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LA VOCE 1604 |
P R E C E D E N T E | S U C C E S S I V A |
La VOCE ANNO XVIII N°8 | aprile 2016 | PAGINA h - 32 |
Il tempo delle fonti fossili è scaduto |
7% del valore della quantità di petrolio estratto o al 10% del valore della quantità di gas estratto. Non tutta la quantità di petrolio e gas estratto è però soggetta a royalty. Le società petrolifere non versano niente alle casse dello Stato per le prime 50.000 tonnellate di petrolio e per i primi 80 milioni di metri cubi di gas estratti ogni anno e godono di un sistema di agevolazioni e incentivi fiscali tra i più favorevoli al mondo. Nell’ultimo anno dalle royalty provenienti da tutti gli idrocarburi estratti sono arrivati alle casse dello Stato solo 340 milioni di euro. Il rilancio delle attività petrolifere non costituisce un’occasione di crescita per l’Italia? Secondo le ultime stime del Ministero dello Sviluppo Economico effettuate sulle riserve certe e a fronte dei consumi annui nel nostro Paese, anche qualora le estrazioni petrolifere e di gas fossero collegate al fabbisogno energetico nazionale, le risorse rinvenute sarebbero comunque esigue e del tutto insufficienti. Considerando tutto il petrolio presente sotto il mare italiano, questo sarebbe appena sufficiente a coprire il fabbisogno nazionale di greggio per 7 settimane. Le riserve di gas per appena 6 mesi. Le ricchezze dell’Italia sono altre: Il turismo. Si stima che le presenze complessive nelle destinazioni marine italiane siano state circa 253 milioni nel corso del 2013, con un impatto economico stimato in oltre 19 miliardi e 149 milioni di euro. Importante sottolineare infine come secondo il rapporto “Impresa Turismo 2013” (Unioncamere, 2013) il patrimonio naturalistico delle nostre destinazioni balneari è la prima motivazione di visita per i turisti stranieri. La pesca, che si esercita lungo i 7.456 km di costa entro le 12 miglia marine, produce circa il 15% del PIL marittimo e dà lavoro a circa 60.000 persone (dati ISFOL). Il patrimonio culturale, che vale il 5,4% del PIL e che dà lavoro a circa 1,5 milioni di persone (dati Federculture), con un fatturato annuo di circa 40 miliardi di euro. Il comparto agroalimentare, che vale l’8,7% del PIL, dà lavoro a 3 milioni e 300.000 persone con un fatturato annuo di 119 miliardi di euro e che nel solo 2014 ha conosciuto l’esportazione di prodotti per un fatturato di circa 34,4 miliardi di euro (dati Nomisma). La piccola e media impresa, che conta circa 4,2 milioni di piccole e medie “industrie” (e, cioè, il 99,8% del totale delle industrie italiane), e che costituisce il vero motore dell’intero sistema economico nazionale: tali imprese assorbono l’81,7% del totale dei lavoratori del nostro Paese, generano il 58,5% del valore delle esportazioni e contribuiscono al 70,8% del PIL. Il solo comparto manifatturiero, che conta circa 530.000 aziende, occupa circa 4,8 milioni di addetti, fattura 230 miliardi di euro l’anno, equivalente al 13% del PIL nazionale, e contribuisce al totale delle esportazioni del Made in Italy nella misura del 53,6% (dati Confapi). Però gli italiani utilizzano sempre di più la macchina per spostarsi. Non è un controsenso? Ciò che si estrae in Italia non è necessariamente destinato alla produzione del carburante per le autovetture ed ancor meno per quelle in circolazione nel nostro Paese. Tuttavia gli elevati consumi di petrolio nel settore dei trasporti potrebbero essere notevolmente diminuiti con una seria politica di mobilità sostenibile per le persone e per le merci nelle aree urbane, ma non solo. Secondo l’Unione europea, rispetto agli altri Stati membri, al riguardo l’Italia è agli ultimi posti. Cosa ci si attende? Il voto referendario è uno dei pochi strumenti di democrazia diretta a disposizione degli italiani ed è giusto che i cittadini abbiano la possibilità di esprimersi anche sul futuro energetico del nostro Paese. Nel dicembre del 2015 l’Italia ha partecipato alla Conferenza ONU sui cambiamenti climatici tenutasi a Parigi, impegnandosi, assieme ad altri 194 Paesi, a contenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi centigradi e a seguire la strada della decarbonizzazione. Fermare le trivellazioni in mare è in linea con gli impegni presi a Parigi e contribuirà al raggiungimento di quell’obiettivo. È necessario, nel frattempo, affrontare il problema della transizione energetica, puntando anche sul risparmio e sull’efficienza energetica e investendo da subito nel settore delle energie rinnovabili, che potrà generare progressivamente migliaia di nuovi posti di lavoro. Il tempo delle fonti fossili è scaduto: è ora di aprire ad un modello economico alternativo. Perché questo referendum? Per tutelare i mari italiani, anzitutto. Il mare ricopre il 71% della superficie del Pianeta e svolge un ruolo fondamentale per la vita dell’uomo sulla terra. Con la sua enorme moltitudine di esseriviventi vegetali e animali – dal fitoplancton alle grandi balene produce, se in buona salute, il 50% dell’ossigeno che respiriamo e assorbe fino ad 1/3 delle emissioni di anidride carbonica prodotta dalle attività antropiche. La ricerca e l’estrazione di idrocarburi ha un notevole impatto sulla vita del mare. Le attività di routine delle piattaforme possono rilasciare sostanze chimiche inquinanti e pericolose nell’ecosistema marino, con un forte impatto sull’ambiente e sugli esseri viventi, come dimostrano i dati del ministero dell’Ambiente relativi ai controlli eseguiti nei pressi delle piattaforme in attività oggi nel mare italiano. Anche la ricerca del gas e del petrolio, che utilizza la tecnica dell’airgun (esplosioni di aria compressa), incide, in particolar modo, sulla fauna marina: le emissioni acustiche dovute all’utilizzo di tale tecnica possono elevare il livello di stress dei mammiferi marini, modificare il loro comportamento e indebolire il loro sistema immunitario. Possono provocare inoltre danni diretti a un’ampia gamma di organismi marini – cetacei, tartarughe, pesci, molluschi e crostacei – e alterare la catena trofica. Senza considerare che i mari italiani sono mari “chiusi” e un incidente anche di piccole dimensioni potrebbe mettere a repentaglio tutto questo. Un eventuale incidente – nei pozzi petroliferi offshore e/o durante il trasporto di petrolio – sarebbe fonte di danni incalcolabili con effetti immediati e a lungo termine sull’ambiente, la qualità della vita e con ripercussioni gravissime sull’economia turistica e della pesca. (A cura del Comitato nazionale Vota SI per fermare le trivelle) Posted by: Andrea Martocchia |
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