Last name:

 La VOCE   COREA   CUBA   JUGOSLAVIA   PALESTINA   RUSSIA   SCIENZA   ARTE 

Stampa pagina

 Stampa inserto 

La VOCE 1803

  P R E C E D E N T E   

    S U C C E S S I V A  


GIÙ

SU


La VOCE ANNO XXIII N°5

febbraio 2021

PAGINA 3

Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Onorificenza Internazionale Medaglia della Amicizia col Popolo della RPD di Corea alla Partigiana Miriam Pellegrini Ferri.

Invito all’ Ambasciata di Cuba in Italia dal Consigliere Politico Yamila Pita Montes.

Colaboracion con Radio Habana Cuba. - Curriculum Miriam
miriam su facebook. cento anni del partito comunista in italia. di ruggero giacomini*. gli scritti qui raccolti vogliono essere soprattutto un contributo alla conoscenza di un aspetto fondamentale del pensiero e dell’opera di gramsci generalmente poco considerato. si tratta in realtà, nella riflessione sul partito, dell’elaborazione su una delle condizioni essenziali della lotta per il socialismo, che percorre come un filo rosso l’intera battaglia culturale e politica del leader comunista. gramsci si è sentito ed è stato effettivamente un grande rivoluzionario, ed anche la riflessione carceraria, che pure si vorrebbe isolare dal resto della sua attività, è in realtà animata dalla tensione all’agire politico, se pure in forme mediate e anche come accorgimento per sfuggire all’occhiuta censura. questa antologia gramsciana sul partito, oltre a documentare l’azione e la riflessione sviluppate nel tempo, delinea nel loro svolgersi i capisaldi di una teoria dell’organizzazione, caratterizzata dall’innesto creativo del marxismo e del leninismo nella realtà di un paese capitalistico occidentale con le sue specificità. vi si possono anche ricavare stimoli utili per chi oggi voglia contribuire al compito tanto necessario quanto complesso e difficile della ricostruzione comunista. certamente, le condizioni del nuovo inizio sono molto diverse. in mezzo c’è un secolo di storia, di trasformazioni sociali e culturali, di guerre e rivoluzioni. non c’è a riferimento l’internazionale con la sua autorevolezza e il suo sostegno, non ci sono più partiti e stati guida. c’è ugualmente la realtà di rivoluzioni e sperimentazioni socialiste, nate pur esse sull’onda d’urto della rivoluzione d’ottobre, che non si sono fatte travolgere dalla contro-ondata restauratrice ed esercitano un’influenza crescente negli orientamenti per un futuro di sviluppo pacifico e condiviso del mondo. ci sono forme nuove di collegamento internazionale tra forze comuniste che vengono elaborando posizioni comuni e la cui influenza va crescendo. e di fronte ci sono sempre, se pure in forme grandemente mutate, avversari e contraddizioni come un tempo. c’è un imperialismo uscito vincente e senza sostanziali danni dalle due guerre mondiali, che ha imposto il suo dominio egemonico all’intero mondo capitalistico, che prosegue e persegue, con le sue alleanze di guerra, politiche di sopraffazione in ogni dove. si sono scoperte e affermate nuove tecnologie produttive e comunicative, che hanno reso più difficile l’unione e l’organizzazione degli sfruttati; si aggravano le differenze di classe e riemergono in forme diverse manifestazioni di lotte di classe. continuamente risorge, insopprimibile, l’aspirazione alla libertà, all’uguaglianza, al socialismo. la scelta che proponiamo degli scritti di gramsci va da prima della fondazione del pci a livorno alle note del carcere, e consente di seguire lo svolgersi della riflessione in relazione ai mutamenti della situazione reale. per gramsci il partito è un organismo vivente, che, una volta venuto al mondo. si nutre, assimila e defeca, sviluppa attraverso l’esperienza il suo processo di apprendimento. come tutti gli organismi viventi, anche il partito è soggetto a deperimento e morte, anche se gramsci la fine del pci l’aveva pensata in altro modo; e cioè dopo il compimento della sua missione di emancipazione del proletariato, abolizione dello sfruttamento e scomparsa dell’antagonismo tra le classi, superamento della società capitalista nella nuova società comunista di liberi e uguali. non poteva immaginare una morte per suicidio assistito, concepita dagli ultimi eredi come la più imponente operazione di trasformismo della storia d’italia.
una vita interrotta traumaticamente, dunque, quella del partito di gramsci, nato nel 1921, che ha lasciato irrisolte le contraddizioni sociali e territoriali e spalancato il campo alle pulsioni selvagge insite nel modo di produzione capitalistico, riproduttore inesausto dell’oppressione di classe e di genere, della rapina ambientale e dello sfruttamento e dominio neo-coloniale. è innegabile che il partito comunista italiano abbia rappresentato nei suoi settant’anni di vita un fattore di libertà, di innovazione e di progresso per le classi lavoratrici. dalla difficile resistenza al fascismo condotta in prima fila e talvolta in solitudine, al ruolo di motore della lotta di liberazione nazionale; e poi partito nuovo e straordinariamente di massa negli anni della ricostruzione e della repubblica, passando tra le asprezze della guerra fredda e del ritorno aggressivo dell’imperialismo, sempre in prima fila nelle lotte per il lavoro e la pace, mantenendo aperta una via al socialismo incardinata nelle specificità nazionali. questo partito ancora vivo nella memoria di molti non era nato dal nulla. esso aveva conosciuto un periodo formativo che avrebbe lasciato la sua impronta duratura. superando una prima fase infantile, aveva acquistato le caratteristiche essenziali attraverso l’educazione teorica, il riferimento essenziale al marx-leninismo, lo studio e conoscenza della realtà concreta del paese a partire dalla dislocazione delle principali forze produttive e dalle contraddizioni col modo di produzione. un partito che si è concepito e costruito non come gruppo a sé stante, ma come parte avanzata della classe lavoratrice e ad essa strettamente connesso. partito di massa, che nella concezione di gramsci dava espressione politica al proletariato nella lotta di classe, con la sua omogeneità e fisionomia ideologica, politica e organizzativa. non semplice aggregato più o meno occasionale di persone che la pensano in tanti modi diversi, secondo il concetto individualista anarchicheggiante e piccolo borghese del “liberamente comunista”. gramsci e livorno. il 21 gennaio 1921 nasce il partito comunista d’italia, come sezione nazionale della terza internazionale, costituita nel 1919 quale proiezione mondiale della rivoluzione socialista d’ottobre. la nuova internazionale si presenta in continuità e rottura con la seconda, che dopo aver dato voce e organizzato tante energie proletarie principalmente nei paesi d’europa, era miseramente naufragata nell’appoggio alla guerra imperialista del 1914-18. sulla fondazione del pcd’i c’è tutta una linea storiografica che ha teso a sminuire il ruolo di gramsci, presentandolo come silente e defilato, non consapevole ancora dell’importanza del partito in quanto troppo legato all’esperienza dei consigli di fabbrica torinesi, e sovrastato perciò dalla risoluta figura di bordiga. si tratta di una rappresentazione di maniera, che ignora o distorce i fatti storici, e che pare opportuno sia pure sinteticamente rettificare1. bordiga fu certamente tra i fondatori del partito comunista, ma non l’unico e neanche il principale. tanto per cominciare, la fondazione non avvenne sulla piattaforma astensionista sostenuta da bordiga, ma su quella del rinnovamento socialista proposta da “l’ordine nuovo” e appoggiata da lenin e dall’internazionale. la sezione socialista di torino, di cui gramsci era stato anche segretario dopo i moti dell’agosto ’17, aveva legami ben più estesi e radicati nella classe operaia di quella di napoli, in cui militava bordiga. forse anche per questo gramsci avvertì per tempo il pericolo che la crisi italiana generata dalla guerra, nonostante lo straordinario protagonismo delle masse urbane e rurali, potesse rovesciarsi in una sconfitta storica. incombeva cioè la prospettiva di uno sbocco ferocemente reazionario, se il partito socialista, verso cui erano rivolte principalmente le speranze e le attese della classe operaia, non si fosse rapidamente posto in grado di assolvere alle responsabilità storiche che la situazione imponeva. e lanciò il grido di allarme, e l’appello urgente al rinnovamento, quando ancora si era in pieno “biennio rosso”, prima della rivolta militare in ancona contro la guerra all’albania2, e di quella prova di forza generale col padronato che fu l’occupazione delle fabbriche3, in cui si dissipò in uno snervante confronto senza obiettivi e senza risultati la straordinaria energia posseduta dal proletariato industriale del paese. ..segue a pag. 5 ./.

Miriam su Facebook



CENTO ANNI DEL PARTITO COMUNISTA IN ITALIA

 

di Ruggero Giacomini*

 

Gli scritti qui raccolti vogliono essere soprattutto un contributo alla conoscenza di un aspetto fondamentale del pensiero e dell’opera di Gramsci generalmente poco considerato. Si tratta in realtà, nella riflessione sul partito, dell’elaborazione su una delle condizioni essenziali della lotta per il socialismo, che percorre come un filo rosso l’intera battaglia culturale e politica del leader comunista.

 

Gramsci si è sentito ed è stato effettivamente un grande rivoluzionario, ed anche la riflessione carceraria, che pure si vorrebbe isolare dal resto della sua attività, è in realtà animata dalla tensione all’agire politico, se pure in forme mediate e anche come accorgimento per sfuggire all’occhiuta censura.

Questa antologia gramsciana sul partito, oltre a documentare l’azione e la riflessione sviluppate nel tempo, delinea nel loro svolgersi i capisaldi di una teoria dell’organizzazione, caratterizzata dall’innesto creativo del marxismo e del leninismo nella realtà di un paese capitalistico occidentale con le sue specificità. Vi si possono anche ricavare stimoli utili per chi oggi voglia contribuire al compito tanto necessario quanto complesso e difficile della ricostruzione comunista.

Certamente, le condizioni del nuovo inizio sono molto diverse. In mezzo c’è un secolo di storia, di trasformazioni sociali e culturali, di guerre e rivoluzioni. Non c’è a riferimento l’Internazionale con la sua autorevolezza e il suo sostegno, non ci sono più partiti e stati guida. C’è ugualmente la realtà di rivoluzioni e sperimentazioni socialiste, nate pur esse sull’onda d’urto della rivoluzione d’Ottobre, che non si sono fatte travolgere dalla contro-ondata restauratrice ed esercitano un’influenza crescente negli orientamenti per un futuro di sviluppo pacifico e condiviso del mondo. Ci sono forme nuove di collegamento internazionale tra forze comuniste che vengono elaborando posizioni comuni e la cui influenza va crescendo. E di fronte ci sono sempre, se pure in forme grandemente mutate, avversari e contraddizioni come un tempo. C’è un imperialismo uscito vincente e senza sostanziali danni dalle due guerre mondiali, che ha imposto il suo dominio egemonico all’intero mondo capitalistico, che prosegue e persegue, con le sue alleanze di guerra, politiche di sopraffazione in ogni dove. Si sono scoperte e affermate nuove tecnologie produttive e comunicative, che hanno reso più difficile l’unione e l’organizzazione degli sfruttati; si aggravano le differenze di classe e riemergono in forme diverse manifestazioni di lotte di classe. Continuamente risorge, insopprimibile, l’aspirazione alla libertà, all’uguaglianza, al socialismo.

 

La scelta che proponiamo degli scritti di Gramsci va da prima della fondazione del Pci a Livorno alle note del carcere, e consente di seguire lo svolgersi della riflessione in relazione ai mutamenti della situazione reale. Per Gramsci il partito è un organismo vivente, che, una volta venuto al mondo. si nutre, assimila e defeca, sviluppa attraverso l’esperienza il suo processo di apprendimento. Come tutti gli organismi viventi, anche il partito è soggetto a deperimento e morte, anche se Gramsci la fine del Pci l’aveva pensata in altro modo; e cioè dopo il compimento della sua missione di emancipazione del proletariato, abolizione dello sfruttamento e scomparsa dell’antagonismo tra le classi, superamento della società capitalista nella nuova società comunista di liberi e uguali. Non poteva immaginare una morte per suicidio assistito, concepita dagli ultimi eredi come la più imponente operazione di trasformismo della storia d’Italia.

 

Una vita interrotta traumaticamente, dunque, quella del partito di Gramsci, nato nel 1921, che ha lasciato irrisolte le contraddizioni sociali e territoriali e spalancato il campo alle pulsioni selvagge insite nel modo di produzione capitalistico, riproduttore inesausto dell’oppressione di classe e di genere, della rapina ambientale e dello sfruttamento e dominio neo-coloniale. È innegabile che il partito comunista italiano abbia rappresentato nei suoi settant’anni di vita un fattore di libertà, di innovazione e di progresso per le classi lavoratrici. Dalla difficile resistenza al fascismo condotta in prima fila e talvolta in solitudine, al ruolo di motore della lotta di liberazione nazionale; e poi partito nuovo e straordinariamente di massa negli anni della ricostruzione e della repubblica, passando tra le asprezze della guerra fredda e del ritorno aggressivo dell’imperialismo, sempre in prima fila nelle lotte per il lavoro e la pace, mantenendo aperta una via al socialismo incardinata nelle specificità nazionali.

 

Questo partito ancora vivo nella memoria di molti non era nato dal nulla. Esso aveva conosciuto un periodo formativo che avrebbe lasciato la sua impronta duratura. Superando una prima fase infantile, aveva acquistato le caratteristiche essenziali attraverso l’educazione teorica, il riferimento essenziale al marx-leninismo, lo studio e conoscenza della realtà concreta del paese a partire dalla dislocazione delle principali forze produttive e dalle contraddizioni col modo di produzione. Un partito che si è concepito e costruito non come gruppo a sé stante, ma come parte avanzata della classe lavoratrice e ad essa strettamente connesso. Partito di massa, che nella concezione di Gramsci dava espressione politica al proletariato nella lotta di classe, con la sua omogeneità e fisionomia ideologica, politica e organizzativa. Non semplice aggregato più o meno occasionale di persone che la pensano in tanti modi diversi, secondo il concetto individualista anarchicheggiante e piccolo borghese del “liberamente comunista”.

 

Gramsci e Livorno

Il 21 gennaio 1921 nasce il Partito Comunista d’Italia, come sezione nazionale della Terza Internazionale, costituita nel 1919 quale proiezione mondiale della rivoluzione socialista d’Ottobre. La nuova Internazionale si presenta in continuità e rottura con la Seconda, che dopo aver dato voce e organizzato tante energie proletarie principalmente nei paesi d’Europa, era miseramente naufragata nell’appoggio alla guerra imperialista del 1914-18. Sulla fondazione del Pcd’I c’è tutta una linea storiografica che ha teso a sminuire il ruolo di Gramsci, presentandolo come silente e defilato, non consapevole ancora dell’importanza del partito in quanto troppo legato all’esperienza dei Consigli di fabbrica torinesi, e sovrastato perciò dalla risoluta figura di Bordiga. Si tratta di una rappresentazione di maniera, che ignora o distorce i fatti storici, e che pare opportuno sia pure sinteticamente rettificare1. Bordiga fu certamente tra i fondatori del Partito comunista, ma non l’unico e neanche il principale. Tanto per cominciare, la fondazione non avvenne sulla piattaforma astensionista sostenuta da Bordiga, ma su quella del rinnovamento socialista proposta da “L’Ordine Nuovo” e appoggiata da Lenin e dall’Internazionale.

 

La sezione socialista di Torino, di cui Gramsci era stato anche segretario dopo i moti dell’agosto ’17, aveva legami ben più estesi e radicati nella classe operaia di quella di Napoli, in cui militava Bordiga. Forse anche per questo Gramsci avvertì per tempo il pericolo che la crisi italiana generata dalla guerra, nonostante lo straordinario protagonismo delle masse urbane e rurali, potesse rovesciarsi in una sconfitta storica. Incombeva cioè la prospettiva di uno sbocco ferocemente reazionario, se il Partito socialista, verso cui erano rivolte principalmente le speranze e le attese della classe operaia, non si fosse rapidamente posto in grado di assolvere alle responsabilità storiche che la situazione imponeva.

 

E lanciò il grido di allarme, e l’appello urgente al rinnovamento, quando ancora si era in pieno “biennio rosso”, prima della rivolta militare in Ancona contro la guerra all’Albania2, e di quella prova di forza generale col padronato che fu l’occupazione delle fabbriche3, in cui si dissipò in uno snervante confronto senza obiettivi e senza risultati la straordinaria energia posseduta dal proletariato industriale del paese.

..segue a pag. 5 ./.

  P R E C E D E N T E   

    S U C C E S S I V A  

Stampa pagina

 Stampa inserto 

La VOCE 2101

 La VOCE   COREA   CUBA   JUGOSLAVIA   PALESTINA   RUSSIA   SCIENZA   ARTE 

Visite complessive:
Copyright - Tutti gli articoli possono essere liberamente riprodotti con obbligo di citazione della fonte.