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La VOCE 1706 |
P R E C E D E N T E | S U C C E S S I V A |
La VOCE ANNO XIX N°10 | giugno 2017 | PAGINA 3 |
I primi della classe: "Sinistra Italiana" |
Non può esserci nessun motivo strategico di arrivare adesso e qui, se non quello di convergere in un punto preciso (quello che poi sarà il punto degli scontri). Ma ripetiamolo ancora una volta, perché non ci siano dubbi: gli autonomi non hanno fatto ancora niente. Nessuno, anzi, ha fatto ancora un bel niente se non sfilare in corteo. Eppure i poliziotti stanno convergendo già nel punto in cui avverrà lo scontro che, a detta dei giornali, sarà stato causato dai manifestanti. Quindi i poliziotti hanno già previsto che i manifestanti faranno qualcosa esattamente in quel punto e in quel momento? Se così è, allora hanno poteri di chiaroveggenza, perché lo sanno evidentemente almeno da un’ora. I poliziotti che vediamo in piazza Carlo Alberto diretti al punto in cui ci saranno gli scontri non sono di corsa: avanzano soltanto a passo sostenuto. Il che vuol dire che gli scontri ancora non sono iniziati, altrimenti correrebbero. Eppure è lì che stanno andando, precisamente tutti lì. Difatti noi arriviamo in piazza Castello e tutto è ancora tranquillo. Noi però, per via del bambino, andiamo via da lì, perché abbiamo visto con chiarezza i preparativi. E scusate, se insistiamo, ma occorre essere proprio ripetitivi, per farsi capire bene: nessuno di questi “preparativi” veniva dal corteo. Quello che abbiamo visto sono solo poliziotti e altri soggetti con il viso coperto lasciati indisturbati, che si preparavano a uno scontro, e si preparavano a uno scontro che sarebbe avvenuto in un punto preciso a un momento preciso. Tutti costoro erano sotto i portici o nelle vie laterali. Il corteo, invece, sfilava tranquillo in via Po. Siamo appena tornati a casa quando leggiamo degli scontri avvenuti proprio all’angolo con via Cesare Battisti, con una tempistica inequivocabile. L’articolo che leggiamo online risulta postato poco dopo il momento in cui noi siamo andati via. Questi i fatti. Quando ne parliamo a caldo su Facebook usiamo il termine “infiltrati”, perché tali ci sembravano quelli con il viso coperto. Abbiamo le prove che fossero infiltrati? No, naturalmente (come potremmo averle?), ma siamo pronti a scommettere che non fossero autonomi, e che fossero “benvisti” dai poliziotti, e che fossero soggetti quantomeno sospetti. E allora le domande che potete farvi anche voi sono: chi erano? Perché parlavano con i poliziotti prima degli scontri? Perché i poliziotti li hanno semplicemente ignorati dopo, quando noi (cioè due persone normalissime che per altro stavano badando a un bambino) ci siamo accorti perfettamente di loro e dei loro strani movimenti? Ma comunque rispondiate a queste domande, quello che abbiamo visto resta chiarissimo: le cariche della polizia erano organizzate, l’ordine era di convergere in via Cesare Battisti, chiudere quella parte di corteo e caricare, indipendentemente dal comportamento dei manifestanti. Questo ordine lo abbiamo prima origliato noi stessi (quando abbiamo sentito un poliziotto dire agli altri «Li chiudiamo là») e poi lo abbiamo visto eseguire (quando abbiamo visto le camionette arrivare da piazza Carlo Alberto). Molti, dopo, hanno testimoniato che le prime cariche della polizia sono partite “a freddo”, e cioè che i poliziotti avrebbero caricato quello spezzone senza alcun motivo apparente, causando una reazione che ha poi dato vita ai veri e propri scontri. Altri – come sempre – hanno parlato di “provocazioni” da parte dei manifestanti che avrebbero causato le cariche della polizia come reazione. E diciamo che noi, da testimoni, possiamo senza dubbio escludere questa seconda ipotesi. Ora, chiunque sia stato in piazza almeno un primo maggio a Torino sa bene che spesso i centri sociali cercano lo scontro; fa parte del gioco, non c’è nessun mistero. Quello che invece ci indigna, e dovrebbe indignare più persone, è il fatto che possano essere le forze di polizia a creare i disordini che poi dicono di reprimere con la forza, coinvolgendo innocenti e passanti. Questa non è, non dovrebbe essere la normalità. Questo è un abuso di potere che abbiamo visto negli anni della nostra repubblica, teorizzato da alti esponenti del nostro governo e messo in pratica su larga scala a Genova nel 2001. E, a questo proposito, ci permettiamo un’altra grande domanda, che speriamo possa tormentare voi come fa con noi. Ovvero: come mai i giornali non riescono a ricostruire bene i fatti? Perché gli articoli sono scritti sulla base delle dichiarazioni della polizia o dei politici, invece che da giornalisti che avrebbero potuto benissimo vedere con i loro occhi quello che abbiamo visto noi (mentre badavamo a un bambino piccolo sotto la pioggia)? Ma del resto tutti (almeno si spera) conoscete l’intervista rilasciata da Francesco Cossiga nel 2008, che ci pare riassuma chiaramente la situazione: «Maroni – diceva Cossiga – dovrebbe fare quel che feci io quand’ero ministro dell’Interno». Ossia? «In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito…». Gli universitari, invece? «Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città». Dopo di che? «Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri». Nel senso che… «Nel senso che le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano». Anche i docenti? «Soprattutto i docenti». * da http://www.ninin.liguria.it/ Antonio Paolacci è nato nel 1974 in provincia di Salerno e vive a Genova. È editor e curatore editoriale, direttore di collane di narrativa e saggistica, insegnante di scrittura creativa ed editoria. Come autore, ha scritto i libri: Flemma (Perdisa Pop, 2007 – Morellini, 2015), Salto d’ottava (Perdisa Pop, 2010), Accelerazione di gravità (Senza Patria, 2010), Tanatosi (Perdisa Pop, 2012) Piano Americano (Morellini, da ottobre 2017). Paola Ronco è nata nel 1976 a Torino e vive a Genova. È stata finalista al Premio Calvino 2006 con A mani alzate. Nel 2009 ha pubblicato il romanzo Corpi estranei (Perdisa Pop), seguito nel 2013 dal romanzo La luce che illumina il mondo (Indiana). Suoi racconti sono apparsi su riviste on line e in varie antologie, tra cui Tutti giù all’inferno (Giulio Perrone, 2006) e Love out (Transeuropa, 2012). 3 maggio 2017 - © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO Ultima modifica: 3 maggio 2017, ore 9:45 |
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