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LA VOCE 1604

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La VOCE ANNO XVIII N°8

aprile 2016

PAGINA b         - 26

Segue da Pag.25: “Abbiamo sprecato 40 anni parlando di niente, facendo niente.”Pappé demolisce il processo di pace

posto in cui le chiavi erano state perse.

La chiave non era stata persa nella soluzione dei due stati, nell’idea della spartizione, non è stata persa nel paradigma del conflitto in Palestina come guerra tra due movimenti nazionalisti. La chiave è stata persa nell’oscurità della realtà di un processo colonialista.
Siamo giunti ad un momento critico del conflitto. Abbiamo bisogno di abbandonare i paradigmi storici che negano che questo sia colonialismo. È importante per gli occidentali che si insista sul fatto che questo è un progetto colonialista affinché sorga una nuova comprensione di massa su come risolvere il problema, ponendo fine al sionismo.

La necessità è che si faccia una grande pressione sulla società israeliana affinché emerga l’antisionismo radicale. Professori, studenti, giornalisti ed attivisti occidentali hanno ruoli importanti da giocare qui. Bisogna supportare il movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni, ha detto Pappé. Bisogna parlare dell’apartheid e del genocidio. Quando ha tenuto una conferenza nella sua Università, l’Università di Exeter in Gran Bretagna, sul tema del colonialismo, l’ambasciata israeliana, il consiglio dei deputati della comunità ebraica e persino l’ufficio del primo ministro, tutti chiamarono l’università nel giro di 12 ore per dire che non volevano che si permettesse all’evento “antisemita e filo-nazista” di avere luogo. La scuola tenne duro (questo aneddoto mi ha colpito per la sua dismisura).

Il colonialismo nelle ere passate si è tradotto in genocidio. I recenti modelli di decolonizzazione sono misti. All’Irlanda del Nord è servito molto tempo ma la situazione oggi è molto migliorata rispetto al passato. La stessa cosa accade in Sud Africa, anche se oggi sopravvive l’apartheid economica. Lo Zimbabwe non è una risposta e non lo è neppure l’Algeria, ha detto Pappé. Troppo violente ed intolleranti. E si deve tenere in considerazione il caos scoppiato in Syria ed Egitto al crollo delle autorità tradizionali. Ma questi non sono motivi per preservare l’oppressione israeliana. Le persone imparano dai propri errori. Ma abbiamo bisogno di prendere a cuore la situazione in fretta. I palestinesi dovrebbero cambiare il loro modello per discostarsi da quello del Fronte di Liberazione Nazionale (algerino) a quello dell’African National Congress (in Sud Africa), anche se non è questo il momento di sollevare questa urgenza. E gli occidentali non dovrebbero legittimare l’Autorità Palestinese.

La sfida: “Possiamo aiutare dall’esterno, possiamo costruire dall’interno una cornice per una relazione tra la terza generazione di coloni e gli indigeni?”. Sì.

Per la maggioranza degli israeliani un discorso simile sembrerebbe provenire da marziani ma non è importante. Dobbiamo insistere, perché abbiamo sprecato 40 anni parlando di niente, facendo niente, portando milioni di dollari nella West Bank che non hanno risolto nulla, creando istituzioni palestinesi che non significano nulla. Abbiamo perso tempo, abbiamo perso energie. E non ho intenzione di continuare, sono troppo vecchio. C’è una generazione più giovane che capisce questi problemi, sia in Israele che in Palestina e penso che stiano iniziando a costruire un nuovo discorso.
La fine dell’intervento di Pappé è stata piena di speranza. Lo scopo finale del sionismo era quello di frammentare la popolazione palestinese, di separare rifugiati da indigeni, occupati da esiliati e di impedire loro di comunicare. Facebook ha cambiato tutto questo. Il sionismo non aveva previsto internet, che sta costruendo ponti attraverso tutti questi gruppi, dando loro potere.

E se in questa università insisterete ad insegnare la storia di Israele e Palestina come storia di una colonizzazione, ad insegnare cosa siano apartheid e genocidio e continuerete a supportare movimenti come il BDS “avrete un pizzico di coscienza in voi, quindi non sopporterete le politiche messe in atto sui palestinesi e la storia vi giudicherà come le persone che hanno contribuito ad un futuro migliore in Israele e Palestina.”.
Sento la fondamentale necessità di aggiungere tre commenti personali.
In primo luogo, la stanza scoppiava di persone. Il senso di eccitazione nell’assistere ad un discorso di questo leader intellettuale era palpabile. La gente ha letto il libro di Pappé sulla puliza etnica ed il suo recente libro con Chomsky. Lo vedono come un esperto, erano completamente rapiti nell’ascoltare. C’erano molti avvenimenti all’Università di New York la notte scorsa, e tuttavia questo era un evento importante. La gente sa della Palestina ed i giovani non taceranno su questo argomento. Il movimento che per lungo tempo abbiamo tracciato è forte e vitale. C’era una grande diversità nella stanza, così come ascoltatori che sembravano essere docenti.

In secondo luogo, inizialmente è stato mostrato un breve documentario chiamato “Abu Arab” di Mona Dohar, su proposta del movimento Zochrot.
Non potrei dire abbastanza di questo film. Mostra una giovane donna, Muna Thaher, che accompagna suo nonno Abu-Arab al suo villaggio cancellato, vicino Nazareth. Ogni momento è delicato e spontaneo. L’anziano racconta storia della sua infanzia nel villaggio, prima che la sua famiglia venisse costretta ad andarsene, sua sorella uccisa e la salute di sua madre compromessa. Dice alla nipote che il ritorno è inevitabile, se non per la sua generazione, allora per la prossima. I semplici rapporti umani del film toccano parti della mente che nessuna analisi può raggiungere. La ragazza del film è dolce e premurosa, una donna qualsiasi che si batte per tutti con occhi aperti. Il documentario lascia questa idea: nessuno può disputare le proprie pretese di costruire un futuro sulla terra di questa donna.

In terzo luogo, un elemento del discorso di Pappé mi ha colpito come testimone. Si è spesso rivolto alla lobby interna in Israele che colonizza la West Bank ma non ha mai menzionato la lobby americana. Lo immagino come un marxista per pratica che non vuole entrare nella visione religiosa del conflitto. Ma in quale altro modo puoi spiegare l’anomalo eccezionalismo del colonialismo israeliano nel 20esimo secolo senza parlare della storia ebraica? L’anomala protezione del sionismo da parte dell’occidente è un prodotto del senso di colpa verso l’Olocausto da parte dei poteri occidentali, sì, ma non è una strategia imperialistica. È contro gli interessi statunitensi avere un Medio Oriente caotico come quello odierno, una instabilità che era stata perfettamente prevista dal Dipartimento di Stato 70 anni fa. Perché i presidenti degli Stati Uniti dovrebbero ribaltare gli interessi statunitensi? Perché sono dipendenti dalla lobby israeliana, dai finanziatori ebraici dell’ala destra. Triste ma elementare. Questo è il motivo per cui la Milbank Tweed supporta eventi sulle torture della CIA ma minaccia di ritirare il finanziamento ad Harvard in occasione di un evento palestinese. Questo è il motivo per cui il sionismo risponde ad un evento palestinese alla Vassar minacciando uno “sciopero dei finanziatori ebrei”. Questo è il motivo per cui Truman ha

violato un principio profondamento rispettato, quello della separazione tra chiesa e stato, allo scopo di tenersi stretti i finanziatori per le elezioni. Dobbiamo attribuire le responsabilità ai potenti ebrei sionisti americani che considerano un proprio dovere supportare uno stato ebraico. Questa discussione e questa decolonizzazione deve prima avvenire all’interno degli Stati Uniti per poter essere davvero realizzata.

Trad. L. Pal – Invictapalestina.org - Fonte.

Quarantuno bambini palestinesi uccisi nel periodo di violenza che entra nel sesto mese


I soldati israeliani hanno ucciso Mahmoud Mohammad Shaalan, 16 anni con la cittadinanza degli Stati Uniti, avrebbe tentato di accoltellare i soldati a un posto di blocco militare vicino a Beit El insediamento il 26 febbraio (Foto: AFP / Abbas Momani)


Ramallah, 3 marzo 2016, tre cugini palestinesi, tutti adolescenti, del villaggio cisgiordano di Halhul, nei pressi di Hebron, sono partiti il 5 febbraio per lanciare pietre contro i veicoli su una strada principale nelle vicinanze utilizzata dai coloni ebrei. Le truppe israeliane che pattugliano la zona li hanno visti. Uno dei tre cugini è sfuggito, un altro è stato catturato, e il terzo è morto per ferite multiple da arma da fuoco alla parte superiore del corpo.

Wajdi Yousef Mohammad Saada, 16 anni, ha raccontato a Defense for Children International – Palestine “Io e i miei cugini non abbiamo tirato sassi e non abbiamo fatto alcuna mossa che mostrasse che stavamo per farlo”.

Wajdi ha sentito due spari e ha visto suo cugino, Haitham, 14 anni, cadere a terra. “Un soldato poi mi è saltato addosso, mi ha tirato un pugno duro sul volto e spinto a terra, poi mi ha ordinato di togliermi la camicia”, ha detto Wajdi. “L’ho fatto, mentre guardavo Haitham.”

I medici palestinesi, che hanno esaminato più tardi il corpo di Haitham, hanno riferito a DCIP che uno dei proiettili l’ha colpito alla schiena, trafitto polmoni e torace, ed è uscito dalla bocca, uccidendolo all’istante.

Wajdi, d’altra parte, è stato bendato con le mani legate strettamente dietro la schiena con una singola fascetta di plastica. I soldati lo hanno trasferito ad una base militare nei pressi dell’insediamento ebraico di Karmei Tzur, dove è rimasto per diverse ore prima dell’interrogatorio nella stazione di polizia.

“Mi hanno portato fuori e fatto sedere in un cantiere per circa un’ora e mezza”, ha detto Wajdi. “Non hanno mai parlato con me, ma mi hanno tenuto là fuori nel freddo, legato e bendato.”

A mezzanotte e mezza, i soldati hanno portato Wajdi dentro per gli interrogatori. “L’interrogatore mi ha chiesto attraverso un interprete che cosa stavo facendo lì in quella zona e gli ho detto, ‘Nulla’”, ha detto Wajdi a DCIP. “inseguito, si è alzato, mi ha afferrato la testa, sbattuto contro il muro, mi ha schiaffeggiato duro sul mio volto, e poi mi ha spinto fuori dalla stanza.”

Un’ora più tardi, l’interrogatore ha riportato Wajd nella stanza. Ha mostrato a Wajdi un video con lui e i suoi cugini vicino alla strada principale. Wajdi ha detto a DCIP che non ha mostrato immagini con lancio di pietre.

L’interrogante ha voluto che Wajdi confessasse che Haitham, suo cugino, stava trasportando una bomba incendiaria, quando è stato colpito a morte. “Gli ho detto che non era vero”, ha detto Wajdi. “Lui mi gridò, batteva il tavolo, e mi ha detto di dire che stavamo portando molotov.” L’interrogante ha digitato le dichiarazioni di Wajdi in ebraico, ha rifiutato di tradurlo per lui, e lo ha costretto a firmare.

Un poliziotto ha scortato Wajdi fuori dalla stanza slegando le mani per la prima volta in quasi 11 ore. I soldati lo hanno poi trasferito al centro di detenzione di Etzion, dove ha trascorso la notte, il giorno dopo lo hanno portato alla prigione di Ofer.

Sia Haitham che Wajdi sono vittime di un periodo di violenza intensa, che è entrato nella sua sesto mese.

Quarantuno bambini palestinesi della Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, sono stati uccisi dal mese di ottobre, tutti tranne uno per mano delle forze israeliane. Di questi, 31 avrebbero tentato attacchi con coltello o pistola. Oltre 130 adulti palestinesi sono stati uccisi, secondo i media. L’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA) ha segnalato più di 2.177 bambini palestinesi della Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, feriti.

Gli assalitori palestinesi hanno ucciso almeno 28 israeliani durante lo stesso periodo.

In risposta alla crescente violenza, le forze israeliane sembrano rispondere alla regola “sparare per uccidere”, che in alcuni casi può configurare esecuzioni extragiudiziali.

RAMALLAH (Ma’an) – Centinaia di palestinesi del quartiere di Deir Debwan ovest di Ramallah Mercoledì ha partecipato al funerale di un adolescente palestinese americano che è stato ucciso dalle forze israeliane il mese scorso dopo un presunto tentativo di accoltellamento.

Uno di questi incidente ha avuto luogo il 26 febbraio, quando i soldati israeliani hanno ucciso Mahmoud Mohammad Shaalan, un ragazzo di 16 anni con cittadinanza statunitense, appena egli avrebbe tentato di accoltellare i soldati a un posto di blocco militare vicino all’insediamento di Beit El, a nord della West Bank a Ramallah.

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