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La VOCE ANNO XXII N°3

novembre 2019

PAGINA A         - 33

DALL’ACCORDO IN SIRIA, CON RELATIVO TEATRINO DELLA MORTE DI BAGHDADI, ALLA RIVOLTA DEL CILE

Preferisco non parlare del disastro annunciato dell’alleanza PD-5Stelle in Umbria, frutto di un’alleanza opportunista, raffazzonata tra partiti di ispirazione diversa. Vorrei partire dal fantasmagorico blitz hollywoodiano in cui avrebbe trovato la morte il cattivone Baghdadi, capo dello Stato Islamico (dato già per morto anni fa), il cui corpo distrutto da un’auto-esplosione non sarà mai trovato. Questo spettacolare episodio ricorda tanto l’analoga “morte” di Bin Laden (in realtà già morto 10 anni prima per insufficienza renale in un ospedale del Qatar circondato dai suoi amici agenti della CIA) ed il cui corpo sarebbe stato buttato nell’oceano (così nessuno potrà mai controllarne il DNA). L’episodio, però, è servito a Trump per poter giustificare il progressivo ritiro dell’esercito statunitense dalla Siria, visto che la missione, ovvero la sconfitta dello Stato Islamico, sarebbe compiuta.

Chiariamo subito che la decisione di Trump di un - per ora parziale - ritiro americano è un fatto altamente positivo e segna la consapevolezza da parte di un settore della classe dirigente statunitense che gli USA non sono l’unica grande potenza mondiale. Devono prendere atto dei nuovi equilibri mondiali e pensare di più alla loro economia ed ai loro problemi interni. La presunta uccisione di Baghdadi serve a tacitare le critiche dei falchi interni, guidati sia da una parte dei Repubblicani USA, sia soprattutto da uno stuolo di finti “democratici” guidati dall’assatanata Hilary Clinton, definita dalla simpatica deputata delle Hawai, Tulsi Gabbard (una ex-militare convertita al pacifismo!) “la regina dei guerrafondai”.

Questa decisione è stata attaccata anche da una parte poco consapevole della stessa “sinistra radicale”, che l’hanno considerata un tradimento verso la causa curda. Ma andiamo ai fatti: la maggior parte della popolazione curda (circa 30-35 milioni di persone) vive nel zona curda della Turchia (che ho più volte visitato in viaggi di solidarietà), con forti minoranze in Iraq ed Iran. In Siria vivono meno di 2 milioni di Curdi (in gran parte fuggiti dalla Turchia ed accolti dal Governo Siriano - come in passato lo stesso Ocalan - che ha concesso loro la cittadinanza). Essi costituiscono poco più del 5% della popolazione siriana e poco più del 5% dell’intera popolazione curda. Abitano in alcuni cantoni della zona di confine con la Turchia frammisti ad altre popolazioni (Arabi, Assiri, ecc.). Non vi sono assolutamente le condizioni per la formazione di uno staterello separatista. L’eventuale creazione di uno stato curdo (che fu negato alla fine della Prima Guerra Mondiale dall’accordo spartitorio del Medio Oriente Sykes-Picot tra Francia e Gran Bretagna) dovrebbe riguardare anche la Turchia, l’Iraq e l’Iran. Non potrebbe avvenire solo a spese della Siria dove le milizie curde sono state utilizzate da USA e Israele nel tentativo (fallito) di far crollare e fare a pezzi la Siria, oltre che per combattere lo Stato Islamico (la cui sconfitta è dovuta comunque in gran parte all’energica azione dell’Esercito Siriano sostenuto dai Russi). Oggi l’accordo di tregua raggiunto dall’abile diplomazia di Putin e Lavrov dà solo un contentino ad Erdogan le cui pattuglie potranno al massimo ispezionare una ristretta (e ridotta anche in

lunghezza) fascia di confine affiancate da pattuglie russe. Da parte sua l’Esercito Siriano può riprendere possesso di vaste aree al confine turco dove era assente da tempo, comprendente città come Mambij, Raqqa, Tabka, Kobane, Hassake, Qamishli, mentre le milizie curde possono ripiegare più a sud senza essere attaccate. È una buona soluzione provvisoria che va nel senso della sovranità della Siria, e verso un accordo tra Curdi e Governo per il raggiungimento di eventuali autonomie locali.

Certo, la situazione in Medio Oriente è ancora difficile e complicata. L’esercito americano ancora occupa i pozzi di petrolio siriani, per sfruttarli ed impedire al Governo di trarne valuta necessaria alla ricostruzione. Occupa anche la zona strategica di Al Tanf, per bloccare l’autostrada Bagdad-Damasco, e dove sono addestrati ancora sabotatori e terroristi. L’Arabia Saudita, nonostante le sconfitte rimediate nel tentativo - fallito - di conquista dello Yemen, provoca disordini in Iraq e Libano, considerati troppo vicini a Siria ed Iran. Questi disordini ovviamente traggono origine anche da condizioni di miseria di una parte della popolazioni e da fenomeni di corruzione dei governanti, ma - da notizie dirette che mi giungono da amici e conoscenti del Libano, Paese che ho frequentato più volte - si sa che le Ambasciate Saudite stanno investendo grosse somme per alimentare le proteste. Tuttavia il piano imperialista e colonialista di destabilizzare completamente il Medio Oriente, iniziato con le fasulle “Primavere” arabe, è fallito.

L’imperialismo USA è in ritirata anche in America Latina. Dopo il tentativo di riprendere completamente il controllo su quel continente - considerato il cortile di casa degli USA - con il golpe in Brasile; con l’arresto di Lula basato su assurde menzogne; la defenestrazione di Cristina Kirchener in Argentina basata su altre menzogne e quella di Correa in Equador; il grottesco tentativo di colpo di stato dell’agente della CIA Guaidò in Venezuela, ora il quadro cambia completamente. In Argentina trionfa nelle elezioni per la Presidenza Alberto Fernandez, affiancato dalla stessa Cristina Kirchner come vice-Presidente, sbaragliando il neo-liberista Macrì sostenuto dalla grande e rapace finanza internazionale. Guaidò è fuggito in Colombia ed il Venezuela è tranquillo. Il Presidente neo-liberista Moreno deve affrontare una rivolta popolare in Equador. In Brasile la popolarità del fascistoide Bolsonaro è ai mimimi storici e si parla di possibile liberazione di Lula. Le notizie più drammatiche vengono dal Cile dove centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza - a rischio della vita - per contestare gli effetti nefasti di quasi 50 anni di neo-liberismo selvaggio, imposto dal golpista Pinochet - assassino del Presidente Allende - e poi confermato in vari decenni di falsa democrazia. Questo modello elaborato dai cosiddetti “Chicago Boys”, economisti USA di stampo ultra-liberista, ha azzerato o privatizzato a favore dei ricchi pensioni, istruzione, trasporti, sanità, distruggendo ogni residuo di stato sociale e facendo individuare il Cile - secondo le statistiche dell’ONU stessa - come lo Stato a più alta diseguaglianza sociale insieme al Qatar, nonostante lo sviluppo economico che ha favorito una ristretta oligarchia. Pur tra tante contraddizioni, qualcosa si muove nel vasto mondo e gli equilibri mondiali cambiano.

Roma 28.10.2019 Vincenzo Brandi



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