di prevedere l’andamento di eventi correlati, come epidemie, impulsi elettrici del cervello e, recentemente, anche per episodi di violenza e terrorismo7.

Tuttavia così come avviene per i terremoti, anche per le azioni terroristiche non è ancora possibile ottenere previsioni efficaci. Il modello presenta numerose variabili e propone diversi scenari. Inoltre si incontrano notevoli difficoltà nel reperimento di informazioni, spesso incomplete o indecifrabili. Ma la sfida più grande e che forse determina l’incapacità della matematica di descrivere in modo deterministico questo fenomeno, riguarda il fatto che, pur essendo manifestazione della parte peggiore dell’essere umano, il terrorismo è generato da uomini. È quindi decisivo lo studio sulla psicologia, sul vissuto e sulle influenze religiose e culturali dei singoli individui.

Quando la matematica, che è opera della mente umana, studia l’essere umano, si trova come in una sorta di circuito tautologico e deve quindi essere sempre in grado di riformulare modelli distruggendo i precedenti o riadattandoli alle nuove realtà. Così come per un uragano, uno tsunami o un terremoto, anche per il terrorismo la strategia migliore per affrontarlo rimane la prevenzione.

* Matematica e divulgatrice scientifica si interessa di storia della matematica. Collabora con testate giornalistiche, editoria scolastica e tiene conferenze nelle scuole. È autrice del libro Einstein & Associati per Hoepli editore.

NOTE

1 Paul Wilkinson, The media and terrorism: A reassessment in Terrorism and Political Violence, Routledge, 1997.
2 Riferimento
3 Riferimento
4 Gordon Woo, Intelligence Constraints on Terrorist Network Plots in Mathematical Methods in Counterterrorism, Springer, 2009.
5 Riferimento
6 Riferimento
7 Riferimento
(8 settembre 2017)

  P R E C E D E N T E   

    S U C C E S S I V A  

Stampa pagina

 Stampa inserto 

La VOCE 1710

 La VOCE  COREA  CUBA  JUGOSLAVIA  PALESTINA   RUSSIA   SCIENZA 
.

Visite complessive:
Copyright - Tutti gli articoli possono essere liberamente riprodotti con obbligo di citazione della fonte.