DALL’ACCORDO
IN SIRIA, CON RELATIVO TEATRINO DELLA MORTE DI BAGHDADI, ALLA RIVOLTA
DEL CILE
Preferisco
non parlare del disastro annunciato dell’alleanza PD-5Stelle in
Umbria, frutto di un’alleanza opportunista, raffazzonata tra
partiti di ispirazione diversa. Vorrei partire dal fantasmagorico
blitz hollywoodiano in cui avrebbe trovato la morte il cattivone
Baghdadi, capo dello Stato Islamico (dato già per morto anni fa), il
cui corpo distrutto da un’auto-esplosione non sarà mai trovato.
Questo spettacolare episodio ricorda tanto l’analoga “morte” di
Bin Laden (in realtà già morto 10 anni prima per insufficienza
renale in un ospedale del Qatar circondato dai suoi amici agenti
della CIA) ed il cui corpo sarebbe stato buttato nell’oceano (così
nessuno potrà mai controllarne il DNA). L’episodio, però, è
servito a Trump per poter giustificare il progressivo ritiro
dell’esercito statunitense dalla Siria, visto che la missione,
ovvero la sconfitta dello Stato Islamico, sarebbe compiuta.
Chiariamo
subito che la decisione di Trump di un - per ora parziale -
ritiro americano è un fatto altamente positivo e segna la
consapevolezza da parte di un settore della classe dirigente
statunitense che gli USA non sono l’unica grande potenza mondiale.
Devono prendere atto dei nuovi equilibri mondiali e pensare di più
alla loro economia ed ai loro problemi interni. La presunta uccisione
di Baghdadi serve a tacitare le critiche dei falchi interni, guidati
sia da una parte dei Repubblicani USA, sia soprattutto da uno stuolo
di finti “democratici” guidati dall’assatanata Hilary Clinton,
definita dalla simpatica deputata delle Hawai, Tulsi Gabbard (una
ex-militare convertita al pacifismo!) “la regina dei guerrafondai”.
Questa
decisione è stata attaccata anche da una parte poco consapevole
della stessa “sinistra radicale”, che l’hanno considerata un
tradimento verso la causa curda. Ma andiamo ai fatti: la maggior
parte della popolazione curda (circa 30-35 milioni di persone) vive
nel zona curda della Turchia (che ho più volte visitato in viaggi di
solidarietà), con forti minoranze in Iraq ed Iran. In Siria vivono
meno di 2 milioni di Curdi
(in gran parte fuggiti dalla Turchia ed accolti dal Governo Siriano -
come in passato lo stesso Ocalan - che ha concesso loro la
cittadinanza). Essi costituiscono poco più del 5% della popolazione
siriana e poco più del 5% dell’intera popolazione curda. Abitano
in alcuni cantoni della zona di confine con la Turchia frammisti ad
altre popolazioni (Arabi, Assiri, ecc.). Non vi sono assolutamente le
condizioni per la formazione di uno staterello separatista.
L’eventuale creazione di uno stato curdo (che fu negato alla fine
della Prima Guerra Mondiale dall’accordo spartitorio del Medio
Oriente Sykes-Picot tra Francia e Gran Bretagna) dovrebbe riguardare
anche la Turchia, l’Iraq e l’Iran. Non potrebbe avvenire solo a
spese della Siria dove le milizie curde sono state utilizzate da USA
e Israele nel tentativo (fallito) di far crollare e fare a pezzi la
Siria, oltre che per combattere lo Stato Islamico (la cui sconfitta è
dovuta comunque in gran parte all’energica azione dell’Esercito
Siriano sostenuto dai Russi). Oggi l’accordo di tregua raggiunto
dall’abile diplomazia di Putin e Lavrov dà solo un contentino ad
Erdogan le cui pattuglie potranno al massimo ispezionare una
ristretta (e ridotta anche in
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lunghezza) fascia di confine affiancate
da pattuglie russe. Da parte sua l’Esercito Siriano può riprendere
possesso di vaste aree al confine turco dove era assente da tempo,
comprendente città come Mambij, Raqqa, Tabka, Kobane, Hassake,
Qamishli, mentre le milizie curde possono ripiegare più a sud senza
essere attaccate. È
una buona soluzione provvisoria che va nel senso della sovranità
della Siria, e verso un accordo tra Curdi e Governo per il
raggiungimento di eventuali autonomie locali.
Certo,
la situazione in Medio Oriente è ancora difficile e complicata.
L’esercito americano ancora occupa i pozzi di petrolio siriani, per
sfruttarli ed impedire al Governo di trarne valuta necessaria alla
ricostruzione. Occupa anche la zona strategica di Al Tanf, per
bloccare l’autostrada Bagdad-Damasco, e dove sono addestrati ancora
sabotatori e terroristi. L’Arabia Saudita, nonostante le sconfitte
rimediate nel tentativo - fallito - di conquista dello Yemen,
provoca disordini in Iraq e Libano, considerati troppo vicini a Siria
ed Iran. Questi disordini ovviamente traggono origine anche da
condizioni di miseria di una parte della popolazioni e da fenomeni di
corruzione dei governanti, ma - da notizie dirette che mi giungono
da amici e conoscenti del Libano, Paese
che ho frequentato più volte - si sa che le Ambasciate Saudite
stanno investendo grosse somme per alimentare le proteste. Tuttavia
il piano imperialista e colonialista di destabilizzare completamente
il Medio Oriente, iniziato con le fasulle “Primavere” arabe, è
fallito.
L’imperialismo
USA è in ritirata anche in America Latina. Dopo il tentativo di
riprendere completamente il controllo su quel continente -
considerato il cortile di casa degli USA - con il golpe in Brasile;
con l’arresto di Lula basato su assurde menzogne; la
defenestrazione di Cristina Kirchener in Argentina basata su altre
menzogne e quella di Correa in Equador; il grottesco tentativo di
colpo di stato dell’agente della CIA Guaidò in Venezuela, ora il
quadro cambia completamente. In Argentina trionfa nelle elezioni per
la Presidenza Alberto Fernandez, affiancato dalla stessa Cristina
Kirchner come vice-Presidente, sbaragliando il neo-liberista Macrì
sostenuto dalla grande e rapace finanza internazionale. Guaidò è
fuggito in Colombia ed il Venezuela è tranquillo. Il Presidente
neo-liberista Moreno deve affrontare una rivolta popolare in Equador.
In Brasile la popolarità del fascistoide Bolsonaro è ai mimimi
storici e si parla di possibile liberazione di Lula. Le notizie più
drammatiche vengono dal Cile dove centinaia di migliaia di persone
sono scese in piazza - a rischio della vita - per contestare gli
effetti nefasti di quasi 50 anni di neo-liberismo selvaggio, imposto
dal golpista Pinochet - assassino del Presidente Allende - e poi
confermato in vari decenni di falsa democrazia. Questo modello
elaborato dai cosiddetti “Chicago Boys”, economisti USA di stampo
ultra-liberista, ha azzerato o privatizzato a favore dei ricchi
pensioni, istruzione, trasporti, sanità, distruggendo ogni residuo
di stato sociale e facendo individuare il Cile - secondo le
statistiche dell’ONU stessa - come lo Stato
a più alta diseguaglianza sociale insieme al Qatar, nonostante lo
sviluppo economico che ha favorito una ristretta oligarchia. Pur tra
tante contraddizioni, qualcosa si muove nel vasto mondo e gli
equilibri mondiali cambiano.
Roma
28.10.2019 Vincenzo Brandi
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