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La VOCE  ANNO XIV  N° 4

DICEMBRE  2011

PAGINA  III

dall'impeto della rivolta a riparare nelle maggiori città. La risposta tedesca fu tremenda e piena di odio razziale: nei bilanci inviati agli alti comandi militari si rendeva conto dell'uccisione di migliaia di comunisti ma in realtà ad essere colpita indiscriminatamente fu l'inerme popolazione civile. Nelle direttive del capo di stato maggiore W. Keitel e del generale plenipotenziario per la Serbia F. Böhme, furono fissate precise quantità di ostaggi da fucilare come rappresaglia: per ogni soldato tedesco o Volksdeutsche ucciso o ferito bisognava uccidere rispettivamente cento e cinquanta ostaggi. I comunisti arrestati dovevano essere impiccati ed esposti pubblicamente come ammonimento per la popolazione. Le località ribelli dovevano essere date alle fiamme; tutta la popolazione maschile avviata nei campi di prigionia e di internamento mentre quella femminile destinata ai campi di lavoro[13]. L'applicazione di tali misure fu rigorosa. Già in aprile l'uccisione di un ufficiale della Wehrmacht aveva portato all'incendio del villaggio di Dobric. La distruzione di una motocicletta costò la vita di 122 ebrei e comunisti il 29 luglio. Nel periodo tra il 24 settembre e il 9 ottobre 1941 i tedeschi fucilarono nella Macva 1127 civili, internarono nei campi di concentramento oltre 21 mila persone, saccheggiarono e incendiarono numerosi villaggi. Identica sorte subì la popolazione maschile delle città di Šabac (circa 3 mila morti) e di Belgrado (4750 fucilati al 30 ottobre).

Ma le rappresaglie più spietate le truppe tedesche le commisero nell'ottobre del 1941 nella regione "rossa" della Šumadija: in pochissimi giorni le città e i villaggi di Kraljevo (almeno 2 mila morti), Krupanj, Gornj Milanovac, Meckovac, Maršic, Lapovo, Grošnica furono saccheggiate e incendiate mentre la popolazione maschile arrestata arbitrariamente per le vie e nelle case fu fucilata. Come ritorsione per gli attacchi partigiani tra Cacak, Valjevo e Gornj Milanovac, che avevano causato la morte di dieci soldati tedeschi e il ferimento di altri 26, il generale Böhme decise una grande azione di rappresaglia: vittima designata fu la città di Kragujevac, già distintasi nei mesi estivi per spettacolari azioni di guerriglia. Tra il 20 e il 21 ottobre 1941 almeno 5 mila persone (ma nelle testimonianze a carico dei responsabili durante il processo di Norimberga si è parlato di 7300 vittime) furono fucilate dalle truppe tedesche, dai collaborazionisti ljoticevci e dai Volksdeutsche. Come descrive lo Scotti nella sua appassionata cronaca della strage, i soldati tedeschi comandati dal maggiore plenipotenziario Köenig e i reparti volontari di M. Petrovic, rastrellarono palmo a palmo la città industriale in una grande razzia di uomini (10 mila arrestati). Non furono risparmiati nemmeno 300 studenti delle ultime classi del Ginnasio mentre i fascisti serbi scambiavano con le truppe tedesche propri simpatizzanti arrestati con bambini rom in un macabro baratto di uomini destinati alla morte. Condotti alla periferia della città innocenti, comunisti, ebrei, zingari, studenti, professori, detenuti, sacerdoti, operai, funzionari, ammalati e alcune donne furono fucilati dai plotoni di esecuzione tedeschi. Tra le stesse autorità germaniche si sollevarono dubbi sul reale potere deterrente della strage (esse lavorarono per nascondere la verità dichiarando «l'uccisione matematica di 2300 ribelli»), che al contrario rinfocolò l'odio della popolazione civile che andò ad ingrossare le fila della resistenza[14].

In quel periodo i partigiani comunisti erano riusciti persino a proclamare il primo territorio libero d'Europa, la cosiddetta Repubblica partigiana di Užice, che sopravvisse fino alla fine di dicembre, quando fu abbattuta sotto i colpi della prima controffensiva delle forze dell'Asse, che per tutta la sua durata nell'autunno del 1941 causò la morte di oltre 35 mila civili e un numero superiore di internati[15]. Dal mese di giugno le autorità militari tedesche avevano intrapreso la deportazione e l'internamento in massa della popolazione «ribelle» in numerosi campi di concentramento sul territorio serbo come quelli di Niš, Smederevska Palanka, Šabac, Cacak, Stari Trg, Kruševac, Zasavica, Pancevo, Sajmište, Banjica, nonché nei campi di sterminio in Germania. Centinaia di migliaia di serbi, ebrei, zingari (bambini compresi) furono massacrati al loro interno. Il genocidio ebraico era cominciato nel Banato nel settembre del 1941 (Jabuka) ed era proseguito con l'internamento degli ebrei di Belgrado e del resto della Serbia. Il 29 agosto 1942 i tedeschi affermavano con soddisfazione che «la questione ebraica in Serbia è stata completamente risolta» (non erano stati risparmiati nemmeno 800 ammalati che nel marzo 1942 furono eliminati con i gas)[16]. Più di 15 mila ebrei della Serbia, del Banato e del Sangiaccato furono soppressi.


La comparsa della resistenza comunista e il mancato accordo con i distaccamenti di Mihajlovic avevano spinto i cetnici di Pecanac a cercare un accordo con le autorità tedesche e serbe. I cosiddetti «cetnici legali» con i loro metodi brutali divennero allora strumento nelle mani del regime d'occupazione per stroncare i comunisti; essi stabilirono contatti con l'esercito italiano di stanza in Albania per azioni antipartigiane nel Sangiaccato[17]. Intanto partigiani di Tito e  monarchici di Mihajlovic cercavano vanamente di giungere ad accordi di cooperazione ma le differenti strategie di guerriglia, la distanza ideologica, gli opposti obiettivi di guerra, la pretesa di mostrarsi agli occhi degli Alleati come unici rappresentanti della resistenza si dimostrarono elementi di contrasto troppo forti[18].

In seguito all'offensiva nazista dell'autunno 1941, alcune migliaia di cetnici di Mihajlovic cercarono e trovarono riparo presso il governo di Nedic, con il quale raggiunsero accordi di cooperazione che consentirono loro di guadagnare il controllo delle campagne. Dal dicembre 1941 cominciarono a verificarsi in Serbia scontri armati tra i comunisti e le forze nazionaliste serbe che avrebbero caratterizzato sempre più i successivi anni di guerra: una guerra civile che faceva il gioco degli occupanti[19]. Nel frattempo i «cetnici legali» furono sempre più implicati nelle delazioni, negli omicidi e negli arresti di comunisti, ebrei e di tutti coloro che si opponevano alle autorità militari germaniche; il loro programma politico era tutto proteso verso la costruzione della «Grande Serbia»[20]. Così sul finire del 1941, mentre il grosso delle forze partigiane erano costrette a rifugiarsi nella Bosnia sud-orientale per non far più ritorno sul territorio serbo (almeno fino all'avanzata dell'Armata Rossa nell'autunno del 1944), la Serbia era stata sostanzial

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