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La VOCE 1906

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La VOCE ANNO XXI N°10

giugno 2019

PAGINA 6

segue da pag.5: il paese dell’impunità”. luca tescaroli - perché i reati dei colletti bianchi minacciano la democrazia individuare e punire i reati commessi dai cosiddetti colletti bianchi – avvocati, notai, imprenditori, impiegati – è particolarmente importante in democrazia. da un lato infatti si tratta di reati che minano la fiducia sociale sulla quale i regimi democratici si reggono, dall’altro la loro sistematica impunità è espressione di profonda diseguaglianza sociale. la percezione generale, infatti, è che lo stato sia capace di fare il duro con i reati tipicamente perpetrati dalle fasce sociali più deboli, mentre sia disarmato di fronte al white collar crime. eppure i provvedimenti da prendere sono semplici, basterebbe la volontà politica. checchino antonini - impunità in divisa “la più grave sospensione dei diritti umani in occidente dopo la seconda guerra mondiale”: così amnesty international definì quello che accadde la notte del 21 luglio del 2001 nei locali della scuola diaz di genova. una ferita che non riesce a rimarginarsi perché il nostro paese non solo non ha saputo impedire che una tale mostruosità si verificasse, ma non è neanche stato capace di fare piena luce sulla vicenda e di punire i colpevoli. e se l’impunità è sempre intollerabile, quella delle forze dell’ordine – di coloro cioè che della legge e della costituzione dovrebbero essere i tutori – è un vero e proprio vulnus alla democrazia. marco lillo - impunità, moneta di scambio tra stato e mafia da quando la mafia ha fatto la sua comparsa sulla scena, pezzi importanti della politica e delle classi più abbienti hanno mostrato di non avere alcuna intenzione di debellarla. d’altronde l’elemento che la distingue rispetto alle altre organizzazioni criminali è la capacità di annullare o attenuare l’azione repressiva dello stato entrando in rapporto con la politica. una caratteristica che emerge già nel primo documento in cui si intravede un embrione del concetto di mafia: la lettera del 3 agosto 1838 al ministro parisi del procuratore generale di trapani, pietro calà ulloa. già 180 anni fa era insomma chiaro che lo scopo di questo essere dentro il governo fosse proprio ‘la protezione dell’imputato’. paolo ielo - l’impunità nella pubblica amministrazione i reati contro la pubblica amministrazione sono particolarmente difficili da individuare e da punire. per questo servirebbe un deciso intervento legislativo – ben al di là dei piccoli passi fatti con la ‘spazzacorrotti’ – che metta le forze dell’ordine e i magistrati nelle condizioni innanzitutto di intercettare e ‘vedere’ i comportamenti illeciti, per poi poterli sanzionare adeguatamente. gli strumenti esistono, qui una breve rassegna degli interventi da fare. gianni barbacetto marco maroni - una repubblica fondata sui condoni condoni fiscali ed edilizi, amnistie e indulti: la macchina del perdono di stato nella storia italiana è sempre in moto. è partita nella prima repubblica e ha continuato a correre nella seconda. è stata guidata disinvoltamente dal centro-destra, ma anche dal centro-sinistra. ed è arrivata sbuffando fino a oggi. caterina malavenda - libertà d’informazione o libertà di querela? ci sono diversi modi per mettere a tacere un giornalista. uno è sicuramente la violenza esplicita, fatta di minacce e aggressioni. un altro, ben più subdolo, è l’uso pretestuoso delle querele per diffamazione. uno strumento che, in un periodo caratterizzato da una grande incertezza lavorativa per i giornalisti, diventa ancora più efficace. il precariato, infatti, coniugato con il pericolo di dover risarcire di tasca propria, è un mix capace di fiaccare chiunque. simona argentieri - tempeste emotive e diritto diverse sentenze relative a violenze sessuali e femminicidi, come anche il recente dibattito sulle nuove norme sulla legittima difesa, hanno riportato al centro del discorso giudiziario gli stati emotivi degli imputati, richiamati in campo dalle perizie psichiatriche per attenuarne in un qualche modo la responsabilità. ma ha senso appellarsi a ‘tempeste emotive’, ‘stati d’ansia’, ‘gravi turbamenti’ per emettere una sentenza? dietro ogni stato emotivo c’è comunque un’idea, per quanto balorda, un pregiudizio, per quanto odioso, una teoria sul mondo e sui valori dei rapporti umani. le scienze psicologiche non sono scienze esatte e i modelli utilizzati possono portare a conclusioni diametralmente opposte. meglio sarebbe se l’indagine dei livelli inconsci venisse indirizzata verso noi stessi, per svelare le nostre ambiguità e i nostri preconcetti, piuttosto che per condannare o assolvere qualcun altro. gian carlo caselli - il mafioso giulio andreotti “assolto! assolto! assolto!”: così urlava al telefono al suo cliente giulio andreotti, l’avvocato – oggi ministro – giulia bongiorno. era l’avvio di una spregiudicata campagna innocentista che ha truffato la stragrande maggioranza del popolo italiano, in nome del quale le sentenze sono emesse. una campagna che aveva e ha tuttora un obiettivo preciso: minimizzare i rapporti fra mafia e politica che hanno drammaticamente segnato la storia di questo paese. saverio lodato - la grande favola è finita diciamocelo chiaramente: ci eravamo illusi. dopo il maxiprocesso, dopo le condanne a decine e decine di ergastoli, dopo il risveglio della società civile, in molti ci eravamo detti: “ecco, è fatta. la mafia ha i giorni contati”. e invece, a più di venticinque anni dall’omicidio di falcone e borsellino, la mafia non solo non è stata sconfitta, ma continua a inquinare l’economia e la politica del paese. giovanni tizian - roma, laboratorio criminale mafia capitale non è che l’ultimo tassello di un mosaico che si è andato componendo nel tempo. per capire come è successo che ’ndrangheta e camorra si siano prese interi quartieri di roma, è necessario seguire quel filo nero che attraversa gli ultimi decenni della storia criminale italiana e che unisce il paese: da palermo a roma, da cosa nostra ai casamonica, passando per la banda della magliana, il terrorismo nero, le alleanze tra clan e neofascisti, i servizi segreti e la massoneria, i candidati alle elezioni e i professionisti insospettabili. lirio abbate - roma caput mafiae quella di mafia capitale non è una mafia d’importazione, ma un’organizzazione criminale autoctona, nata e cresciuta a roma. è una mafia che non controlla un preciso territorio in modo totale, non impone il pizzo ai commercianti, non lascia (quasi mai) morti per strada, non ha una struttura rigida. eppure possiede ugualmente una grande capacità di intimidazione e sa trovare equilibri e sinergie sia con gli altri mondi criminali sia con quelli economici e istituzionali. e, come le mafie tradizionali, preferisce sempre più esercitare il proprio potere attraverso la corruzione. petra reski - willkommen, mafia (ovvero come la ‘pista tedesca’ si perde nella nebbia) la germania rappresenta per le organizzazioni criminali italiane il luogo ideale dove fare affari. non solo per la solida economia che la caratterizza, ma soprattutto per la completa sottovalutazione della presenza mafiosa sul suo territorio e per il lacunoso quadro legislativo esistente in materia. una situazione che va a vantaggio non solo di cosa nostra, ’ndrangheta, sacra corona unita e camorra, ma anche dei ceti imprenditoriali tedeschi che fanno finta di non vedere i metodi illegali usati dai loro compagni d’affari italiani. stefania pellegrini - le mafie al nord nonostante nel dibattito pubblico prevalga l’idea di una ‘colonizzazione’ del nord da parte del sud, a giocare un ruolo determinante nel processo di espansione mafiosa nel settentrione è stata in primo luogo la combinazione tra la disponibilità di parte dell’economia del nord ad accogliere le risorse economiche di natura criminale e l’appetibilità delle zone di destinazione (che anche negli anni più recenti di crisi, si sono dimostrate economicamente forti, trainanti e in crescita). un mix che configura una simbiosi a vantaggio di entrambi gli attori sul palco. e a detrimento del resto della società. fiammetta borsellino - venticinque anni di depistaggi “se mio padre fosse stato adeguatamente sostenuto e difeso dallo stato al cui servizio lavorava, sicuramente non avrebbe fatto quella fine”. così, oggi, una delle figlie di paolo borsellino, ucciso nella strage di via d’amelio. una dichiarazione che poggia su alcune risultanze processuali da cui emergono chiaramente sia la condizione di isolamento del magistrato negli ultimi mesi della sua vita sia i depistaggi successivi al suo omicidio. salvo palazzolo - tracce di mafia nel cuore dello stato fra il processo per la trattativa stato-mafia, quello in corso a caltanissetta a tre investigatori della polizia accusati di aver contribuito a tenere lontana la verità sulla strage borsellino e la riapertura del fascicolo d’indagine sui mandanti occulti delle bombe di roma, milano e firenze del 1993, sembra proprio che quei fatti siano molto più recenti di quanto in realtà non siano. e invece tanta acqua è passata sotto i ponti e le tracce emerse nel corso di una lunga stagione di indagini e processi, che hanno condannato mandanti ed esecutori di mafia, conducono dritto al cuore dello stato. danilo chirico - l’antimafia a un bivio il 30 giugno 1995 don luigi ciotti pubblica un appello su tutti i principali quotidiani italiani per lanciare una campagna da un milione di firme per la legge sui beni confiscati. è l’atto di nascita simbolico dell’antimafia sociale: viene fondata libera e l’antimafia diventa popolare, entra nelle scuole, si fa cultura diffusa e ottiene anche importanti risultati legislativi. a quasi venticinque anni di distanza il movimento vive un periodo di stasi. fra personalismi, stanche ritualità, casi opachi, ha perso lo slancio iniziale. è ora di ripartire dal corpo vivo della società, quello nel quale le mafie continuano ad affondare le loro grinfie. michele albanese / paolo borrometi / sandro ruotolo - noi, giornalisti sotto scorta cosa significa per un giornalista vivere sotto scorta? oltre a perdere ogni minima libertà e autonomia di movimento nella vita privata, la protezione modifica radicalmente anche il modo di svolgere la professione. in italia sono 22 oggi i cronisti sotto scorta, alcuni lavorano.
in grandi giornali, molti in piccole testate locali o sono addirittura freelance che scrivono per pochi euro al pezzo. tre di loro – minacciati rispettivamente da ’ndrangheta, cosa nostra e camorra – ci raccontano la loro vita, fra restrizioni, paura e determinazione ad andare avanti. fabio armao - l’italia dei clan (come nasce un’oikocrazia a partecipazione mafiosa) il 1992, con l’inchiesta mani pulite che spazza via la prima repubblica, avrebbe potuto rappresentare l’inizio di una rigenerazione per il nostro paese. e invece quell’anno segna l’esordio di un nuovo regime che, anziché contrastare, incrementa clientelismo e corruzione; e nel quale le organizzazioni mafiose si propongono con successo di riempire i vuoti generati dalla crisi dei vecchi partiti, nel ruolo di mediatori tra le istanze del territorio e i pubblici amministratori (locali e nazionali). nasce così un’oikocrazia a partecipazione mafiosa. adriano sofri - malati di carcere la cosa più vicina all’inferno su questa terra è il carcere. e come potrebbe essere altrimenti? tra cronico sovraffollamento – il superlativo di un superlativo – e penuria di medici, educatori e assistenti sociali, il desiderio tipico dei carcerati è quello di essere sedati e risvegliati al momento di uscire, tre o dieci o vent’anni più tardi. o mai. gherardo colombo - primum educare deinde reprimere la casa della giustizia è la scuola, non il tribunale. a questa conclusione è arrivato uno dei più noti magistrati italiani, membro del pool di mani pulite, dopo 33 anni in magistratura. a che serve, infatti, amministrare la giustizia in un paese in cui la corruzione gode di più consenso delle regole, dove troppo spesso il furbo è ammirato e l’onesto deriso come ingenuo? marina boscaino - il caso di rosa maria dell’aria e la libertà d'insegnamento. (20 maggio 2019). lei si chiama rosa maria dell’aria. è una docente dell’istituto tecnico industriale vittorio emanuele iii di palermo. i suoi studenti della iie hanno prodotto, per celebrare il giorno della memoria, il 27 gennaio scorso, un video. in alcune slides di quel lavoro, si accosta la promulgazione delle leggi razziali al decreto sicurezza di salvini; con quanta aggressività o assenza di rispetto, con quanta arbitrarietà, sta a ciascuno giudicare. non starò a commentare l’aspetto, lo scenario (desueto, certamente, per alcuni: si tratta di libri), il modo di parlare della docente, che ognuno potrà valutare autonomamente; la pacatezza, la ragionevolezza, la proprietà di linguaggio: indici di cultura, di riflessione, di una relazione educativa frutto di esperienza (la docente ha 63 anni) e di “una vita dedicata alla scuola”. dopo che un attivista di destra ha pubblicato il video su twitter, nel nostro paese, dove si sottraggono miliardi illecitamente a vario titolo; dove il voto di scambio è una realtà istituzionalizzata; dove si continua a snocciolare bugie per la campagna elettorale; dove si sta innescando una lotta del nord contro il sud, minacciando di minare l’unità nazionale; dove esistono da tanto tempo ormai uomini, donne, bambini di serie a e di serie b: ebbene, in un siffatto paese, rosa maria è stata sanzionata con 2 settimane di sospensione dall’insegnamento a salario dimezzato. difficilmente la sensibilità italiota – oggi davvero ai minimi storici – sarà in grado di intuire cosa significhi per una persona che abbia lavorato seriamente dentro quella particolare istituzione che è la scuola della repubblica un provvedimento del genere: perdita di senso totale, ossimoro, contraddizione in termini, ingiustizia intollerabile, umiliazione, il bavaglio di un’arroganza che non conosce limiti, la volgarità che contamina un mandato che molti di noi sentono intensamente e visceralmente: far uscire dalle nostre aule cittadini consapevoli, capaci di interpretare criticamente la complessità dell’esistente. una minaccia intollerabile, per chi ci vuole e ci ha voluto sudditi, non cittadini. il caso è immediatamente divenuto mediatico e nazionale, smuovendo coscienze intorpidite da anni di devastazione ideologica e violenta, che è passata attraverso differenti tentativi di irreggimentazione, di cui – dopo l’autonomia scolastica – le controriforme che si sono susseguite – da moratti a gelmini – hanno costituito la trama; sferrando – attraverso la sedicente buona scuola di renzi e del pd – il colpo più violento. è senza dubbio un fatto importante e significativo che, da quando si è diffusa questa incredibile notizia, si sia sviluppata una mobilitazione generale: raccolte di firme, sit in, una grande manifestazione a palermo, appelli, migliaia di mail indirizzate al provveditore di palermo e – per conoscenza – al ministero, interventi di intellettuali, iniziative di varie scuole, docenti, studenti: primi tra tutti quelli dell’insegnante palermitana. c’è da avere fiducia che questo rigurgito di indignazione, combinato con le imminenti elezioni europee – produca l’effetto non solo desiderato, ma giusto: l’immediato reintegro sulla propria cattedra di rosa maria. lo dimostra il desiderio – davanti a tale reazione – del ministro salvini di incontrare la prof. dell’aria: tutto quanto fa spettacolo. quello che stupisce, però, è che sembra che improvvisamente si sia scoperto che la libertà di insegnamento in questo paese è a rischio; rivelando, attraverso questo vergognoso episodio, che chi da anni interpreta la scuola della costituzione non come slogan efficace, ma come condizione imprescindibile per la democrazia del paese; chi si ostina a difenderla come strumento dell'interesse generale; chi ha lottato e lotta contro i test invalsi, contro la standardizzazione della didattica e della valutazione; chi si scaglia contro il primato delle competenze sulle conoscenze (che la normativa scolastica ha da anni a proprio mantra); chi ha combattuto contro discrezionalità del ds, comitato di valutazione, entrata dei privati nella scuola e privatizzazione dei sistemi di istruzione, ha bene in mente che la scuola della repubblica – attraverso il principio costituzionale della libertà dell’insegnamento – è oggi e da tempo il più alto presidio di democrazia per il paese: pensiero critico analitico, pluralismo, laicità, libertà di espressione e di insegnamento. e se la libertà di insegnamento prevista dal primo comma dell’articolo 33 della costituzione (“l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”) ci riguarda tutti e rappresenta l’anticorpo all’avanguardia reazionaria e violenta e al ritorno di un passato che si servì soprattutto della scuola per imporre il pensiero unico, a maggior ragione deve riguardarci quanto previsto dall’art. 21: “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. perché nel caso di palermo parliamo proprio di questo: una chiara violazione di due principi che ci richiamano al tema della democrazia e della libertà. l’onnipresente e onniparlante ministro dell’interno, matteo salvini, ha affermato: “non penso che sia opportuno che ci siano questi accostamenti irrispettosi tra me e mussolini”. io penso, a mia volta, che ci siano molte cose inopportune di cui il ministro – che non possiamo, ahimè, sospendere con cessazione del trattamento economico – dovrebbe chiedere scusa al popolo italiano che ama la democrazia. lo dovrebbe fare per l’umiliazione intenzionale e continua delle persone migranti, venata di xenofobia; per gli allontanamenti coatti; per la foto con il fucile; per gli interventi – cooptando persino il corpo nazionale dei vigili del fuoco – sui balconi, per reprimere il dissenso; per una legge di bilancio fatta approvare senza la lettura dei testi; per i 49 milioni fatti sparire dalla lega; e per molto altro ancora. ma oggi, soprattutto, non è opportuno portare avanti il progetto scellerato del regionalismo differenziato – la secessione dei ricchi – costruito anche attraverso la contrazione o l’annullamento degli spazi di libertà di insegnamento: i sistemi scolastici regionali autonomi avranno competenze esclusive – tra le altre materie – sulla valutazione, sugli organi collegiali e sull’attribuzione della parità scolastica. immaginate cosa potrà accadere. in linea più generale, le interferenze del potere politico regionale rappresenteranno una pressione più diretta, immediata e incombente ai fini di mediare pratiche didattiche, stili e metodologia di insegnamento, contenuti disciplinari, sanzione della “contrastività”. nel regime signorile che si verrebbe ad instaurare (ogni regione con il proprio sistema scolastico) lo stato di cortigianeria dei docenti rappresenterebbe l’unica opzione per docenti totalmente defraudati della loro funzione civile e privati di ogni orizzonte di libertà culturale. in un comizio del 28 febbraio 2015 salvini, arringando le folle, affermava: “alle leggi sbagliate non bisogna ubbidire, ma disubbidire, fino a quando non vengono cambiate”: esprimendo solidarietà alla professoressa rosa maria dell’aria (di cui si pretende l’immediato reintegro) e ai suoi studenti – vittime di una ingiustizia a sfondo ideologico e repressivo – e confermando la totale ed intransigente avversione contro l’autonomia differenziata (i due elementi non possono e non devono essere disgiunti, perché parti di un’identica ratio violentemente ideologica), i docenti italiani – disubbidienti – pongono come centrale il tema della libertà di pensiero e di insegnamento, ribadendo la funzione centrale della scuola della repubblica e della costituzione come strumento della rimozione delle diseguaglianze e viatico di democrazia non solo per i propri studenti, ma per il paese intero. al di là di un’ipotetica sanatoria che salvini potrebbe proporre, l’episodio di rosa maria è un avvertimento per tutti noi e per tutti voi; noi che, anche in questo caso, continuiamo a rappresentare l’avanguardia della mobilitazione per la libertà e la democrazia in italia, come dimostra la prontissima e partecipatissima reazione alla vicenda di palermo, che non deve cessare di impegnarci. voi, che siete invitati a comprendere che la difesa dei principi costituzionali della scuola pubblica è portata avanti, con fatica e sacrifico, anche per difendere la vostra libertà, comunque la pensiate; e la tenuta democratica del paese.
Segue da Pag.5: IL PAESE DELL’IMPUNITÀ”

Luca Tescaroli - Perché i reati dei colletti bianchi minacciano la democrazia Individuare e punire i reati commessi dai cosiddetti colletti bianchi – avvocati, notai, imprenditori, impiegati – è particolarmente importante in democrazia. Da un lato infatti si tratta di reati che minano la fiducia sociale sulla quale i regimi democratici si reggono, dall’altro la loro sistematica impunità è espressione di profonda diseguaglianza sociale. La percezione generale, infatti, è che lo Stato sia capace di fare il duro con i reati tipicamente perpetrati dalle fasce sociali più deboli, mentre sia disarmato di fronte al White Collar Crime. Eppure i provvedimenti da prendere sono semplici, basterebbe la volontà politica.

Checchino Antonini - Impunità in divisa “La più grave sospensione dei diritti umani in Occidente dopo la seconda guerra mondiale”: così Amnesty International definì quello che accadde la notte del 21 luglio del 2001 nei locali della scuola Diaz di Genova. Una ferita che non riesce a rimarginarsi perché il nostro paese non solo non ha saputo impedire che una tale mostruosità si verificasse, ma non è neanche stato capace di fare piena luce sulla vicenda e di punire i colpevoli. E se l’impunità è sempre intollerabile, quella delle forze dell’ordine – di coloro cioè che della legge e della Costituzione dovrebbero essere i tutori – è un vero e proprio vulnus alla democrazia.

Marco Lillo - Impunità, moneta di scambio tra Stato e mafia Da quando la mafia ha fatto la sua comparsa sulla scena, pezzi importanti della politica e delle classi più abbienti hanno mostrato di non avere alcuna intenzione di debellarla. D’altronde l’elemento che la distingue rispetto alle altre organizzazioni criminali è la capacità di annullare o attenuare l’azione repressiva dello Stato entrando in rapporto con la politica. Una caratteristica che emerge già nel primo documento in cui si intravede un embrione del concetto di mafia: la lettera del 3 agosto 1838 al ministro Parisi del procuratore generale di Trapani, Pietro Calà Ulloa. Già 180 anni fa era insomma chiaro che lo scopo di questo essere dentro il governo fosse proprio ‘la protezione dell’imputato’.

Paolo Ielo - L’impunità nella pubblica amministrazione I reati contro la pubblica amministrazione sono particolarmente difficili da individuare e da punire. Per questo servirebbe un deciso intervento legislativo – ben al di là dei piccoli passi fatti con la ‘spazzacorrotti’ – che metta le forze dell’ordine e i magistrati nelle condizioni innanzitutto di intercettare e ‘vedere’ i comportamenti illeciti, per poi poterli sanzionare adeguatamente. Gli strumenti esistono, qui una breve rassegna degli interventi da fare.

Gianni Barbacetto Marco Maroni - Una repubblica fondata sui condoni Condoni fiscali ed edilizi, amnistie e indulti: la macchina del perdono di Stato nella storia italiana è sempre in moto. È partita nella Prima Repubblica e ha continuato a correre nella Seconda. È stata guidata disinvoltamente dal centro-destra, ma anche dal centro-sinistra. Ed è arrivata sbuffando fino a oggi.

Caterina Malavenda - Libertà d’informazione o libertà di querela? Ci sono diversi modi per mettere a tacere un giornalista. Uno è sicuramente la violenza esplicita, fatta di minacce e aggressioni. Un altro, ben più subdolo, è l’uso pretestuoso delle querele per diffamazione. Uno strumento che, in un periodo caratterizzato da una grande incertezza lavorativa per i giornalisti, diventa ancora più efficace. Il precariato, infatti, coniugato con il pericolo di dover risarcire di tasca propria, è un mix capace di fiaccare chiunque.

Simona Argentieri - Tempeste emotive e diritto Diverse sentenze relative a violenze sessuali e femminicidi, come anche il recente dibattito sulle nuove norme sulla legittima difesa, hanno riportato al centro del discorso giudiziario gli stati emotivi degli imputati, richiamati in campo dalle perizie psichiatriche per attenuarne in un qualche modo la responsabilità. Ma ha senso appellarsi a ‘tempeste emotive’, ‘stati d’ansia’, ‘gravi turbamenti’ per emettere una sentenza? Dietro ogni stato emotivo c’è comunque un’idea, per quanto balorda, un pregiudizio, per quanto odioso, una teoria sul mondo e sui valori dei rapporti umani. Le scienze psicologiche non sono scienze esatte e i modelli utilizzati possono portare a conclusioni diametralmente opposte. Meglio sarebbe se l’indagine dei livelli inconsci venisse indirizzata verso noi stessi, per svelare le nostre ambiguità e i nostri preconcetti, piuttosto che per condannare o assolvere qualcun altro.

Gian Carlo Caselli - Il mafioso Giulio Andreotti “Assolto! Assolto! Assolto!”: così urlava al telefono al suo cliente Giulio Andreotti, l’avvocato – oggi ministro – Giulia Bongiorno. Era l’avvio di una spregiudicata campagna innocentista che ha truffato la stragrande maggioranza del popolo italiano, in nome del quale le sentenze sono emesse. Una campagna che aveva e ha tuttora un obiettivo preciso: minimizzare i rapporti fra mafia e politica che hanno drammaticamente segnato la storia di questo paese.

Saverio Lodato - La grande favola è finita Diciamocelo chiaramente: ci eravamo illusi. Dopo il maxiprocesso, dopo le condanne a decine e decine di ergastoli, dopo il risveglio della società civile, in molti ci eravamo detti: “Ecco, è fatta. La mafia ha i giorni contati”. E invece, a più di venticinque anni dall’omicidio di Falcone e Borsellino, la mafia non solo non è stata sconfitta, ma continua a inquinare l’economia e la politica del paese.

Giovanni Tizian - Roma, laboratorio criminale Mafia Capitale non è che l’ultimo tassello di un mosaico che si è andato componendo nel tempo. Per capire come è successo che ’ndrangheta e camorra si siano prese interi quartieri di Roma, è necessario seguire quel filo nero che attraversa gli ultimi decenni della storia criminale italiana e che unisce il paese: da Palermo a Roma, da Cosa nostra ai Casamonica, passando per la banda della Magliana, il terrorismo nero, le alleanze tra clan e neofascisti, i servizi segreti e la massoneria, i candidati alle elezioni e i professionisti insospettabili.

Lirio Abbate - Roma caput mafiae Quella di Mafia Capitale non è una mafia d’importazione, ma un’organizzazione criminale autoctona, nata e cresciuta a Roma. È una mafia che non controlla un preciso territorio in modo totale, non impone il pizzo ai commercianti, non lascia (quasi mai) morti per strada, non ha una struttura rigida. Eppure possiede ugualmente una grande capacità di intimidazione e sa trovare equilibri e sinergie sia con gli altri mondi criminali sia con quelli economici e istituzionali. E, come le mafie tradizionali, preferisce sempre più esercitare il proprio potere attraverso la corruzione.

Petra Reski - Willkommen, Mafia (ovvero come la ‘pista tedesca’ si perde nella nebbia) La Germania rappresenta per le organizzazioni criminali italiane il luogo ideale dove fare affari. Non solo per la solida economia che la caratterizza, ma soprattutto per la completa sottovalutazione della presenza mafiosa sul suo territorio e per il lacunoso quadro legislativo esistente in materia. Una situazione che va a vantaggio non solo di Cosa nostra, ’ndrangheta, Sacra corona unita e camorra, ma anche dei ceti imprenditoriali tedeschi che fanno finta di non vedere i metodi illegali usati dai loro compagni d’affari italiani.

Stefania Pellegrini - Le mafie al Nord Nonostante nel dibattito pubblico prevalga l’idea di una ‘colonizzazione’ del Nord da parte del Sud, a giocare un ruolo determinante nel processo di espansione mafiosa nel Settentrione è stata in primo luogo la combinazione tra la disponibilità di parte dell’economia del Nord ad accogliere le risorse economiche di natura criminale e l’appetibilità delle zone di destinazione (che anche negli anni più recenti di crisi, si sono dimostrate economicamente forti, trainanti e in crescita). Un mix che configura una simbiosi a vantaggio di entrambi gli attori sul palco. E a detrimento del resto della società.

Fiammetta Borsellino - Venticinque anni di depistaggi “Se mio padre fosse stato adeguatamente sostenuto e difeso dallo Stato al cui servizio lavorava, sicuramente non avrebbe fatto quella fine”. Così, oggi, una delle figlie di Paolo Borsellino, ucciso nella strage di via D’Amelio. Una dichiarazione che poggia su alcune risultanze processuali da cui emergono chiaramente sia la condizione di isolamento del magistrato negli ultimi mesi della sua vita sia i depistaggi successivi al suo omicidio.

Salvo Palazzolo - Tracce di mafia nel cuore dello Stato Fra il processo per la trattativa Stato-mafia, quello in corso a Caltanissetta a tre investigatori della polizia accusati di aver contribuito a tenere lontana la verità sulla strage Borsellino e la riapertura del fascicolo d’indagine sui mandanti occulti delle bombe di Roma, Milano e Firenze del 1993, sembra proprio che quei fatti siano molto più recenti di quanto in realtà non siano. E invece tanta acqua è passata sotto i ponti e le tracce emerse nel corso di una lunga stagione di indagini e processi, che hanno condannato mandanti ed esecutori di mafia, conducono dritto al cuore dello Stato.

Danilo Chirico - L’antimafia a un bivio Il 30 giugno 1995 don Luigi Ciotti pubblica un appello su tutti i principali quotidiani italiani per lanciare una campagna da un milione di firme per la legge sui beni confiscati. È l’atto di nascita simbolico dell’antimafia sociale: viene fondata Libera e l’antimafia diventa popolare, entra nelle scuole, si fa cultura diffusa e ottiene anche importanti risultati legislativi. A quasi venticinque anni di distanza il movimento vive un periodo di stasi. Fra personalismi, stanche ritualità, casi opachi, ha perso lo slancio iniziale. È ora di ripartire dal corpo vivo della società, quello nel quale le mafie continuano ad affondare le loro grinfie.

Michele Albanese / Paolo Borrometi / Sandro Ruotolo - Noi, giornalisti sotto scorta Cosa significa per un giornalista vivere sotto scorta? Oltre a perdere ogni minima libertà e autonomia di movimento nella vita privata, la protezione modifica radicalmente anche il modo di svolgere la professione. In Italia sono 22 oggi i cronisti sotto scorta, alcuni lavorano
in grandi giornali, molti in piccole testate locali o sono addirittura freelance che scrivono per pochi euro al pezzo. Tre di loro – minacciati rispettivamente da ’ndrangheta, Cosa nostra e camorra – ci raccontano la loro vita, fra restrizioni, paura e determinazione ad andare avanti.

Fabio Armao - L’Italia dei clan (come nasce un’oikocrazia a partecipazione mafiosa) Il 1992, con l’inchiesta Mani pulite che spazza via la Prima Repubblica, avrebbe potuto rappresentare l’inizio di una rigenerazione per il nostro paese. E invece quell’anno segna l’esordio di un nuovo regime che, anziché contrastare, incrementa clientelismo e corruzione; e nel quale le organizzazioni mafiose si propongono con successo di riempire i vuoti generati dalla crisi dei vecchi partiti, nel ruolo di mediatori tra le istanze del territorio e i pubblici amministratori (locali e nazionali). Nasce così un’oikocrazia a partecipazione mafiosa.

Adriano Sofri - Malati di carcere La cosa più vicina all’inferno su questa terra è il carcere. E come potrebbe essere altrimenti? Tra cronico sovraffollamento – il superlativo di un superlativo – e penuria di medici, educatori e assistenti sociali, il desiderio tipico dei carcerati è quello di essere sedati e risvegliati al momento di uscire, tre o dieci o vent’anni più tardi. O mai.

Gherardo Colombo - Primum educare deinde reprimere La casa della giustizia è la scuola, non il tribunale. A questa conclusione è arrivato uno dei più noti magistrati italiani, membro del pool di Mani pulite, dopo 33 anni in magistratura. A che serve, infatti, amministrare la giustizia in un paese in cui la corruzione gode di più consenso delle regole, dove troppo spesso il furbo è ammirato e l’onesto deriso come ingenuo?

MARINA BOSCAINO - Il caso di Rosa Maria dell’Aria e la libertà d'insegnamento

(20 maggio 2019)
Lei si chiama Rosa Maria dell’Aria. È una docente dell’istituto tecnico industriale Vittorio Emanuele III di Palermo. I suoi studenti della IIE hanno prodotto, per celebrare il giorno della memoria, il 27 gennaio scorso, un video. In alcune slides di quel lavoro, si accosta la promulgazione delle leggi razziali al decreto sicurezza di Salvini; con quanta aggressività o assenza di rispetto, con quanta arbitrarietà, sta a ciascuno giudicare.

Non starò a commentare l’aspetto, lo scenario (desueto, certamente, per alcuni: si tratta di libri), il modo di parlare della docente, che ognuno potrà valutare autonomamente; la pacatezza, la ragionevolezza, la proprietà di linguaggio: indici di cultura, di riflessione, di una relazione educativa frutto di esperienza (la docente ha 63 anni) e di “una vita dedicata alla scuola”. Dopo che un attivista di destra ha pubblicato il video su Twitter, nel nostro paese, dove si sottraggono miliardi illecitamente a vario titolo; dove il voto di scambio è una realtà istituzionalizzata; dove si continua a snocciolare bugie per la campagna elettorale; dove si sta innescando una lotta del Nord contro il Sud, minacciando di minare l’unità nazionale; dove esistono da tanto tempo ormai uomini, donne, bambini di serie A e di serie B: ebbene, in un siffatto paese, Rosa Maria è stata sanzionata con 2 settimane di sospensione dall’insegnamento a salario dimezzato.

Difficilmente la sensibilità italiota – oggi davvero ai minimi storici – sarà in grado di intuire cosa significhi per una persona che abbia lavorato seriamente dentro quella particolare istituzione che è la scuola della Repubblica un provvedimento del genere: perdita di senso totale, ossimoro, contraddizione in termini, ingiustizia intollerabile, umiliazione, il bavaglio di un’arroganza che non conosce limiti, la volgarità che contamina un mandato che molti di noi sentono intensamente e visceralmente: far uscire dalle nostre aule cittadini consapevoli, capaci di interpretare criticamente la complessità dell’esistente. Una minaccia intollerabile, per chi ci vuole e ci ha voluto sudditi, non cittadini.

Il caso è immediatamente divenuto mediatico e nazionale, smuovendo coscienze intorpidite da anni di devastazione ideologica e violenta, che è passata attraverso differenti tentativi di irreggimentazione, di cui – dopo l’autonomia scolastica – le controriforme che si sono susseguite – da Moratti a Gelmini – hanno costituito la trama; sferrando – attraverso la sedicente Buona Scuola di Renzi e del PD – il colpo più violento.

È senza dubbio un fatto importante e significativo che, da quando si è diffusa questa incredibile notizia, si sia sviluppata una mobilitazione generale: raccolte di firme, sit in, una grande manifestazione a Palermo, appelli, migliaia di mail indirizzate al provveditore di Palermo e – per conoscenza – al ministero, interventi di intellettuali, iniziative di varie scuole, docenti, studenti: primi tra tutti quelli dell’insegnante palermitana. C’è da avere fiducia che questo rigurgito di indignazione, combinato con le imminenti elezioni europee – produca l’effetto non solo desiderato, ma giusto: l’immediato reintegro sulla propria cattedra di Rosa Maria. Lo dimostra il desiderio – davanti a tale reazione – del ministro Salvini di incontrare la prof. Dell’Aria: tutto quanto fa spettacolo.

Quello che stupisce, però, è che sembra che improvvisamente si sia scoperto che la libertà di insegnamento in questo paese è a rischio; rivelando, attraverso questo vergognoso episodio, che chi da anni interpreta la scuola della Costituzione non come slogan efficace, ma come condizione imprescindibile per la democrazia del paese; chi si ostina a difenderla come strumento dell'interesse generale; chi ha lottato e lotta contro i test Invalsi, contro la standardizzazione della didattica e della valutazione; chi si scaglia contro il primato delle competenze sulle conoscenze (che la normativa scolastica ha da anni a proprio mantra); chi ha combattuto contro discrezionalità del ds, comitato di valutazione, entrata dei privati nella scuola e privatizzazione dei sistemi di istruzione, ha bene in mente che la scuola della Repubblica – attraverso il principio costituzionale della libertà dell’insegnamento – è oggi e da tempo il più alto presidio di democrazia per il Paese: pensiero critico analitico, pluralismo, laicità, libertà di espressione e di insegnamento.

E se la libertà di insegnamento prevista dal primo comma dell’articolo 33 della Costituzione (“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”) ci riguarda tutti e rappresenta l’anticorpo all’avanguardia reazionaria e violenta e al ritorno di un passato che si servì soprattutto della scuola per imporre il pensiero unico, a maggior ragione deve riguardarci quanto previsto dall’art. 21: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Perché nel caso di Palermo parliamo proprio di questo: una chiara violazione di due principi che ci richiamano al tema della democrazia e della libertà. L’onnipresente e onniparlante ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha affermato: “Non penso che sia opportuno che ci siano questi accostamenti irrispettosi tra me e Mussolini”.

Io penso, a mia volta, che ci siano molte cose inopportune di cui il ministro – che non possiamo, ahimè, sospendere con cessazione del trattamento economico – dovrebbe chiedere scusa al popolo italiano che ama la democrazia. Lo dovrebbe fare per l’umiliazione intenzionale e continua delle persone migranti, venata di xenofobia; per gli allontanamenti coatti; per la foto con il fucile; per gli interventi – cooptando persino il corpo nazionale dei vigili del fuoco – sui balconi, per reprimere il dissenso; per una legge di bilancio fatta approvare senza la lettura dei testi; per i 49 milioni fatti sparire dalla Lega; e per molto altro ancora.

Ma oggi, soprattutto, non è opportuno portare avanti il progetto scellerato del regionalismo differenziato – la secessione dei ricchi – costruito anche attraverso la contrazione o l’annullamento degli spazi di libertà di insegnamento: i sistemi scolastici regionali autonomi avranno competenze esclusive – tra le altre materie – sulla valutazione, sugli organi collegiali e sull’attribuzione della parità scolastica. Immaginate cosa potrà accadere.

In linea più generale, le interferenze del potere politico regionale rappresenteranno una pressione più diretta, immediata e incombente ai fini di mediare pratiche didattiche, stili e metodologia di insegnamento, contenuti disciplinari, sanzione della “contrastività”. Nel regime signorile che si verrebbe ad instaurare (ogni regione con il proprio sistema scolastico) lo stato di cortigianeria dei docenti rappresenterebbe l’unica opzione per docenti totalmente defraudati della loro funzione civile e privati di ogni orizzonte di libertà culturale.

In un comizio del 28 febbraio 2015 Salvini, arringando le folle, affermava: “Alle leggi sbagliate non bisogna ubbidire, ma disubbidire, fino a quando non vengono cambiate”: esprimendo solidarietà alla professoressa Rosa Maria dell’Aria (di cui si pretende l’immediato reintegro) e ai suoi studenti – vittime di una ingiustizia a sfondo ideologico e repressivo – e confermando la totale ed intransigente avversione contro l’autonomia differenziata (i due elementi non possono e non devono essere disgiunti, perché parti di un’identica ratio violentemente ideologica), i docenti italiani – disubbidienti – pongono come centrale il tema della libertà di pensiero e di insegnamento, ribadendo la funzione centrale della scuola della Repubblica e della Costituzione come strumento della rimozione delle diseguaglianze e viatico di democrazia non solo per i propri studenti, ma per il Paese intero.

Al di là di un’ipotetica sanatoria che Salvini potrebbe proporre, l’episodio di Rosa Maria è un avvertimento per tutti noi e per tutti voi; noi che, anche in questo caso, continuiamo a rappresentare l’avanguardia della mobilitazione per la libertà e la democrazia in Italia, come dimostra la prontissima e partecipatissima reazione alla vicenda di Palermo, che non deve cessare di impegnarci. Voi, che siete invitati a comprendere che la difesa dei principi costituzionali della scuola pubblica è portata avanti, con fatica e sacrifico, anche per difendere la vostra libertà, comunque la pensiate; e la tenuta democratica del Paese.

  P R E C E D E N T E   

    S U C C E S S I V A  

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