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Mediterraneo in fiamme
La crisi economica mondiale, che si irradia dai grandi paesi capitalisti dell'Occidente verso i loro satelliti meno sviluppati, dopo aver sgonfiato i "miracoli economici" irlandesi e spagnoli e ridotto sull'orlo della bancarotta la Grecia e forse domani il Portogallo, ha duramente colpito i paesi arabi che si affacciano sulla sponda meridionale del Mediterraneo. I regimi corrotti delle ristrette borghesie filo-occidentali, dopo aver perso quei limitati margini economici che permettevano loro di redistribuire qualche briciola alle masse lavoratrici e di assicurare qualche posto di lavoro agli studenti, si trovano a dover affrontare la crescita della miseria e della disoccupazione e la perdita verticale dei consensi, o semplicemente la fine della rassegnazione popolare. Il primo regime a cadere è stato quello della Tunisia dove la protesta popolare ha visto risorgere finalmente dopo anni di declino e di assenza un fronte di forze di sinistra, tra cui lo stesso Partito Comunista. In Algeria già da tempo infuria la protesta, sfociata addirittura negli anni scorsi in una guerra civile strisciante condotta purtroppo da forze di caratteristiche religiose islamiche, mentre le forze laico-socialiste non sono riuscite, anche per i loro limiti teorici e pratici, a prendere la direzione della rivolta.
In Palestina l'atteggiamento ormai apertamente collaborazionista verso Israele e verso l'imperialismo statunitense dei circoli borghesi laici che si riconoscono nell'Autorità Nazionale Palestinese di Ramallah (vedi ad esempio le ultime sconcertanti rivelazioni di Al Jazira sui cedimenti di Abu Mazen) è duramente contestata anche qui dal movimento di resistenza islamica Hamas. Qualche segno di risveglio viene anche dal movimento di estrema sinistra costituito nel Fronte Popolare e dal movimento laico per il boicottaggio economico e culturale di Israele. Il paese chiave per sapere come si evolverà questa situazione esplosiva è il più importante ed antico della regione: l'Egitto. Qui finalmente masse di lavoratori, dopo un periodo di scioperi e proteste isolate, sono scesi massicciamente per le strade per contestare il regime del dittatore e falso democratico Mubarak e chiedere pane, lavoro, riforme ed un nuovo governo. Nel momento in cui questo articolo è scritto la situazione è aperta ed incerta. Non è nemmeno chiaro se la rivolta sarà condotta dal potente movimento islamico dei Fratelli Mussulmani, o se le forze di sinistra, dopo anni di repressione ed involuzione, sapranno imporre le loro tematiche ed i loro programmi.
La caduta del regime egiziano, stretto alleato di Israele e degli USA, avrebbe conseguenze incalcolabili per gli equilibri regionali e mondiali: la preoccupazione del governo statunitense, massimo sostenitore del regime di Mubarak, è evidente, così come i tentativi di intervenire per salvare il salvabile. Anche dal nostro lato della sponda mediterranea il regime berlusconiano appare in crisi travolto da scandali e scaldaletti: peccato che anche qui, nel momento di maggiore debolezza del governo, non appaia all'orizzonte una forza politica capace di imprimere una svolta reale, mentre gli esponenti del PD si affidano ai vari Draghi, Montezemolo, Marcegaglia e Marchionne.
La situazione comunque è in marcia, spinta dalla crisi strutturale del capitale: sullo sfondo appaiono sempre più solide le economie di paesi emergenti come la Cina (dove, qualunque cosa si voglia dire di quel paese, in ogni caso l'80% della produzione è ancora in mano pubblica) ed il Brasile. Resistono Cuba, la Corea Democratica, il Venezuela. Cresce anche il Vietnam e si appresta a superare l'Italia. La vecchia talpa di Marx sta continuando a scavare, anche se per vie traverse e indirette, causa soprattutto le insufficienze e le amnesie del movimento rivoluzionario internazionale.
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