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La VOCE 1801

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La VOCE ANNO XX N°5

gennaio 2018

PAGINA 6

Segue da Pag.6: UNA GRANDE RIVOLUZIONE CHE HA INDICATO LA VIA DELLA LIBERAZIONE DAL CAPITALISMO



”Che cosa è il potere Sovietico? Quale è la natura di questo nuovo potere che nella maggior parte dei paesi non si vuole e non si può ancora capire? Il tratto essenziale, che attira sempre più gli operai di ogni paese, è che lo stato, prima amministrato in un modo dai ricchi e dai capitalisti, oggi, per la prima volta, è amministrato, e su scala di massa, proprio dalle classi che il capitalismo opprimeva...” (“Che cos’è il potere Sovietico?” - Opere Complete - Volume 29° - pag. 226 - Ed. Riuniti.)

Il problema del controllo e della gestione dell’organizzazione del lavoro e della produzione in fabbrica (intesa da Marx nell’estensione dei suoi rapporti economici e non certo come singola unità lavorativa), ha rappresentato il terreno del conflitto fra le classi in cui i lavoratori, di volta in volta, si sono misurati e si misurano anche oggi con le loro lotte contro il grande capitale per la conquista della propria autonomia di classe.

È un terreno di ricerca su cui sviluppare alcuni elementi teorici sull’evoluzione dell’organizzazione operaia che sono fondamentali per il movimento comunista nazionale ed internazionale e che per lungo tempo sono stati negati dal riformismo e dalle varie socialdemocrazie interne ed esterne al P.C.I. Le esperienze dei Soviet in U.R.S.S. e dei Consigli di Fabbrica in Italia hanno rappresentato, in forme, tempi e luoghi diversi, strumenti di potere che hanno permesso alla classe operaia e alle masse lavoratrici di svolgere tutti i compiti che si erano posti di fronte a loro. Gramsci, nei suoi scritti, descrive le strutture consiliari così:

“[…] il sistema dei Consigli di Fabbrica è l’espressione storica concreta della aspirazione del proletariato alla propria autonomia […]” – “[…] Il Consiglio di fabbrica è il modello dello Stato proletario. Tutti i problemi che sono inerenti all’organizzazione dello Stato proletario, sono inerenti all’organizzazione del Consiglio […] L’esistenza del Consiglio dà agli operai la diretta responsabilità della produzione, li conduce a migliorare il lavoro, instaura una disciplina cosciente e volontaria, crea la psicologia del produttore, del creatore di storia. […]” (Sindacati e Consigli "L’Ordine Nuovo", 11 ottobre 1919).

Tali strutture avevano un duplice compito: quello del controllo e della gestione della produzione e del lavoro strappati dalle mani dei capitalisti e quello di conquistare il potere per istaurare il proprio governo con la propria democrazia operaia e sostituire il governo e la democrazia parlamentare della borghesia. È importante evidenziare che dopo le esperienze dei Soviet in URSS e quelle dei C.d.F. nel biennio rosso, esse si sono riproposte nel nostro paese anche negli anni ’60, soprattutto nella loro fase più alta che è stata denominata “Autunno Caldo”. Esperienze che, dalla lotta di Liberazione, hanno rappresentato l’espressione più avanzata della lotta di classe nel nostro paese, in cui i lavoratori avevano dimostrato di aver acquisito la coscienza di classe dirigente, attraverso grandi lotte di massa.

Intellettuali e burocrati sindacali che fungono da cinghia di trasmissione del riformismo hanno diffuso mistificazioni dicendo che i C.d.F. del 1969 erano diversi da quelli del biennio rosso. In realtà, tali organismi, pur in tempi e condizioni diverse, si sono sviluppati sullo stesso terreno dei rapporti di produzione capitalistici e con funzioni identiche che hanno sempre messo in discussione il potere del capitale e il suo apparato statale. Perciò i capitalisti hanno sempre combattuto senza esitazione e con intransigenza tali strutture per eliminarle e farle sostituire dalle vecchie Commissioni Interne con compiti meramente aziendalistici. Non a caso, nel corso degli anni, il riformismo ha operato scientemente per mutare la natura dei consigli, per trasformarli in appendici delle burocrazie sindacali nei luoghi di lavoro fino alla loro totale metamorfosi. Tali mutamenti sono avvenuti nel momento in cui le Organizzazioni Sindacali si sono poste come delle superstrutture delle istituzioni consiliari e il Partito Comunista non ha più egemonizzato con una linea di classe tra i lavoratori.

L’offensiva della Confindustria e delle forze politiche conservatrici e reazionarie, favorita dalle forze socialdemocratiche interne ed esterne allo stesso PCI, contro l’imponente movimento dei consigli dei delegati che andava affermandosi, giunse al suo culmine con la sconfitta delle lotte operaie della Fiat (negli anni ‘79/’80) che segnò l’inizio della caduta fino allo smantellamento definitivo delle strutture consiliari con l’intesa-quadro tra CGIL-CISL-UIL nel 1991, che coincide con lo scioglimento del P.C.I. e poi nel 1993 con il famigerato accordo sulla concertazione tra Sindacati, Governo e Confidustria.

Con quell’accordo si è voluto sancire la fine della democrazia operaia e dell’intervento diretto dei lavoratori sull’o.d.l. e l’o.d.p. in fabbrica. Così, ebbe inizio un drastico ritorno al passato istituendo le R.S.U come oggi le conosciamo e cioè degli organismi senza alcun potere. Esse rappresentano il sindacato esterno in fabbrica, il cui compito è limitato solamente alla gestione e alle operazioni dei problemi interni delle singole Aziende, Compito esattamente uguale a quello che avevano le vecchie Commissioni Interne negli anni ’10 e nei primi anni ’60 del 900 prima.

I comunisti sanno che oggi siamo di fronte a un movimento mondiale di salariati diviso e frammentato, debole e impotente, che subisce i colpi dell’offensiva del grande capitale, ma nel contempo sanno anche che questo movimento reale ha in sé tutte le potenzialità di risollevarsi e di acquisire la propria coscienza di classe per riprendersi in mano il proprio destino.

È necessario guardare con attenzione i processi industriali e di proletarizzazione di massa che sono avvenuti e che avvengono nel mondo e nel nostro paese. La ricerca e l’applicazione della scienza e della tecnica hanno prodotto nuove tecnologie che hanno dato il via alla nascita di elaboratori sempre più potenti e alla produzione di macchine altamente automatizzate che hanno prodotto modifiche nell’organizzazione di fabbrica. Le trasformazioni avvenute nella struttura industriale hanno influenzato la stessa fisionomia della classe operaia ma non hanno cambiato la sua natura e i suoi rapporti di produzione con il capitale che sono ancora più profondi ed estesi di prima e da cui rifiorisce l’attualità dell’analisi di Marx sul lavoro salariato, l’automazione, la contraddizione capitale e lavoro, la produzione del profitto, ecc.

E proprio per il fatto che non sono mutati i rapporti di produzione capitalistici e sulla base dell’esperienza storica e della prospettiva socialista indicata dalla Rivoluzione d’Ottobre, non si può escludere la ricomparsa di una nuova generazione di strutture consiliari sulla scena della storia nel nostro Paese o in qualche altra parte del mondo. Una tale ipotesi non è affatto campata in aria, perché, storicamente, i Soviet nacquero nel 1905 a Pietroburgo, poi vennero soppressi dallo Zar e poi si riformarono nelle fabbriche nel febbraio del 1917 prima della rivoluzione. Anche i Consigli di Fabbrica in Italia nacquero prima della fondazione del Partito Comunista con l’esperienza dell’ordine nuovo di Gramsci e poi vennero soppressi dai capitalisti, dalle forze reazionarie con l’attivo sostegno dei riformisti la cui politica favorì poi, oggettivamente, la salita al potere del fascismo.

Le classi dominanti hanno usato con molta abilità le loro ideologie attraverso diversi canali per disarmare i lavoratori e smantellare i Consigli di Fabbrica che rappresentavano un nuovo ordine sociale alternativo alla società capitalistica. La nascita spontanea dei Consigli di Fabbrica non è avvenuta casualmente, ma ha risposto a profonde necessità della classe operaia, del lavoro e della produzione di generare una propria organizzazione funzionale ad un sistema più avanzato del capitalismo e senza lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Nel 1969 come nel biennio rosso, tale percorso è stato boicottato, rallentato e poi interrotto nel nostro paese da tanti ostacoli attraverso cui sono stati creati, poco alla volta tutti i presupposti ideologici con i quali si è voluto far credere a tutta la società, dopo lo scioglimento del P.C.I. e dell’U.R.S.S. che non vi era più alcuna necessità di un’organizzazione politica dei lavoratori, i quali giunti ormai al loro termine storico avrebbero, quindi, dovuto dichiarare una resa incondizionata al dominio delle classi dominanti del nostro Paese. Abbiamo conosciuto le peggiori e più degenerative teorie legate agli interessi dominanti del capitale come la fine della classe operaia, del lavoro, degli stati nazione, delle classi, delle ideologie, della storia, ecc...

Un voluto catastrofismo ideologico, in realtà per disarmare i lavoratori e dire fine all’organizzazione economica, politica e ideologica della loro classe e lasciare libera la classe dominante di passare al massacro sociale. Infatti, i processi degenerativi del capitalismo hanno riprodotto il lavoro nelle sue forme primitive di sfruttamento e portato alla loro fine il lavoro regolare e a tempo indeterminato, il lavoro con i diritti e del diritto al lavoro che sono state sostituite dalle forme più brutali di totale precarietà e flessibilità, come il lavoro a domicilio e minorile, il prolungamento della giornata lavorativa con masse di ore straordinarie e turni irregolari, il lavoro a chiamata, il lavoro nero e il caporalato, ecc.

Molti si sono arresi di fronte a tale offensiva, ma i comunisti non intendono farlo e vogliono continuare a portare avanti la lotta. È necessario rimettere in campo tutto il sapere collettivo per riunificare organicamente le forze produttive e lavorative e per unire i comunisti se si vuole agire con coerenza in funzione della lotta di liberazione della classe lavoratrice dallo sfruttamento capitalistico come ci è stato indicato dai principi della grande Rivoluzione proletaria del 1917 guidata da Lenin e dal P.C.b. dell’U.R.S.S. che ha rappresentato la via con cui i Soviet e la classe lavoratrice giunsero al potere in Russia.

L’antidoto al nazionalismo è l’identità di classe

International Communist Press | sol.org.tr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

19/11/2017

Intervista di soL ad Astor Garcia, SG del Partito Comunista dei Popoli di Spagna (PCPE)

Il portale di notizie soL ha intervistato Astor Garcia, Segretario Generale del Partito Comunista dei Popoli di Spagna (PCPE), che si trovava a Smirne in Turchia, per l’evento organizzato dal Partito comunista turco (TKP) in occasione del centenario della Rivoluzione d’Ottobre. (Qui il video dell’intervista in spagnolo)

soL: Benvenuto a Smirne. Desideriamo conoscere quali eventi avete organizzato in Spagna nel 100° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre e quali sono state le loro ripercussioni?

Astor Garcia: Abbiamo organizzato una serie di attività in diverse città del paese per commemorare il 100° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre. Siamo partiti da Madrid il 7 ottobre, con un’iniziativa che ha suscitato grande interesse tra i membri del Partito, il Collettivo della gioventù comunista (CJC) e i nostri simpatizzanti. Altre attività si svolgono nelle capitali regionali.

Siamo usciti con un numero speciale di Nuevo Rumbo che è una pubblicazione del nostro Partito. Preparato a settembre dal Comitato centrale del Partito, questo numero rivendica i risultati della Rivoluzione d’Ottobre: partendo dall’analisi delle Rivoluzione, assume come esempio per l’oggi la lotta dei bolscevichi nell’edificazione socialista.

soL: Come esprimi l’attualità del socialismo?

AG: Fondamentalmente ci riferiamo alle conquiste sociali raggiunte dai paesi socialisti la cui assenza è avvertita dagli operai nei paesi capitalisti. Spieghiamo anche l’attualità del socialismo, indicando che l’ex blocco socialista fu garanzia dei risultati realizzati nei paesi capitalisti.

La perdita dei diritti sociali, dei diritti e delle conquiste dei lavoratori in seguito allo scioglimento del blocco socialista per l’attacco controrivoluzionario conferma questa tesi. La classe operaia ancora una volta affronta le gravi conseguenze del capitalismo.

soL: In che modo il vostro Partito analizza la questione della Catalogna? Cosa presagite per il futuro su questo problema?

AG: Non si può negare la complessità della situazione in Catalogna. È una grave crisi nello sviluppo dello stato con radici storiche, politiche ed economiche che sarebbe troppo lungo spiegare in questa sede. Si può tuttavia riassumere la situazione odierna in questo modo: le sezioni piccole e medie della borghesia in Catalogna, di fronte alle conseguenze della crisi economica e soprattutto delle contraddizioni del capitalismo spagnolo a causa dell’escalation della crisi capitalista, hanno ritenuto di manipolare i sentimenti e l’identità nazionale del popolo catalano e utilizzarli per contrattare un miglioramento del loro status economico e politico all’interno della Spagna capitalista.

Questa situazione perdura da 40 anni ma finora aveva sempre trovato un compromesso tra unità e lotta. A ragion del vero, ci sono molti esempi nella storia in cui le forze borghesi nazionaliste catalane hanno sostenuto il governo spagnolo.

Oggi le due forze si sfidano, da un lato le forze indipendentiste catalane guidate dalla piccola borghesia catalana e dall’altra il governo spagnolo che attua i piani e i programmi della grande borghesia spagnola.

Il programma attuale implica lo scioglimento di alcuni vincoli giuridici ed economici delle regioni e la rimozione di barriere per una centralizzazione nazionale. La classe operaia e le classi popolari si trovano trascinate in questa sfida in cui le due sezioni della borghesia cercano di prevalere l’una contro l’altra nella spartizione del plusvalore e dello sfruttamento.

Noi, come Partito Comunista, facciamo notare che il nazionalismo catalano e il nazionalismo spagnolo intendono regolare il capitalismo in modi
..segue ./.

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