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La VOCE ANNO XXI N°8

aprile 2019

PAGINA B         - 34

JOULE, MEYER, B. THOMPSON, HELMOTZ, CLAUSIUS, KELVIN: IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA ED IL PRINCIPIO DI CONSERVAZIONE DELL'ENERGIA

di Vincenzo Brandi
nel 1843 l'intelligente allievo del grande dalton, l'inglese james prescott joule (1818-1889), in una pubblica conferenza espose la sua convinzione che il lavoro (ad esempio quello che si compie sollevando un peso) e la "forza viva"(termine con cui si indicava l'energia cinetica posseduta da un corpo per la propria velocità, proporzionale al quadrato della velocità ed alla sua massa secondo la formula e = ½ m x v2) erano equivalenti al calore prodotto in una trasformazione lavoro-calore. questa equivalenza, come già si è scritto a proposito del ciclo di carnot (n. 73), costituisce il fondamentale "primo principio della termodinamica" (1)(2)(3)(4). joule era – come il suo contemporaneo, il geniale faraday (vedi n. 74) – un abile ed instancabile sperimentatore non cattedratico. era figlio di un produttore di birra e collaborava con il padre nell'azienda, ma i suoi esperimenti sulla trasformazione di energia elettrica, elettrochimica e meccanica in calore, incoraggiate dal maestro dalton, furono estremamente significativi e precisi. joule dimostrò già nel 1843 che un filo percorso da corrente elettrica (generata da una pila elettrochimica) produceva calore in proporzione al quadrato dell'intensità della corrente "i" e di una caratteristica del filo detta "resistenza" ("r") secondo la formula q = krxi2. da allora questo effetto è detto "effetto joule" ed è alla base ad esempio della tecnica di costruzione di forni e stufe elettriche e di quelle tecniche adatte ad evitare le dispersioni termiche nei conduttori elettrici. per dimostrare l'equivalenza lavoro-calore, joule misurò il calore prodotto da un mulinello che girava in un liquido contenuto a sua volta in un calorimetro (apparecchio per la misura del calore) determinando l'equivalenza con buona approssimazione. oggi si sa che una caloria (calore necessario ad alzare un grammo d'acqua di un grado centigrado da 14,5° a 15,5°) equivale a 4,186 joule (unità del lavoro chiamata "joule" in suo onore), che è il lavoro necessario a sollevare di un metro circa 102 grammi. joule, pur con apparati meno precisi, calcolò nel 1850 un valore molto prossimo di 4,159. già watt verso la fine del secolo precedente (n. 59) aveva affermato l'equivalenza tra il lavoro compiuto da una sua macchina a vapore per sollevare una data quantità di acqua nelle miniere, con il calore prodotto dalla necessaria quantità di combustibile. watt aveva anche paragonato questo lavoro a quello compiuto da mille cavalli, inventando il "cavallo-vapore" come unità di misura della potenza (cioè il lavoro compiuto in un'unità di tempo). secondo watt 1000 cavalli riuscivano ad alzare di un piede (circa 30 cm) 33000 libbre di acqua in un minuto. il fisico americano benjamin thompson (1753-1814) - che lavorò quasi sempre in europa e fu membro della royal society – aveva cercato di dimostrare il principio riscaldando e fondendo per attrito meccanico pezzi di
ghiaccio, ottenendo discreti risultati, ma non decisivi. il medico tedesco julius robert meyer (1814-1878) aveva esposto il principio di equivalenza già nel 1841-42, ma senza darne una chiara dimostrazione ed una precisa formulazione matematica. il noto chimico e fisiologo von liebig (1803-1873) - di cui scriveremo in un prossimo numero - lo aveva aiutato a pubblicare un articolo (che solo anni dopo sarà lodato dal grande helmotz), ma la cosa non aveva avuto seguito. si deve dare – quindi - a joule il merito di uno studio sistematico delle equivalenze, non solo tra calore e lavoro meccanico, ma anche tra calore ed altre forme di energia (elettrica, elettrochimica, ecc.). le idee del semplice "birraio" joule, espresse anche in una seconda conferenza del 1845 all'università di cambridge, furono per anni sottovalutate dal mondo accademico, finchè nel 1847, durante una nuova conferenza ad oxford presso la "società britannica per l'avanzamento della scienza", furono notate (e criticate) dal giovane ma già famoso ricercatore nord-irlandese william thomson (1824-1907) – poi divenuto lord kelvin(3) – ed il dibattito che ne seguì le portò finalmente in piena luce. in seguito thomson – della cui vasta attività riferiremo in un prossimo numero - accettò le teorie di joule ed avrebbe per primo usato la parola "energia" per indicare lavoro, calore (ed altre entità fisiche equivalenti) in uno scritto del 1853. anche altri fisici come rankine (su cui torneremo) furono coinvolti nel dibattito su questa nuova branca della fisica, la termodinamica, nata dalla nuova tecnica delle macchine a vapore messe a punto dal semplice tecnico james watt. contemporaneamente, sempre nel 1847, il grande ricercatore tedesco herman von helmotz (1821-1894)(4), che fu medico, fisiologo e fisico (e sulla cui opera torneremo in un numero specifico), formulò il più vasto principio di conservazione dell'energia, partendo dall'analisi fisiologica dei corpi animali in cui energie di origine chimica si trasformano in lavoro meccanico. nello scritto "sulla conservazione della forza", dove il termine "forza" viene impropriamente usato al posto di "energia", helmotz, tenuto conto che i vari tipi di energia si trasformano continuamente l'uno nell'altro senza sparire, teorizzò che il livello dell'energia nell'universo rimane costante (fatto che deve essere rivisto ovviamente alla luce delle trasformazioni energia-massa previste da einstein, come vedremo in prossimi numeri). concetti simili furono espressi anche da un altro grande fisico e matematico tedesco: rudolf clausius (1822-1888). anche su clausius, e sulla grande ripresa degli studi di fisica, biologia e matematica in germania, dopo l'ubriacatura romantico-idealistica, torneremo nei prossimi numeri. l. geymonat, "storia del pensiero fil. e sc.", laterza c. singer, "breve storia del pensiero sc.", einaudi rba, "le grandi idee della sc. – kelvin" rba, "le grandi idee della sc. – helmotz"

Nel 1843 l'intelligente allievo del grande Dalton, l'inglese James Prescott Joule (1818-1889), in una pubblica conferenza espose la sua convinzione che il lavoro (ad esempio quello che si compie sollevando un peso) e la "forza viva"(termine con cui si indicava l'energia cinetica posseduta da un corpo per la propria velocità, proporzionale al quadrato della velocità ed alla sua massa secondo la formula E = ½ m x V2) erano equivalenti al calore prodotto in una trasformazione lavoro-calore. Questa equivalenza, come già si è scritto a proposito del ciclo di Carnot (N. 73), costituisce il fondamentale "Primo Principio della Termodinamica" (1)(2)(3)(4).

Joule era – come il suo contemporaneo, il geniale Faraday (vedi N. 74) – un abile ed instancabile sperimentatore non cattedratico. Era figlio di un produttore di birra e collaborava con il padre nell'azienda, ma i suoi esperimenti sulla trasformazione di energia elettrica, elettrochimica e meccanica in calore, incoraggiate dal maestro Dalton, furono estremamente significativi e precisi. Joule dimostrò già nel 1843 che un filo percorso da corrente elettrica (generata da una pila elettrochimica) produceva calore in proporzione al quadrato dell'intensità della corrente "I" e di una caratteristica del filo detta "Resistenza" ("R") secondo la formula Q = kRxI2. Da allora questo effetto è detto "Effetto Joule" ed è alla base ad esempio della tecnica di costruzione di forni e stufe elettriche e di quelle tecniche adatte ad evitare le dispersioni termiche nei conduttori elettrici.

Per dimostrare l'equivalenza lavoro-calore, Joule misurò il calore prodotto da un mulinello che girava in un liquido contenuto a sua volta in un calorimetro (apparecchio per la misura del calore) determinando l'equivalenza con buona approssimazione. Oggi si sa che una caloria (calore necessario ad alzare un grammo d'acqua di un grado centigrado da 14,5° a 15,5°) equivale a 4,186 Joule (unità del lavoro chiamata "Joule" in suo onore), che è il lavoro necessario a sollevare di un metro circa 102 grammi. Joule, pur con apparati meno precisi, calcolò nel 1850 un valore molto prossimo di 4,159.

Già Watt verso la fine del secolo precedente (N. 59) aveva affermato l'equivalenza tra il lavoro compiuto da una sua macchina a vapore per sollevare una data quantità di acqua nelle miniere, con il calore prodotto dalla necessaria quantità di combustibile. Watt aveva anche paragonato questo lavoro a quello compiuto da mille cavalli, inventando il "cavallo-vapore" come unità di misura della potenza (cioè il lavoro compiuto in un'unità di tempo). Secondo Watt 1000 cavalli riuscivano ad alzare di un piede (circa 30 cm) 33000 libbre di acqua in un minuto.

Il fisico americano Benjamin Thompson (1753-1814) - che lavorò quasi sempre in Europa e fu membro della Royal Society – aveva cercato di dimostrare il principio riscaldando e fondendo per attrito meccanico pezzi di

ghiaccio, ottenendo discreti risultati, ma non decisivi. Il medico tedesco Julius Robert Meyer (1814-1878) aveva esposto il principio di equivalenza già nel 1841-42, ma senza darne una chiara dimostrazione ed una precisa formulazione matematica. Il noto chimico e fisiologo Von Liebig (1803-1873) - di cui scriveremo in un prossimo numero - lo aveva aiutato a pubblicare un articolo (che solo anni dopo sarà lodato dal grande Helmotz), ma la cosa non aveva avuto seguito. Si deve dare – quindi - a Joule il merito di uno studio sistematico delle equivalenze, non solo tra calore e lavoro meccanico, ma anche tra calore ed altre forme di energia (elettrica, elettrochimica, ecc.).

Le idee del semplice "birraio" Joule, espresse anche in una seconda conferenza del 1845 all'Università di Cambridge, furono per anni sottovalutate dal mondo accademico, finchè nel 1847, durante una nuova conferenza ad Oxford presso la "Società Britannica per l'Avanzamento della Scienza", furono notate (e criticate) dal giovane ma già famoso ricercatore nord-irlandese William Thomson (1824-1907) – poi divenuto Lord Kelvin(3) – ed il dibattito che ne seguì le portò finalmente in piena luce. In seguito Thomson – della cui vasta attività riferiremo in un prossimo numero - accettò le teorie di Joule ed avrebbe per primo usato la parola "Energia" per indicare lavoro, calore (ed altre entità fisiche equivalenti) in uno scritto del 1853. Anche altri fisici come Rankine (su cui torneremo) furono coinvolti nel dibattito su questa nuova branca della Fisica, la Termodinamica, nata dalla nuova tecnica delle macchine a vapore messe a punto dal semplice tecnico James Watt.

Contemporaneamente, sempre nel 1847, il grande ricercatore tedesco Herman Von Helmotz (1821-1894)(4), che fu medico, fisiologo e fisico (e sulla cui opera torneremo in un numero specifico), formulò il più vasto Principio di Conservazione dell'Energia, partendo dall'analisi fisiologica dei corpi animali in cui energie di origine chimica si trasformano in lavoro meccanico. Nello scritto "Sulla Conservazione della Forza", dove il termine "forza" viene impropriamente usato al posto di "Energia", Helmotz, tenuto conto che i vari tipi di energia si trasformano continuamente l'uno nell'altro senza sparire, teorizzò che il livello dell'Energia nell'Universo rimane costante (fatto che deve essere rivisto ovviamente alla luce delle trasformazioni energia-massa previste da Einstein, come vedremo in prossimi numeri). Concetti simili furono espressi anche da un altro grande fisico e matematico tedesco: Rudolf Clausius (1822-1888). Anche su Clausius, e sulla grande ripresa degli studi di fisica, biologia e matematica in Germania, dopo l'ubriacatura romantico-idealistica, torneremo nei prossimi numeri.

  1. L. Geymonat, "Storia del Pensiero Fil. e Sc.", Laterza

  2. C. Singer, "Breve Storia del Pensiero Sc.", Einaudi

  3. RBA, "Le Grandi Idee della Sc. – Kelvin"

  4. RBA, "Le Grandi Idee della Sc. – Helmotz"





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