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La VOCE ANNO XIX N°40

giugno 2017

PAGINA d         - 32

Segue da Pag.31: A che punto è la guerra?

limitava ad intervenire militarmente solo in alcuni Paesi confinanti, di “sua competenza”, o comunque governati da comunisti (Afghanistan). Lo scontro non è più solo fra alleati dei due campi come succedeva durante la “guerra fredda” (1945-1990), ma le forze armate delle due superpotenze sempre più si ritrovano faccia a faccia nel supportare i loro rispettivi alleati. Infine non si può parlare di scontro fra imperialismi rivali: basta confrontare sulla carta geografica le posizioni della NATO nel 1990 e quelle attuali per rendersi conto di chi è l'imperialista e di chi invece difende il proprio spazio vitale.

Dal 2011, la Russia inizia una grande controffensiva diplomatica, economica e militare per bloccare l'espansionismo della NATO e rompere l'accerchiamento che si andava configurando anche sul lato sud, in Medio Oriente. Nel settembre 2015 interviene per salvare il suo storico alleato Assad e non perdere l'unica base navale russa nel Mediterraneo, quella di Tartus in Siria. Invece, gli Stati Uniti intervengono in Medio Oriente ufficialmente per debellare il terrorismo islamico, ma già dal 2014 gira in rete una foto “virale” che immortala il senatore USA John McCain a colloquio con Abu Bakr Al Baghdadi, futuro califfo dell'ISIS. Gli Stati Uniti, che già in passato hanno frequentato, finanziato e si sono avvalsi delle prestazioni di Al Qaeda per cacciare i sovietici dall'Afghanistan, commissionano all'ISIS la caduta dell'unico Stato laico e socialista rimasto in Medio Oriente: la Siria. Ecco perché le basi e il quartier generale dell'ISIS in Medio Oriente subiscono solo “blandi”, “simbolici” bombardamenti da parte dell'aviazione USA, come anche la stampa obamiana ammette. Questa sceneggiata cessa con l'intervento militare della Russia, che in casa propria ha sempre combattuto e stroncato brutalmente il terrorismo islamico in qualsiasi modo travestito (Cecenia). Quando l'aviazione russa inizia a colpire seriamente le ben note postazioni dell'ISIS in Siria, costringe gli Stati Uniti a fare altrettanto per non perdere la faccia, e a privilegiare un altro alleato: dagli ormai bruciati askari dell'ISIS al clan kurdo mafioso e filosionista di Masoud Barzani.

Sul piano delle alleanze, la Russia rinsalda i vincoli militari con l'Iran: gli aerei russi che bombardano le postazioni ISIS in Siria partono anche da basi iraniane, e le marine dei due Paesi hanno compiuto qualche mese fa esercitazioni congiunte nel Mar Caspio. In Iraq, altro suo storico alleato, la Russia punta sul vicepresidente Nuri Al Maliki, probabile candidato forte delle elezioni politiche della prossima primavera. In Libia Mosca si è legata al generale Haftar che ne controlla la parte orientale, la Cirenaica; e per annullare l'effetto delle sanzioni USA e UE, si sta proponendo con buoni risultati come partner commerciale in tutti i Paesi arabi, compresi quelli tradizionalmente in area USA come gli Emirati del Golfo.

La vittoria militare dell'asse sciita appoggiato dalla Russia che ha bloccato “l'estensione della democrazia alle zone del mondo arabo e musulmano che minacciano la civilizzazione liberale” provoca sconquassi nelle certezze degli analisti e getta nello sconforto i paladini dei “diritti umani” come BHL che, per un dovere di riconoscenza verso gli alleati kurdi, invoca un'altra guerra contro l'Iraq che con i suoi blindati ha conquistato Kirkuk costringendo i peshmerga a ritirarsi. Per la maggior parte dei commentatori, la responsabilità della sconfitta ricade sulla precedente amministrazione USA. Il vincitore del premio Nobel per la Pace preventivo a prescindere, viene accusato anche da parte di ormai ex oltranzisti obamiani di una politica estera balbettante, di dilettantismo nel gestire le guerre, di accondiscendenza verso i nemici dell'Occidente come l'Iran.

In un articolo intitolato Le guerre inutili del Medio Oriente e le apparenti vittorie degli USA pubblicato sul Corriere della Sera del 23 luglio scorso, Sergio Romano liquida le guerre attuali come “guerre inutili” per gli Stati Uniti definiti “il Paese più bellicoso e maggiormente incline ai conflitti” che però “non ha veramente vinto alcune delle sue guerre maggiori” (Corea, Vietnam, Iraq); “una democrazia militare in cui la ricchezza finanziaria, i progressi della scienza e quelli delle nuove tecnologie hanno creato il più raffinato e micidiale degli arsenali”, ma che non può vincere una “guerra asimmetrica in cui il nemico degli Stati Uniti ricorre ad armi di cui l'America non può servirsi: l'uso del soldato come bomba vivente, quello della popolazione civile come scudo umano, il massacro dei prigionieri, la distruzione del patrimonio culturale, gli attentati terroristici nelle retrovie del nemico”, Alla fine Romano si arrende: “Confesso di non sapere come sia possibile uscire da questo vicolo cieco in cui l'umanità del ventunesimo secolo sembra essere precipitata. I nemici esistono e devono essere affrontati, come nel caso dell'ISIS, con fermezza. Ma qual è oggi il senso e l'utilità di guerre che non possono essere vinte?”.

E' difficile a questo punto fare previsioni perché la matassa è sempre più aggrovigliata, ma ci si può provare partendo dalle certezze che questo finale di round in Medio Oriente ci sta lasciando. E' stata distrutta la struttura politica dell'ISIS sul territorio, il Califfato non esiste materialmente più, i combattenti stranieri hanno in buona parte lasciato il Medio Oriente, ma è probabile che quelli rimasti, la cui consistenza si ignora, si riorganizzino per continuare la lotta con guerriglia e attentati. La spartizione dei territori del Califfato non sarà indolore, i confini degli Stati vecchi e nuovi, saranno quelli deterrminati dal posizionamento degli eserciti sul campo. Comunque vada, i confini del Medio Oriente subiranno modifiche che a loro volta provocheranno ulteriori tensioni e contraddizioni. Kirkuk ne è solo l'avvisaglia.

La Russia, grazie all'accordo stipulato con Bashar, per la prima volta si installa stabilmente con basi militari in Medio Oriente e diventa punto di riferimento per la filiera sciita, da Teheran agli Hezbollah libanesi. Ma grazie all'alleanza con Haftar, che è a sua volta protetto da Al Sisi, assume un ruolo politico di primo piano anche nel Mediterraneo.

Gli Stati Uniti hanno subito in Medio Oriente una inaspettata battuta d'arresto, ma non per questo desisteranno dai loro obiettivi di predominio mondiale. Dopo la Siria, quale sarà il Paese in cui gli Stati Uniti tenteranno un cambiamento di regime? Il netto favorito sembrerebbe la Corea del Nord: mentre questo testo viene scritto una grande flotta USA naviga nel Pacifico dirigendosi minacciosamente verso il Mar del Giappone. Sarà guerra vera, nucleare o convenzionale con nucleare “tattico”, o gli USA vogliono solo constatare sino a dove Cina e Russia sono disposti a difendere un loro teorico “alleato”? Alla pari con la Corea del Nord troviamo l'Iran, che come Stato terrorista vanta più di 37 anni di anzianità, a cui Obama aveva concesso chances di riabilitazione, ma per il ruolo determinante avuto assieme alla Russia nel debellare la “fanteria americana” dell'ISIS, sta scatenando lo spirito vendicativo di Donald Trump; con Israele che scalpita per spezzare quella pericolosa filiera sciita che va dal Libano a Teheran. Ma attenzione al fronte europeo dove al momento sembra regnare una relativa calma. Qui la NATO continua a compiere grandiose manovre con i suoi alleati simulando un attacco russo, e la Russia risponde con esercitazioni congiunte con la Bielorussia di Alexandr Lukascenko, “l'ultimo dittatore europeo” come lo chiamano i democratici guerrafondai dirittumanisti come BHL. Sono soprattutto i tre Paesi baltici e la Polonia che non vedono l'ora di far scattare l'articolo 5 dell'Alleanza per innescare una guerra con la Russia …

Gli USA ammettono l’uso da parte dei terroristi di armi chimiche in Siria

Scritto da Paul Antonopoulos



Il primo vicepresidente della commissione parlamentare per la difesa e la sicurezza della Russia Franz Klintsevich ha detto ai giornalisti che Washington ha ammesso che i terroristi in Siria hanno utilizzato armi chimiche a Idlib contro l’esercito arabo siriano.

Questa è la prima volta che il Dipartimento di Stato americano ha ammesso che i terroristi di Jabhat al-Nusra non solo posseggono armi chimiche, ma li usano nella provincia di Idlib.

"…Certo, il semplice fatto che gli Stati Uniti hanno finalmente riconosciuto che i terroristi in Siria utilizzano armi chimiche, qualcosa che abbiamo noi già detto molto tempo fa, è molto importante…", ha detto Klintsevich.

"…È vincolante innanzitutto in termini psicologici. Penso che questo libererà le attuali autorità siriane da ogni ultimo sospetto…", ha continuato il primo vice-presidente della commissione per la difesa e la sicurezza del Consiglio federale.

"…Ma temo che per gli Stati Uniti questo passo potrebbe essere solo un episodio, e ciò non cambierà nulla nella sua politica: voglio dire in primo luogo il sostegno segreto e spesso esplicito dell'opposizione, che è fondamentalmente difficile da distinguere dai terroristi…Per abbandonare questo sostegno, occorrerebbe impostare un profondo cambiamento nell'intera politica nel Medio Oriente di Washington, ma non è pensabile per ora…”ha aggiunto.

20 ottobre 2017

da Fort Russ

Traduzione di Bruno C. per SOS Siria/CIVG

Putin: "La Russia non permetterà che il Donbass venga massacrato"

Scritto da Eduard Popov 20 Ottobre 2017

Il 19 Ottobre, durante una sessione del circolo di discussione Valdai, il presidente russo Vladimir Putin ha rilasciato un certo numero di dichiarazioni importanti e programmatiche riguardo non solo argomenti di attualità ma anche i fondamenti concettuali delle relazioni tra Russia e Occidente. Mentre queste affermazioni meritano un articolo più ampio e separato, qua ci limiteremo ad analizzare le affermazioni di Putin che riguardano il Donbass.

Secondo Putin, l'Ucraina dovrebbe garantire alle repubbliche del Donbass uno status speciale e varare una legge di amnistia per risolvere i conflitti nell'est del paese. Se questo non venisse fatto, lui sostiene, allora ogni ridefinizione del confine tra la Russia e le repubbliche non riconosciute porterebbe solo a una tragedia paragonabile alla pulizia etnica in Bosnia Erzegovina. "Sarebbe un massacro, ma non lo permetteremo", ha detto Putin.

Il leader russo ha anche ripetuto che l'attuale situazione in Ucraina non è altro che il risultato della presa al potere, incostituzionale e con le armi, di Kiev supportata dall'Occidente.

Il 20 Ottobre il responsabile dei rapporti con la stampa di Putin, Dmitry Peskov, ha chiarito le dichiarazioni del presidente russo. La presenza di osservatori internazionali sul confine tra Russia e Ucraina, ha enfatizzato Peskov, non salverebbe gli abitanti del Donbass dalla minaccia fatale a loro imposta da Kiev. "E' chiaro che questi osservatori possono essere seguiti dalle forze armate ucraine, e non solo da loro, ma anche da gruppi di estremisti ben noti per le loro azioni disumane" ha dichiarato Peskov. Il responsabile dei rapporti con la stampa del presidente russo probabilmente si riferisce ai "battaglioni di volontari" ucraini, alcuni dei quali, come il Tornado, il Donbas e Aidar, sono famigerati per i rapimenti, le torture e gli omicidi di civili. I ranghi di questi gruppi includono criminali (Aiden, Donbas) e nazisti motivati dall'ideologia (Azov) provenienti da Ucraina, Russia e paesi europei.

Putin ha anche lanciato un appello ai partner occidentali della Russa per tornare ai principi e alle modalità degli Accordi di Minsk. Pertanto, Mosca ovviamente non vede più il regime di Kiev come una parte seria e indipendente nelle negoziazioni. Peskov in particolare ha attirato l'attenzione su questo punto, ripetendo che ripristinare il controllo ucraino dei confini è "uno degli ultimi punti [degli Accordi di Minsk]". Infatti, gli accordi firmati il 12 Febbraio del 2015 sottolineano chiaramente la necessità di realizzare accordi chiari e consistenti prima di parlare di controllo dei confini. Solo dopo un cessate il fuoco completo, il ritiro delle armi pesanti, una totale amnistia, il rilascio di prigionieri di guerra e politici e l'organizzazione di elezioni locali, il nono punto del documento parla della definizione del confine controllato da DPR (Repubblica popolare di Donetsk n.d.t), LPR (Repubblica popolare di Lugansk n.d.t) e le guardie del confine ucraine.

Com'è ben noto, l'Ucraina non ha soddisfatto un solo punto degli Accordi di Minsk, ma continua a chiedere un passaggio di consegne sul controllo dei confini. In questa nota, Putin ha esposto molto chiaramente alla comunità internazionale un'idea di quello che accadrebbe se si desse all'Ucraina il controllo dei confini in modo prematuro e non seguendo quanto deciso dagli Accordi di Minsk. A tal fine, ha usato un'analogia con i fatti di Srebrenica.

Credo che questo paragone non sia stato fatto a caso. Putin avrebbe potuto menzionare i campi di morte organizzati dai musulmani bosniaci o croati, ma non ha menzionato altro che Srebrenica. Dunque, ha lanciato indietro il boomerang in direzione dell'Occidente. Dopotutto, sono stati i media occidentali, e in particolare quelli americani e tedeschi, che hanno creato il mito di un genocidio intrapreso dai serbi bosniaci. Il mito è stato poi applicato anche al Kosovo e Metohija come un pretesto per la dichiarazione di riconoscimento dell'indipendenza per lo stato criminale e terrorista del Kosovo. Chi è a conoscenza delle circostanze della guerra civile in Bosnia e Erzegovina sa molto bene che la pulizia etnica è stata portata avanti da entrambi le parti in conflitto. Il "massacro di Srebrenica" è un prodotto molto conosciuto per il consumo dei media occidentali e per questo è stato utilizzato da Putin.

Tuttavia c'è un'imprecisione in questo paragone, che credo che il presidente Putin abbia fatto di proposito. In termini etnici e religiosi, il popolo del Donbass, minacciato di massacro, non è diverso dai residenti delle altre regioni dell'Ucraina. Infatti, chi combatte nel UAF e nei gruppi paramilitari nazisti ha nomi russi e la DPR è capeggiata da un ucraino di etnia, Alexander Zakarchenko. Alla fine del Giugno 2014, ho anche visto un volontario della DRP dall'Ucraina occidentale.

Dunque, che Dio ce ne scampi, se le truppe ucraine entrassero nel Donbass, il conseguente massacro non sarebbe meramente etnico e religioso. Sarebbe un genocidio nei confronti della popolazione antifascista. Secondo me, sarebbe più corretto disegnare un'analogia con la Guerra Civile Spagnola, che ha portato enormi perdite e l'esodo di parte della popolazione che fuggiva alle atrocità del regime franchista. Certamente, il Donbass russo è diverso dal paese Basco o dalla Catalogna durante la Guerra Civile Spagnola, ma questa analogia ha una certa aderenza.

Tornando a Giugno, quando ho visitato le città di frontiera nella LPR, ho sentito un uomo di affari locale dire parole che riflettevano l'opinione generale della popolazione di Lugansk: "Se le truppe ucraine arrivassero qui, massacrerebbero tutti". Questo include chi ha supportato attivamente, fondato e difeso la LPR così come chi semplicemente non può lasciare le proprie case per scappare dalla guerra.

Il presidente Putin è perfettamente consapevole della minaccia potenziale di un genocidio ucraino in Donbass. Quindi, il suo messaggio non è diretto solo all'Occidente, che si sta muovendo per dare all'Ucraina il controllo dei confini trasgredendo gli accordi di Minsk, ma anche all'Ucraina stessa. La Russia, come ha detto Putin, non permetterà che la popolazione del Donbass venga massacrata. Poroshenko verrà ricordato come il Pinochet ucraino.

Da FortRuss - Traduzione di Giulia B. per civg.it



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