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La VOCE ANNO XVIII N°6

febbraio 2016

PAGINA 4         - 24

Karim, il combattente italiano in prima fila contro il Daesh

Karim Franceschi Tatiana Santi

Tutti parlano del Daesh, ma in pochi hanno visto con i propri occhi i fatidici jihadisti. Karim Franceschi, un ragazzo italiano, ha combattuto in prima fila assieme ai curdi di Kobane contro i terroristi del Daesh.

"Il combattente" è il libro che descrive la resistenza di Kobane sotto assedio che Karim ha vissuto personalmente nello YPG, l’unità di protezione popolare curda. Che cos’ha visto Karim in questa guerra? L’efficiente gruppo ceceno del Daesh che attaccava Kobane, i bambini-soldato curdi che lottavano per resistere ai terroristi, il ruolo della Turchia, che "faceva entrare dal suo territorio intere colonne di Toyota dell’ISIS con tanto di bandiera".

Karim Franceschi Karim Franceschi ha raccontato a Sputnik Italia la sua storia di combattente a Kobane, una testimonianza preziosa di una guerra ancora da capire fino in fondo.
— Quando hai preso la decisione di unirti ai curdi di Kobane, ti ricordi quel momento?
— Ero andato lì a portare gli aiuti umanitari nell’ottobre 2014. Dormivo in un villaggio a 2 chilometri da Kobane e visitavo i campi profughi a Suruc, a 7 chilometri. Il cantone di Kobane contava 300 mila abitanti, la città 80 mila. Tre quarti della città furono catturati, tutto il cantone con 350 villaggi. I profughi scapparono verso il confine turco. Quando stavo lì raccoglievo testimonianze, portavo medicinali, vedevo i bambini-soldato che mi raccontavano che cosa accadde quando erano intrappollati a Kobane. In qualche modo dissi a me stesso che sono comunista e come potevo lasciare questi bambini combattere mentre io portavo i medicinali? Sentivo che dovevo fare qualcosa di più. I racconti che mi fecero i profughi mi ricordarono i racconti di mio padre e dei partigiani, che hanno combattuto in Italia nella II Guerra Mondiale. Parlo di quei sorrisi, quegli stessi modi di fare, quel mantenere la propria umanità anche nella guerra. Io sono cresciuto con i valori della resistenza.

A Kobane regnano paura e diffidenza Dormivo in questo villaggio a 2 chilometri dalla città, vedevo le esplosioni di notte, proiettili traccianti. Ho capito che dovevo andare lì a difendere quei valori, era quello il mio posto.
— Perché hai deciso di scrivere questo libro, qual è il suo messaggio principale?
— L’ho scritto in forma di libro d’avventura. Volevo raggiungere il più vasto pubblico possibile, volevo raccontare di questa eroica resistenza di Kobane. Volevo in qualche maniera raggiungere anche i miei coetanei.
Il secondo motivo è che volevo aiutare con questo libro la causa del Rojava, del confederalismo democratico. Parte dei miei proventi andrà alla ricostruzione di Kobane. Un aspetto molto importante di questo progetto è quello della ricostruzione. A Kobane ci fu la più grande sconfitta dell’ISIS, ma fu pagata cara dai curdi, perché la città è completamente distrutta. È tuttora distrutta e ci sono famiglie dei martiri, che hanno avuto fratelli, padri e figli morti e oggi hanno la casa senza tetto e senza muri. Adesso nevica a Kobane, nevica nel loro salotto. Una parte del progetto si basa sulla ricostruzione delle case dei martiri. Molti di questi martiri erano amici miei, vorrei aiutare le loro famiglie.
— Tutti parlano dell’ISIS (Daesh), in pochi l’hanno visto con i propri occhi. Tu hai combattuto in prima fila il Daesh a fianco con i curdi. Che cosa ti ha impressionato di più in questi mesi di battaglia a Kobane?
Presidente turco Recep Tayyip Erdogan

Erdogan, contro i curdi o contro l'Isis? — Non sono l’unico italiano, anche adesso ci sono altri combattenti italiani e di altre nazionalità: canadesi, americani. Assieme allo YPJ e lo YPG, unità di protezione popolare, compreso quello delle donne, i volontari si uniscono e entrano nel Rojava e partecipano alla campagna contro l’ISIS. Quando ho combattuto io c’era una decina di combattenti internazionali nel Rojava dalla parte di Qamishlo, a Kobane non c’era nessuno, eravamo solo in due sul fronte, io e un americano. La situazione era tragica, mancavano forze, eravamo circondati, eravamo inferiori numericamente 10 a 1. Loro avevano i Bmp, i carri armati, 50 corazzati. Non avevamo nulla per distruggerli, avevano preso ¾ della città, il confine turco era chiuso, la Turchia controllava il confine, non faceva passare i rinforzi e gli aiuti umanitari. La resistenza teneva ¼ della città, Mishtanour era presa dall’ISIS, parlo della collina più strategica. Quando sono entrato, era di notte, superando il filo spinato. Poi sono seguiti 4 giorni di addestramento in una piccola stradina di 50 metri, dove tutte le reclute erano assolutamente inadeguate, erano dei ragazzini.
L’ISIS sul fronte aveva mandato la loro corazzata cecena, hanno tanti gruppi al loro interno. Il mondo jihadista è pieno di gruppi come Al-nusra e Ansar Al Sharia. Anche nell’ISIS ci sono tanti gruppi, il gruppo che ci hanno mandato era quello più efficiente, il gruppo dei ceceni. Avevano 50 Bmp e i carri armati. Avevano anche i cecchini con armi di ultima generazione. I loro cecchini hanno fatto più danni dei carri armati. I carri armati non riuscivano a entrare per i blocchi stradali.
— Qual è il soldato medio del Daesh?

Serve porre fine alle relazioni segrete tra Turchia e il Daesh — Il loro soldato medio dentro Kobane sotto assedio era un soldato che probabilmente ha combattuto quando io indossavo il pannollino. Si trattava di veterani, avevano conosciuto tanti teatri di guerra, erano esperti con la loro arma addestrati, armati e appoggiati da uno stato membro della NATO che è la Turchia. Io racconto anche nel libro che ho visto con i miei occhi come la Turchia apriva il confine per fare entrare l'ISIS dal suo territorio. Faceva entrare intere colonne di Toyota dell’ISIS con tanto di bandiera. Questi ci attaccavano dal
confine. — La Turchia non ha nemmeno un ruolo ambiguo quindi, appoggia apartamente i terroristi del Daesh? — Sì, io l’ho visto con i miei occhi, non ho dubbi al riguardo. Quando sono andato verso Tell Abyad ero sul fronte vicino al confine turco, vedevo con i miei occhi i soldati turchi con il mio mirino. Vedevo la gendarmeria turca e i combattenti dell’ISIS che entravano proprio attraverso quel confine. Mentre nella NATO finanziano i terroristi, c’è chi li combatte davvero Kobane è il simbolo della resistenza contro i jihadisti in Siria, esattamente un anno fa la città veniva liberata dai curdi. È una vittoria costata cara, la città è tuttora distrutta, ma con le sue macerie rappresenta una testimonianza di chi la guerra ai jihadisti l’ha fatta per davvero.

Il Daesh rappresenta una minaccia per tutti, è un male da sconfiggere, allo stesso tempo però c’è chi parla ancora di "ribelli moderati", cioè combattenti di Al Qaeda o al-Nusra. Ci sono Paesi, anche membri della NATO come la Turchia, che finanziano i tagliagole comprando il loro petrolio e che facilitano il passaggio dei jihadisti verso la Siria attraverso il proprio confine.

Il libro di Karim Franceschi Tra i combattenti che hanno liberato Kobane c’era anche Karim Franceschi, un ragazzo italiano. Nel libro "Il combattente", edito da Rizzoli, Karim ripercorre la resistenza di Kobane e le sue battaglie contro il Daesh nelle fila dello YPG, l’unità di protezione del popolo curdo. Sputnik Italia ha parlato con Karim Franceschi della sua esperienza e del ruolo della Russia nella lotta contro il Daesh.
Come ritiene Karim, l’intervento russo in Siria è importantissimo, perché "ha permesso un cambiamento. La Russia è uno di quei Paesi che sta realmente combattendo i jihadisti, ha un atteggiamento molto più chiaro su questo e combatte tutti i terroristi senza distinzioni".
— Ti sei unito ai curdi per combattere contro i jihadisti. Com’era organizzata la resistenza curda di Kobane?
— Lo YPJ e lo YPG sono le unità di protezione del popolo curdo, sono le unità difensive del Rojava. Il Rojava è nato come primo esperimento democratico in Siria. L’FSA (Esercito siriano libero) è democratico, ma il problema è che qualsiasi banda di criminali può diventare FSA. Queste unità vanno di gruppo in gruppo: puoi trovare il comandante onesto oppure il criminale. Non parliamo poi dei "ribelli moderati", fra di loro c’è al-Nusra, cioè Al Qaeda, sostenuta, amata e finanziata dalla Turchia.
Il Rojava è l’unico sistema all’interno della Siria, che non chiede l’indipendenza, ma l’autonomia, è un sistema basato sulla democrazia reale, sul femminismo in una terra dove le donne sono costrette a mettere il velo e obbedire al marito. Nel Rojava le donne possono diventare generali, sindaci. Inoltre le diverse etnie e religioni convivono: gli aziri, i cristiani, i musulmani vivono insieme, formano una coalizione che si chiama "Forze democratiche siriane".
— Che ne pensi dell’intervento russo in Siria? Possiamo dire che la lotta contro i jihadisti è diventata più massiccia dopo quest’intervento?

Israele: il Daesh fornisce petrolio alla Turchia già da molto tempo — L’intervento della Russia in tutto questo è importantissimo, perché la Turchia in questo momento sta finanziando l’ISIS, sta comprando il loro petrolio, abbiamo visto prove fotografiche di questo ultimamente. La Turchia ci ha minacciato di continuo, ogni tanto ci sparava contro qualche carro armato dal confine turco, specialmente vicino a Tell Abyad nel cantone di Kobane. Gli americani in tutto questo, certo, ci danno supporto a livello di bombardamenti, ma non danno armi, non danno supporto politico. La Turchia ogni volta ne combina una nuova. La coalizione non le dice niente. Intanto il Rojava è sotto embargo. La battaglia all’ISIS diventa ancora più difficile.

Non USA, ma Russia ha messo in fuga Daesh in Siria: distorta propaganda Occidente L’intervento della Russia ha permesso un cambiamento. La Russia è uno di quei Paesi che sta realmente combattendo i jihadisti e lo fa senza il compromesso che usano gli Stati Uniti, parlando della Turchia come di un alleato. È un’ipocrisia, perché la Turchia non è alleata, sappiamo che tutti i jihadisti passano attraverso la Turchia, la quale continua a combattere contro i curdi siriani.
La Russia ha un atteggiamento molto più chiaro su questo e combatte tutti i jihadisti senza distinzioni. Come noi nel Rojava non distinguiamo l’ISIS e al-Nusra. Noi li chiamiamo tutti "criminali".
— Il Daesh è un nemico di tutti. Vista la tua esperienza diretta, secondo te come si può sconfiggere il Daesh, bastano le bombe?
— Quando c’è stato l’attentato a Parigi a novembre ero nel Rojava, mi trovavo con un volontario francese. È stato chiaro in quel momento per noi due e per tutti: la battaglia contro l’ISIS è una battaglia di tutta l’umanità. Tutti quelli che credono nei valori umani e nella libertà sono obiettivi legittimi dell’ISIS. Non importa se ti trovi in Francia, in Italia o in Siria. La loro macchina militare è pronta a colpirti per quello in cui credi. Loro odiano la democrazia.

Lavrov: per sconfiggere ISIS comunità internazionale deve congiungere gli sforzi Come sconfiggere l’ISIS? Questi popoli si devono unire, si devono mettere da parte gli interessi geopolitici e del petrolio e bisogna combattere l’ISIS. Non bastano le bombe buttate su Raqqa, non serve mandare il proprio esercito. Noi contiamo fra Iraq e Siria 80 mila combattenti dell’ISIS. Non puoi mandare 100 mila marines a sconfiggerli, faresti il loro gioco. In questo scontro loro vogliono richiamare alle crociate.
Bisogna sostenere quei popoli in cui ci riconosciamo nel pensiero, nelle parole e nei valori. Bisogna sostenere quei popoli che credono nei valori democratici, dare loro la possibilità di sconfiggere l’ISIS. Vanno sostenuti con i bombardamenti e finanziamenti, vanno addestrati e armati, ma soprattutto sostenuti politicamente. Questo significa sanzionare la Turchia, anche se è membro della Nato.

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