LE
“FOLLIE” DI TRUMP MOSTRANO LE CONTRADDIZIONI, LA
FRAGILITA’ E LA PERICOLOSITA’ DELL’IMPERIALISMO
USA.
L’amico
e compagno Mario Albanesi, nella sua – come al solito –
ottima trasmissione “Scampoli Umani”, ha giustamente
stigmatizzato la provocatoria dichiarazione di Trump sul fatto che
gli Stati Uniti intendono spostare la loro ambasciata in Israele da
Tel Aviv a Gerusalemme, considerata come “capitale
indivisibile” di quello stato confessionale, militarista e
colonialista, ispirato all’ideologia sionista. Anche l’amica
e compagna Miriam, così come molti altri amici e compagni, e
sostenitori della causa palestinese, hanno espresso indignazione.
Pur
condividendo completamente l’indignazione verso le esternazioni
di Trump, vorrei – però – partire da un punto di
vista un po' diverso.
Nessuno
pensava che il neo-presidente statunitense fosse un rivoluzionario e
avrebbe cambiato in meglio la politica degli USA. La sua elezione a
sorpresa segna – però – un momento di grande
confusione e di estrema fragilità della politica statunitense.
I clan politici tradizionali, come quelli dei Clinton e dei
Democratici finti progressisti, o dei Repubblicani conservatori,
eseguivano perfettamente le politiche imperiali dettate dai poteri
forti (alta finanza, grandi multinazionali, complesso
militar-industriale, la potente lobby ebraica USA), ma con apparente
moderazione e grande ipocrisia. Basti pensare a tutte le guerre
promosse, o continuate durante la presidenza del Premio Nobel per la
Pace Obama, o durante le precedenti presidenze di Clinton e George
Bush, ai colpi di stato, alle destabilizzazioni di tanti paesi (dalla
Jugoslavia, all’Afghanistan, all’Iraq, alla Libia, alla
Siria, alla Georgia, all’Ucraina, la Somalia, il Sudan, la
Repubblica Democratica del Congo, ecc.).
Anche
sulla questione di Gerusalemme è utile ricordare che fu il
Congresso USA nel 1995 (22 anni fa!) a riconoscere di fatto la città
come capitale indivisibile di Israele e raccomandare lo spostamento
dell’ambasciata statunitense. Il presidente pro-tempore Clinton
ed i successivi presidenti non si opposero minimamente a questa
risoluzione, ma semplicemente la “sospesero” con grande
ipocrisia per tenere buoni gli Arabi ed indurre i Palestinesi a
continuare le inutili trattative su un fantomatico Stato Palestinese.
Nel frattempo la colonizzazione dei territori palestinesi occupati
continuava e la parte araba di Gerusalemme era di fatto annessa ad
Israele.
Ora,
dopo la provocazione del “pazzo” Trump, incapace di
diplomazia ed ipocrisia, persino qualche dirigente palestinese che in
passato si era speso (opportunisticamente) a favore delle trattative
e di una presunta “mediazione” americana, riconosce che
questa mediazione non esiste perché gli USA stanno dalla parte
dei Sionisti. I Palestinesi, che se ne stavano buoni, si mobilitano
di nuovo. Si è scatenata una nuova Intifada condotta da Hamas,
organizzazione che in passato si era addirittura schierata contro la
Siria di Assad. Il mondo arabo è in subbuglio e persino gli
alleati degli USA, come l’Arabia Saudita, la Giordania e la
Lega Araba prendono le distanze. L’Egitto si riaccosta alla
Russia e presenta all’ONU una mozione di condanna della
provocazione
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americana. Gli USA pongono il veto e restano isolati. Il
Re è nudo! Paradossalmente la mossa di Trump ha fatto cadere
tutti i veli e rimesso positivamente in moto la situazione.
Negli
USA, Trump, eletto dal voto di protesta della classe media
statunitense impoverita dalla crisi, è sottoposto a feroci
attacchi da parte della vecchia classe dirigente; deve licenziare
gran parte dei suoi collaboratori, e viene addirittura accusato di
essere stato eletto con l’aiuto dei Russi (la stessa accusa che
l’ex vice-presidente di Obama, Biden, rivolge agli Italiani che
hanno votato contro la controriforma costituzionale di Renzi!).
Persino l’ex fedelissima di Trump, il falco Nikki Haley,
rappresentante USA all’ONU, nota per le sue minacce di stampo
mafioso-camorristico alla Corea Democratica, gli volta le spalle
avvalorando le accuse di presunti scandali sessuali.
Attaccato
da tutte le parti, in quella che appare una crisi profonda di tutta
la dirigenza americana, che si scanna a vicenda in una lotta senza
esclusione di colpi, Trump reagisce tentando di alimentare il mito di
capo forte e deciso. Ne sono testimonianza sia la denuncia degli
accordi di compromesso realizzati da Obama con l’Iran, nel
tentativo di assicurarsi l’appoggio della lobby ebraica
anti-iraniana, sia le provocatorie esercitazioni militari congiunte
statunitensi e sud-coreane ai confini della Corea Democratica. Gli
USA non hanno mai accettato la sconfitta subita nella guerra del
1950-53, quando furono costretti a ritirarsi in disordine dalla Corea
Settentrionale, e hanno continuato a minacciare, sanzionare e
chiudere in un cerchio d’acciaio la Repubblica Popolare
Nord-coreana, grazie anche ad un esercito di 30.000 uomini,
potentemente armato, che tuttora occupa la Corea del Sud, appoggiato
da altri 45.000 militari che tuttora occupano il Giappone, mentre le
flotte e le portaerei USA percorrono i mari coreani e cinesi.
In
tutto il settore del Pacifico gli USA mostrano il loro volto
imperiale, attaccando ad esempio anche la loro ex-beniamina, il
Premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi, accusata anche di
genocidio dei ribelli musulmani Rohingya, solo perché, andando
al potere, ha mantenuto l’indipendenza della Birmania (oggi
Myanmar) e la tradizionale alleanza con la Cina. Anche il presidente
filippino Duterte, reo di voler condurre una politica indipendente e
non più al servizio degli USA, è accusato dei soliti
orrendi crimini, come Assad e ancor prima Milosevic e Gheddafi.
Le
provocazioni del “pazzo” Trump sono testimoni del caos in
cui giace la classe dirigente americana, ed i vari settori
politico-militari, nonché gli apparati di sicurezza e
spionaggio, divisi ed incerti sulle strategie da seguire nel momento
in cui la Russia - in Siria e Medio Oriente - e la Cina -con la nuova
“Via della Seta” ed i progetti di valute alternative al
Dollaro - guadagnano terreno. Anche la resistenza eroica di piccoli
paesi come la Siria e la Corea Popolare Democratica innervosiscono
gli USA. Si tratta di una situazione interessante per la
dimostrazione di fragilità che dà la dirigenza
americana, ma anche molto pericolosa nel caso in cui volesse cercare
di risolvere la situazione con una nuova grande guerra devastante.
Roma
18/12/2017 Vincenzo Brandi
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