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La VOCE  ANNO XII  N° 10

GIUGNO  2010

PAGINA  III

bo, compiute  con frequenza e decisione crescenti lungo le strade consolari quali la  Salaria e la Flaminia tali "bande" diventavano inammissibili per il  gigante tedesco. Protagonisti di tali importantissime azioni erano  molto spesso proprio gli jugoslavi: quelli organizzati attorno al  comandante Tozotra le provincie di Terni e di Rieti, e quelli attivi  nell'entroterra marchigiano.

Un'altra storia interessante è quella che riguarda i prigionieri del  campo di Renicci, in provincia di Arezzo. In questo campo erano stati  fatti confluire i deportati della cosiddetta "provincia di  Lubiana", dunque molte migliaia di sloveni la gran parte dei quali  avevano già fatto tappa prima nell'inferno di Arbe/Rab, poi a Gonars  (UD); oltre a costoro c'erano anche prigionieri politici albanesi,  croati e antifascisti italiani soprattutto anarchici, molti tra questi  ultimi erano stati trasferiti a Renicci dai lager del sud e delle  isole che nei primi mesi del '43 dovettero essere sgomberati per  l'avanzare degli Alleati.
Nel campo di Renicci i reclusi avevano già espresso anche apertamente,  quando era stato loro possibile, la loro opposizione e resistenza ai trattamenti più vessatori. Tra l'altro nel campo esisteva una  cellula politica comunista clandestina che faceva capo a Lojze  Bukovac. (4)

Bukovac dopo la sua fuga da Renicci si unirà all'VIII Brigata  Garbaldi Romagnola. In seguito all'offensiva tedesca che si stava  spingendo dal sud verso il nord delle Marche fino all'alta Marecchia  e alla Romagna, Bukovac ripiegherà in Toscana e di  nell'aretino. Bukovac ricorda : "... [dopo il 18 giugno 1944, provenienti dall' Emilia Romagna] ci ritirammo in Toscana dove ci  siamo riuniti alla brigata  "Pio Borri" verso la metà del mese di  maggio. Il commissario della brigata "Borri" Dušan Bordon, un  giovane studente originario del capodistriano, divenuto poi nostro  eroe nazionale (nel dopoguerra a Capodistria gli è stata intitolata  una scuola) era caduto in un combattimento nei pressi di Caprese  Michelangelo il 13 giugno 1944..." (5)

In effetti in quel durissimo scontro a fuoco avvenuto nel corso di un  rastrellamento fascista, per proteggere la ritirata dei compagni erano  caduti, oltre allo studente Dušan Bordon, comandante del reparto, il  russo Piotr Fesipovic, mentre un altro montenegrino, tale Pelovic,  era stato catturato e immediatamente fucilato. Il reparto della GNR  comunque paga con 12 morti e 10 feriti.

Non mancano gli episodi che coinvolgono gli jugoslavi anche più a  Nord, fino a Genova, dove il comandante della brigata partigiana che  liberò la città era jugoslavo: Anton "Miro" Ukmar. Ukmar in  effetti era sfuggito da un lager in Francia; unitosi alla Resistenza  italiana, venne nominato comandante della VI zona operativa, che sugli  Appennini, poco lontano da Genova, disponeva di un vasto territorio  liberato. Con le sue divisioni il compagno "Miro" prese parte alla  liberazione di Genova e ne fu comandante della piazza al termine del  conflitto. Ukmar - che sarà poi decorato con l'Alta onorificenza  americana "Stella di Bronzo" ed eletto cittadino onorario di Genova  - contribuì alla formazione di ben otto divisioni partigiane in  Liguria. Di queste divisioni facevano parte alcune brigate comandate  da Jugoslavi, tanto che portavano il nome di battaglia degli stessi  come "Istriano", "Montenegrino" eccetera. (6) Molti di questi  partigiani jugoslavi caddero in combattimento e la maggioranza di  loro , negli anni '50, si trovava sepolta nel cimitero di Genova.

Partigiani jugoslavi risultano caduti e sepolti fin nella provincia di  Piacenza, a Cairo Montenotte e a Torino (ben 10 nel cimitero della città piemontese).

Il comandante partigiano Giuseppe Mari "Carlo", in alcuni testi del  dopoguerra provò a ricostruire gli organigrammi di tutte le formazioni  della Resistenza marchigiana in cui gli jugoslavi avevano svolto un  ruolo di primo piano, elencando molte centinaia di nomi... Non è  questa la sede per ricordare questi nomi, o quelli dei combattenti  jugoslavi delle altre regioni, nemmeno i più importanti. Bisogna  invece sapere che negli anni '70 la RFS di Jugoslavia promosse la  costruzione di alcuni Sacrari in cui furono raccolte la stragrande  maggioranza delle spoglie dei partigiani caduti nelle diverse regioni  italiane dopo l'8 Settembre, assieme alle spoglie di chi era caduto di  stenti e di malattie nei campi di internamento prima dell'8  Settembre. I più importanti tra tali Sacrari si trovano a Roma (Prima  Porta), nel cimitero di Sansepolcro (Arezzo), e a Barletta. Al di là  delle spoglie contenute nei Sacrari, molte sepolture sono rimaste in  diverse piccole località dell'Italia Centrale, dal cimitero  internazionale di Pozza e Umito (Acquasanta Terme, in provincia di  Ascoli), a Cantiano (PU: tre i fucilati), alla tomba di Franko Tugomir a Penna San Giovanni (AP)... Tante sono poi le lapidi e i monumenti in  cui tutti questi partigiani sono ricordati.

Per quelli che sopravvissero, l'epilogo della vicenda è nelle  Puglie. La regione dalla fine del '43 diventò base strategica e  retrovia dei partigiani slavi: sia per quelli che combattevano lungo  la dorsale appenninica e che, attraverso le Puglie, dovevano tornare  in patria, sia per quelli che combattevano nei Balcani e che talvolta,  feriti, proprio in Puglia potevano essere trasferiti e curati in  appositi centri, in seguito agli accordi intercorsi tra Churchill e  Tito.

Questi avvenimenti sono ben ricordati anche da "Drago" e da  Bukovac. I combattenti jugoslavi erano ospitati in centri di raccolta, ricoverati in ospedali, addestrati militarmente in località sparse in  tutta la regione da Bari fino al Salento passando per Gravina e Grumo  Appula. A Gravina un'epigrafe tuttora collocata all'ospedale  ricorda i medici partigiani jugoslavi che prestarono opera di generosa  assistenza medica al popolo nel 1944 - 45. A Grumo Appula è rimasta  traccia della presenza dei soldati jugoslavi presso l'attuale scuola  elementare (allora ospedale militare), e traccia della sepoltura di  molte decine di loro nel locale cimitero, dove

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