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La VOCE ANNO XX N°4

dicembre 2017

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Donne libiche, la sfida

Il progetto “le donne libiche e la cultura della libertà” arriva al Parlamento italiano.

di Alba Vastano 04/11/2017

Roma. Camera dei Deputati. il 27 Ottobre ero lì, nella sala del Mappamondo dove si è tenuto il seminario “Le donne libiche: unire idee e sforzi per vincere le principali sfide interne ed esterne”. L’Ordine dei giornalisti lo ha proposto agli iscritti nell’ambito della formazione obbligatoria. La tematica del seminario è inserita in un progetto di più vasta portata denominato “A sostegno delle donne libiche per affermare diritti e cultura nella società e in Costituzione. L’iniziativa segue un percorso importante, iniziato a Catania nel mese di giugno, per promuovere la ricostruzione democratica in Libia e la pace nel Mediterraneo. Il seminario è stato organizzato dalla Minerva soc. coop, una cooperativa no profit che opera in Italia, in Europa e nel Mondo nel settore della formazione, della comunicazione, nella cooperazione allo sviluppo, nella promozione della cultura e nell’affermazione dei diritti umani e civili. Ѐ sostenuto dal Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale.

In questo progetto di Cooperazione che abbraccia istituzioni italiane e un panel qualificato di donne libiche, le rappresentanze dei due Paesi sono chiamate a discutere e a confrontarsi “sugli strumenti giuridici, economici e sociali che in una fase di state building sono necessari per favorire il riconoscimento della parità di genere”. Ma sono anche propedeutiche a contrastare i fanatismi, gli integralismi e i traffici criminali che si celano dietro i flussi migratori che si articolano fra la Libia e l’Italia. Un'altra considerevole finalità del progetto è il determinare e riconoscere i ruoli di leadership femminile nell’attuale rinnovamento sociale della Libia e nel percorso verso un nuovo Stato.

Interessante, nel seguire il seminario, è stato il rilevare come le donne libiche che sono intervenute al tavolo dei relatori abbiano evidenziato determinazione e competenze, ma anche impegno e passione nel perorare la loro causa che è quella del riconoscimento dei diritti umani, soffocati e repressi dalle politiche dominanti nei rispettivi paesi, Italia e Libia. In particolare le relatrici libiche hanno relazionato sulla questione annosa dei traffici clandestini di persone, armi, petrolio. Per questi traffici la Libia, nella classifica dei Paesi più corrotti, occupa il sesto posto. Vaste zone del Paese sono incontrollabili, poiché anche gli ispettori del Ministero dell’Interno hanno paura ad avvicinarvisi, in quanto queste aree sono gestite da milizie, che attualmente nel Paese sono ben 1700. Ѐ un Paese allo sbando e molti giovani vengono attratti dal guadagno facile derivante dal contrabbando di esseri umani, ma anche dal petrolio e dalle armi.

I relatori e il progetto

Marina Sereni, Vicepresidente della Camera dei deputati, all’apertura del seminario assicura le attiviste libiche presenti che l’Italia s’impegnerà per facilitare il dialogo fra i due Paesi e la cooperazione internazionale, considerando però che “l’Italia non si può sostituire alla Libia” un Paese che è attualmente un’area cruciale per la stabilità dell’intero Mediterraneo. “La pace sia con voi, fratelli e sorelle del Parlamento italiano - dice Amal Altahir Alhaaj (Tobruk), prima donna candidato premier dopo Gheddafi. Il progetto di ricerca ‘Le donne libiche e la cultura della libertà’ ha coinvolto 400 donne dell’Est e dell’Ovest del Paese. I punti fondamentali della ricerca sono: L’accordo siglato dal premier Fayez Al Sarray e l’Italia. Le donne libiche sono contrarie all’accordo perché l’intesa sottopone la Libia a una grande pressione, perché porterà i migranti a restare in Libia, mentre quel che va fatto è aiutarli a casa loro”(ndr, Suona inquietante il richiamo all’appello Renzi/Salvini “Aiutiamoli a casa loro”, che è noto come sia riconducibile a ben altri fini che quello indicato dalle donne libiche).

E prosegue Amal spiegando l’organizzazione del progetto, anche in funzione del suo ruolo di presidente dell’associazione Free Communications Development. “Alle donne libiche coinvolte è stato chiesto di esprimersi sulle questioni chiave. Abbiamo bisogno di questo movimento femminile”. E sulla questione dei migranti ribadisce: “Bisogna sostenere i migranti nel loro Paese ed esercitare un maggior controllo nelle acque territoriali. L’Italia in questo non sta aiutando i migranti”. Fra gli interventi giunge la voce risentita di un’attivista libica: “Il Governo italiano contrasta le politiche per l’accoglienza ai migranti e i centri di accoglienza, in realtà sono centri di detenzione. Molti di questi centri sono clandestini

In Libia vi sono troppe milizie e una disoccupazione enorme, per questi motivi i giovani vengono attratti dalle armi, lo conferma Samira Elmasoudi (Tripoli). “Ѐ necessaria una formazione per far sì che le donne possano fare il loro ruolo in questa fase delicatissima del Paese. Gli ostacoli che si frappongono sono i traffici clandestini delle armi. Ѐ necessario unire le forze armate”. Sulle criticità del lavoro in Libia intervengono Lia Quartapelle, parlamentare (Commissione affari esteri e comunitari) Annamaria Meligrana, esperta di cooperazione, Turkia Alwaer, membro del Dialogo nazionale libico e Saleha Sdaga, docente

di diritto internazionale. Il tema verte sulla possibilità di investire in microprogetti per ridurre la disoccupazione giovanile e femminile e sul concorso di finanziamenti internazionali. “Quel che serve - dice Turkia Al Waer - è un progetto per risollevare l’economia del Paese, dove il reddito medio è di 50 dollari al mese e le donne sono sottopagate e non trovano un posto di lavoro. Bisogna sostenere le piccole medie imprese e favorire la concessione di microcrediti. Le donne siano parte attiva nello Stato e portatrici di progresso nella società libica”.

L’ultimo tema trattato dai relatori dei due Paesi verte sul grande impulso delle donne e delle Associazioni femminili a diffondere nelle scuole, tra i giovani, l’educazione alla tolleranza e alla libertà e a promuovere la ferma contrarietà al fondamentalismo islamista e all’uso delle armi. Un cammino che è una coraggiosa sfida tutta al femminile e che le donne libiche, parte del progetto, hanno assunto con responsabilità per diffondere la conoscenza dei fenomeni di corruzione che invadono il Paese e flagellano i diritti umani e sociali. Lo scopo ultimo è quello di ricostruire quel contesto culturale e civile che è condizione affinché i diritti vengano poi accolti, riconosciuti e giuridicamente definiti in Costituzione e garantiti effettivamente da leggi attuative.


Fonti:

Camera deputati: seminario donne libiche webtv

Le forze israeliane mandano avvisi di sgombero a 300 palestinesi in un villaggio beduino

TOPICS:BeduiniCisgiordaniaColonieDemolizioniEspulsione Di MassaGerusalemmeSoluzione A Due Stati
Ma’an News

17 novembre 2017

BETLEMME (Ma’an) – Secondo l’agenzia di informazioni Wafa, di proprietà dell’ANP, venerdì le autorità israeliane avrebbero distribuito avvisi di sgombero a tutti i 300 palestinesi residenti nel villaggio beduino di Jabal al-Baba, nel distretto centrale di Gerusalemme della Cisgiordania occupata.

La Wafa ha riferito che il personale dell’amministrazione civile israeliana, spalleggiato dall’esercito israeliano, avrebbe preso d’assalto il villaggio ed ordinato ai suoi abitanti di lasciare le proprie case.

Secondo la Wafa, Jabal al-Baba comprende 100 edifici, 58 dei quali sono case, mentre i restanti sono strutture per uso agricolo. “Poiché la comunità non è riconosciuta, la popolazione di Jabal al-Baba vive senza elettricità e riceve acqua solo da camion cisterna”, ha detto Wafa.

Negli ultimi anni le forze israeliane hanno demolito decine di case nella zona di Jabal al-Baba, molte delle quali costruite con l’aiuto dell’UE e di organizzazioni umanitarie.

In agosto hanno demolito un asilo infantile del villaggio.

La collina è popolata da circa 55 famiglie di beduini che hanno vissuto nella zona per 65 anni e sono costantemente minacciate di espulsione dalle loro case.

Circa 90 beduini palestinesi, in maggioranza bambini, sono rimasti senza casa quando, nel maggio 2016, le forze israeliane hanno smantellato le case prefabbricate donate dall’UE a Jamal al-Baba.

Jamal al-Baba, come altre comunità beduine della regione, è minacciata da Israele di espulsione forzata per il fatto di essere situata nel conteso “corridoio E1”, creato dal governo israeliano per collegare Gerusalemme est annessa con la grande colonia di Maale Adumim.

Le autorità israeliane pianificano di costruire nell’area E1 migliaia di case per colonie di soli ebrei , il che dividerebbe di fatto la Cisgiordania e renderebbe quasi impossibile la creazione di uno Stato palestinese contiguo – come ipotizzato dalla soluzione di due Stati al conflitto israelo-palestinese.

Le associazioni per i diritti umani e membri della comunità beduina hanno aspramente criticato i piani israeliani di ricollocazione dei beduini residenti vicino alla colonia israeliana illegale di Maale Adumim, sostenendo che lo sgombero espellerebbe palestinesi autoctoni in favore dell’espansione delle colonie israeliane in tutta la Cisgiordania occupata, in violazione del diritto internazionale.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)

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