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La VOCE ANNO XIX N°6

febbraio 2017

PAGINA 6

Segue da Pag.5: Zagrebelsky: “Politici maggiordomi della finanza: hanno il terrore delle urne”

E la figuraccia in Europa, tra Farage e i Liberali?

Le darei meno peso politico: cattiva gestione d’un problema di tattica parlamentare, che accomuna sempre tutti coloro che stanno in un Parlamento. Sono altri i punti che i 5Stelle devono chiarire.

Per esempio?

Democrazia interna, selezione della classe dirigente, programma, politica estera, immigrazione. Sui migranti, a proposito di rimpatri, Grillo in fondo dice la stessa cosa del governo che veglia sulla nostra sicurezza, secondo la legge. Ma, non esistendo una posizione chiara o chiaramente percepita del M5S, qualunque cosa dica può essere accusato ora di deriva lepenista, ora di lassismo buonista.

I 5Stelle insistono per il referendum sull’euro.

La Costituzione non lo prevede. Ma un referendum informale per dare un’idea di massima degli orientamenti tra i cittadini, non vedo perché non sia possibile. Piuttosto, anche qui, occorre la chiarezza delle posizioni. Uscire dall’euro, come, quando e con quali conseguenze? Contestare l’Europa per distruggerla e tornare alle piccole patrie, o per rifondarla, e come? Tra tutti gli Stati attuali, o solo con il nucleo più omogeneo? E così via.

Se i 5Stelle vincono le elezioni, che succede?

Si farà di tutto per impedirglielo. Anzitutto con una legge elettorale ad hoc: quella proporzionale. Quando il Pd vinse le Europee col 41%, l’Italicum col premio di maggioranza a chi arrivava al 40% era la legge più bella del mondo. Ora che i sondaggi ipotizzano un ballottaggio vinto dal M5S, non va più bene e si vuol buttare via una legge mai usata: roba da perdere la faccia. Non per nulla la Commissione di Venezia e la Corte di Strasburgo nel 2012 (Ekoglasnost contro Bulgaria) hanno detto che non si cambia legge elettorale nell’imminenza delle elezioni. Ma anche qui arriva il conto di troppe miopie.

Quali miopie?

Dal 2013 una classe politica lungimirante avrebbe tentato di parlamentarizzare i 5Stelle. Invece li hanno demonizzati e ostracizzati. E ora non sanno più come neutralizzarli se non col proporzionale, che ci riporterà alle larghe intese Pd-Forza Italia. Nulla di scandaloso di per sé (vedi la grande coalizione tedesca). Ma in Italia il rischio è che sia l’ennesimo traffico di interessi, con fine ultimo di restare comunque a galla.

I 5Stelle non sono pronti per governare. Non le fanno paura?

Chi governa lo decidono gli elettori. Sotto certi aspetti, chiunque disponga del potere dovrebbe fare paura. A parte ciò, come già sta avvenendo dove governano i 5Stelle, le nuove responsabilità impongono loro di cambiare pelle, natura e, spero, anche toni: più oggettività e meno proclami. Se si pensa che il problema sia afferrare il potere, perché poi tutto scorra facilmente, ci si sbaglia di grosso.

Il M5S ha difeso la Costituzione dalla “riforma” , ma vuole il vincolo di mandato contro i voltagabbana, che ora vengono multati.

C’è una soluzione più semplice e costituzionale: il parlamentare è libero di cambiare partito e anche di votare come vuole, in dissenso dal suo gruppo. Ma, se lascia la maggioranza con cui è stato eletto per passare all’opposizione, o viceversa (caso molto più frequente), subito dopo deve decadere da parlamentare: perché ha tradito i propri elettori e ha stravolto il senso politico della sua elezione.

Lei vive a Torino: che gliene pare di Chiara Appendino?

Non l’ho votata, perciò posso dire in totale libertà che è una felice sorpresa. Ha detto che non tutto quel che s’è fatto prima è da buttare: ecco la forza della continuità. È più fortunata di Virginia Raggi, che a Roma ha trovato una situazione infinitamente più compromessa: lì è difficile salvare qualcosa del passato. Ma vedo che, ai 5Stelle in generale e alla Raggi in particolare, non si perdonano molte cose che si perdonano agli altri. Due pesi e due misure.

Anche a giornali e tv si perdonano bugie e falsità, mentre per il Web s’è perfino coniato il neologismo della “post-verità”.

Come se, prima del Web, l’informazione fosse il regno della verità! Da sempre la menzogna è un’arma del potere, lo teorizzava già Machiavelli. Il che non significa che la si debba accettare. Anzi, occorre combatterla, perché la verità è, invece, l’arma dei senza potere contro i prepotenti. La Verità non esiste, ma la verità sì. Almeno sui dati e sui fatti oggettivi. Poi le interpretazioni sono libere.

Si dice che il successo di Trump, della Brexit e dei 5Stelle contro gli establishment è colpa delle fake news sul Web.

Troppo facile. Le bufale del Web sono così dozzinali che chi ha un minimo di conoscenza può facilmente respingerle, perché quella è una comunicazione orizzontale: verità e bugie, spesso anonime o firmate da ignoti, non hanno autorevolezza e si elidono reciprocamente. Invece la somma delle bugie o delle reticenze diffuse dalla stampa e dalle tv sono firmate, dunque più autorevoli, ergo meno smentibili, perché quella è una comunicazione verticale. Occorrerebbe bloccare gli interventi anonimi sul Web, così sarebbe più facile distinguere chi è credibile e chi no. Se poi qualcuno diffama, si creino procedure giudiziarie rapide. La difesa della reputazione delle vittime è inconciliabile con i tempi lunghi. Ma le fake news diffuse per turbare l’ordine pubblico sono già ora materia penale. Per il resto, questa storia della post-verità mi pare un discorso falso: come se, prima, non esistesse e vivessimo nel paradiso della verità.

Che intende dire?

Da quando gli elettori disobbediscono regolarmente agli establishment, questi cercano scuse per giustificare le proprie sconfitte e per mettere le mani sull’unico medium che ancora non controllano: la Rete. Si sentono voci autorevoli domandare: ma non vorremo mica far votare gli ignoranti, anzi i “populisti”? Se lo chiedeva già Gramsci: è giusto che il voto di Benedetto Croce valga quanto quello di un pastore transumante del Gennargentu? La risposta, di Gramsci ieri e di ogni democratico oggi, è semplice: se il pastore vota senza consapevolezze, è colpa di chi l’ha lasciato nell’ignoranza; e se tanta gente vota a casaccio, è perché la politica non gli ha fornito motivazioni adeguate. Questi signori pensino a come hanno ridotto la scuola, la cultura e l’informazione: altro che il Web!

Grazie, professore.

(13 gennaio 2017)

"3 MILIONI E 300 MILA"

Pubblicato il 13 gen 2017 da Mario Albanesi
Dopo che la Corte costituzionale nella sua sentenza politica ha negato il Referendum per l’articolo 18, varrebbe la pena di rinunciare a questo strumento per gli altri due addossando alla Consulta ogni responsabilità.

Art.18, la Corte boccia il referendum.
Scandalo ma nessuna sorpresa

La sentenza della Corte Costituzionale che ha cancellato il referendum sull’articolo 18 era attesa ed era stata ampiamente preparata dalle "indiscrezioni" trapelate dalla stessa Corte sui suoi orientamenti. Il quesito referendario sarebbe stato bocciato perché "manipolativo", cioè perché sarebbe andato oltre la pura abrogazione del Jobsact, estendendo la tutela contro i licenziamenti ingiusti nelle aziende industriali e di servizio fino a i 5 dipendenti. Embè?

In Italia si sono già effettuati due referendum sull’articolo 18. Il primo promosso nel 2000 dai radicali per abolirlo, il secondo dalle sinistre sindacali e politiche, nel 2003, per estenderlo a tutti. Quindi non esiste cavillo che giustifichi ora la cancellazione di una consultazione sulla cui legittimità in tutte le forme, nel passato non ci sono state obiezioni. La sentenza della Corte è un puro uso di palazzo delle regole, uso nel quale è maestro Giuliano Amato. Nominato giudice costituzionale da Giorgio Napolitano dopo che Silvio Berlusconi non era riuscito a farlo eleggere presidente della Repubblica.
Nei referendum del 2000 e del 2003 non si raggiunse il quorum, ma il pronunciamento dei votanti fu chiarissimo e a maggioranza schiacciante: No all’abolizione della reintegra nel posto di lavoro, sola vera difesa contro il licenziamenti ingiusti; Si all’estensione di questo diritto cardine a tutto il mondo del lavoro.
I sondaggi ed il clima politico del paese dopo la vittoria del No al referendum costituzionale facevano intuire che questa volta il quorum sarebbe stato raggiunto e che il voto popolare avrebbe seppellito il Jobsact, come aveva fatto con la controriforma costituzionale. Il palazzo, non solo quello politico ma quello confindustriale e bancario con i loro protettori europei, avrebbe subìto un nuovo uppercut popolare e la via delle riforme liberiste sarebbe stata senpre più impraticabile. Ma proprio questa sua possibilità di successo ha condannato il referendum.
La Corte Costituzionale ha così scelto di difendere il palazzo, con una sentenza assurda sul piano della giustizia e del buonsenso stesso, ma sicuramente cavillosa a sufficienza per impedire il voto.
La stessa Cgil promotrice dei referendum ne esce male. La raccolta di firme era stata posta in alternativa alla mobilitazione dei lavoratori. Contro il Jobsact, così come prima contro la legge Fornero, il principale sindacato italiano non aveva fatto nulla di significativo, a differenza dei sindacati francesi contro la Loi Travail. Noi non facciamo lotte perdenti, noi vinciamo il referendum, dicevano i leader Cgil. Ecco il risultato, al quale ora si risponde con bofonchiamenti rassegnati, mentre ci si deve anche difendere dall’accusa di usare quei voucher che si vogliono abolire.
Oramai è chiaro che le riforme liberiste non hanno il consenso del popolo e il palazzo, che vuole continuarle, lo ha imparato. Per questo evita i pronunciamenti popolari come la peste. Dobbiamo saperlo, attrezzarci di conseguenza e finirla con chi non fa mai sul serio. Ci scandalizzano, ma non debbono sorprenderci.

UNA PIAZZA IN ONORE DI FIDEL CASTRO A MOSCA


Le autorità di Mosca hanno deciso di intitolare una piazza della città con il nome del defunto leader della Rivoluzione cubana, Fidel Castro. Lo ha annunciato Lunedi il capo del dipartimento delle relazioni sociali e del lavoro nel Comitato Pubbliche Relazioni della capitale russa, Nikolai Arshakián. Lo riporta Telesur.

"Il 25 gennaio, in una riunione della commissione delle unità territoriali, strade e stazioni della metropolitana di Mosca è stata approvata la proposta di dare il nome di Fidel Castro in un luogo a Mosca", ha annunciato.

La piazza si trova nel nord-ovest della capitale russa, nel distretto di Sokol, vicino alla via dedicata a Salvador Allende.

Arshakián ha spiegato che questa decisione deve essere approvata dal governo russo e passare attraverso alcune procedure ufficiali, che potrebbero richiedere tra uno o due mesi.

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