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La VOCE ANNO XIII   N° 1

SETTEMBRE  2010

Pagina 5

Il 18 settembre scorso, lontano dai centri del potere da dove spesso è stato insultato dai narcogovernanti colombiani, primo fra tutti il mafioso Uribe, il professor Moncayo ha dichiarato:

"Nella campagna elettorale appena terminata non c'è stato un solo candidato impegnato per la pace in Colombia. Credo che nessuno di loro conosca da vicino il dramma degli sfollati, che nessuno abbia sentito sulla propria pelle il dolore dei familiari degli scomparsi, dei massacrati, di quelli che sono stati cacciati forzosamente dalleloro terre dai paramilitari per diventare cibo per coccodrilli".

"Ora mio figlio è libero", ha proseguito, "ma continuo ad insistere sull'urgenza non solo di un accordo con le organizzazioni armate, ma anche di soluzioni ai problemi di sanità, educazione, casa".

"In questo iter", ha concluso il professore, "ho conosciuto molte altre vittime, sfollati, familiari di desaparecidos, disoccupati. Senza essermelo proposto, mi sono trovato immerso in una problematica sociale molto più grande. Ci sono molti drammi che hanno toccato le mie fibre. Ora sono il risultato di tutto questo. Perciò sono convinto che occorre cercare l'uscita dal conflitto attraverso la negoziazione, non la guerra".
La politica guerrafondaia di Uribe non ha prodotto alcun risultato, se non un aumento generalizzato del conflitto; d'altronde, senza rimuovere le cause sociali, politiche ed economiche che originano ed alimentano la guerra civile in Colombia, non sarà possibile ottenere una vera e duratura pace.
Se il successore di Uribe, come ampiamente prevedibile, non porrà le basi per un accordo umanitario, passaggio propedeutico indispensabile (benché non sufficiente) alla risoluzione del conflitto sociale ed armato, la pace resterà una chimera.


GIUDICE MINACCIATA DI MORTE PER AVER EMESSO UNA SENTENZA CONTRO UN COLONNELLO

Con la prima sentenza a distanza di 25 anni dai fatti, la giudice Maria Stella Jara ha condannato a 30 anni di reclusione il colonnello Alfonso Plazas Vega, che nel 1985 aveva diretto il blitz militare contro la guerriglia del M-19 (Movimento 19 aprile) nel Palazzo della Corte Suprema di Giustizia a Bogotá, e che è stato riconosciuto come il responsabile della 'sparizione forzata e aggravata' di 11 persone.

A tutt'oggi, infatti, si ignora la sorte degli 11 guerriglieri sopravvissuti all'attacco (costato la vita anche ai sequestrati ed ai lavoratori della Corte) e visti uscire vivi dal Palazzo da alcuni testimoni.
Un caso emblematico per la storia giuridica del paese, che vede tra gli indagati l'intera cupola militare e della polizia di allora.  Nel corso degli anni la funzionaria è stata osteggiata nel suo lavoro dagli stessi apparati del regime colombiano. Dopo la pubblica lettura della sentenza le intimidazioni, arrivatele a partire dallo scorso anno ed intensificatesi all'inizio del 2010, hanno lasciato il posto a vere e proprie minacce di morte; la giudice ha infatti rivelato di aver ricevuto due biglietti in cui vengono espresse le condoglianze per la scomparsa sua e della sua famiglia.

Maria Stella Jara, madre di un figlio, ha sottolineato che la stessa polizia ammette che ci sono rischi elevati di un attentato: ha inoltre denunciato la latitanza dell'esecutivo rispetto alla sua situazione, e per questo motivo ha dovuto rivolgersi alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH), che lo scorso giovedì 10 settembre ha sollecitato il governo colombiano affinché "adotti tutte le misure necessarie a garantire la vita e l'integrità personale" della giudice.

In occasione del pronunciamento contro il congedato colonnello Plazas, il narcopresidente Uribe, accompagnato dal ministro della Difesa Gabriel Silva e dagli alti comandi militari, ha dichiarato che la sentenza "genera profondo dolore e mancanza di stimoli alle reclute delle Forze Armate che hanno il compito di dare sicurezza ai colombiani".

A quale sicurezza si riferisce il narco-presidente uscente? Certo non a quella dei milioni di sfollati o disoccupati, o dei sindacalisti, dei leader popolari, indigeni, studenteschi o contadini sterminati dai paramilitari e dalle stesse Forze Armate che oggi fanno quadrato intorno a Plazas Vega.

Uribe difende pubblicamente i suoi complici, salvo scaricarli quando diventano pericolosi per la sua impunità. Ma si avvicina il giorno in cui dovrà pagare per i suoi crimini di lesa umanità.

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