La VOCE   COREA   CUBA   JUGOSLAVIA   PALESTINA   RUSSIA   SCIENZA 

Stampa pagina

 Stampa inserto 

La VOCE 1801

  P R E C E D E N T E   

    S U C C E S S I V A  


GIÙ

SU


La VOCE ANNO XX N°5

gennaio 2018

PAGINA 4


           

Riflessioni sulla via cinese al socialismo a partire dai documenti del 19° congresso del Partito Comunista Cinese

Samir Amin | samiramin1931.blogspot.it
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

22/11/2017

1.
La rivoluzione cinese è una grande rivoluzione perché ha iscritto i suoi obiettivi principali (liberare la Cina dalla dominazione dell’imperialismo, del feudalesimo e della borghesia compradora) nella lunga transizione al comunismo.

a) il comunismo è una fase superiore della civilizzazione, fondato sul principio della solidarietà (degli individui e delle nazioni) che si sostituisce a quello della competizione. La socializzazione dalla pratica della democrazia succede a quella fondata sulla sottomissione ai meccanismi del mercato. La liberazione degli esseri umani dall’alienazione mercantile e dal loro assoggettamento al potere, sostituisce la sovranità dell’istanza culturale nuova a quella dello Stato e permette il suo decadimento. Il comunismo è "un’utopia creatrice": l’utopia di oggi, diventerà la realtà di domani.

b) il progetto comunista è un progetto universale. Non è quello di alcuni popoli particolari di cui l’eccezionale eredità culturale avrebbe preparato la capacità di immaginarne la realizzazione. È il progetto dell’umanità intera.
Questo carattere universale non significa che il comunismo costruirà individui qualsiasi simili gli uni agli altri, nazioni che non si distinguono più le une dalle altre. Al contrario il comunismo è sinonimo della più grande diversità, a vantaggio di una creatività senza precedenti nella storia.
In questo senso ogni tappa della lunga transizione socialista, quindi il comunismo stesso, deve essere associato ai caratteri propri di ogni popolo. Il socialismo sarà sempre e ovunque coi colori della Cina, della Russia, della Francia, dell’Egitto ecc. il richiamo a questa volontà da parte del PCC (il socialismo con caratteristiche cinesi) deve essere sostenuto; è positivo.

2.
Il percorso storico della Cina è da sottolineare. La Cina ha costituito la massa demografica organizzata in società di uno Stato più importante in anticipo sugli altri. Era ai primi posti per la diversità e la qualità dei suoi prodotti e l’efficacia nella loro produzione. Aveva inventato alcuni degli elementi fondamentali per progredire nella modernizzazione del mondo: la laicità, la gestione dei servizi pubblici attraverso la meritocrazia. Pertanto costituiva per le monarchie assolute europee del 18° secolo un modello da imitare (Etiemble).
Tuttavia questo modello ha iniziato a vacillare dal 18° secolo e con la rivoluzione industriale europea del 19° secolo la Cina affonderà nella condizione di paese dominato. Il suo popolo intraprese molto presto la via rivoluzionaria nuova di cui è testimonianza la Rivolta dei Taiping, antenata del maoismo. Anche le classi dirigenti hanno tentato di resistere alla loro maniera (le riforme dell’imperatrice Tseu Hi, la rivoluzione del 1911). Sono i cannoni della flotta britannica e non la competitività superiore dell’industria inglese, che hanno aperto la Cina alla sovranità imperialista.
La Cina deve al marxismo e alla sinicizzazione di Mao l’esito felice della sua lotta e il trionfo della sua rivoluzione.

L’ambizione del popolo cinese, sostenuta dal suo Stato dal 1950 fino ad oggi, è di vedere la Cina giungere al livello di potenza indipendente, rispettata, attore attivo nel forgiare il mondo, offrire al suo popolo condizioni di vita onorevoli rese possibili dal progresso della scienza moderna.
Questa ambizione è legittima e deve essere sostenuta da tutti i popoli del Pianeta.

3.
Dal 1950 la Cina si è impegnata sulla via della lunga transizione socialista.

a) Il percorso scelto dal popolo e dallo Stato cinese è ovviamente singolare, in risposta alla sfida della "costruzione del socialismo in un solo paese". Poiché la lunga transizione socialista non può essere altro che il prodotto di progressi successivi e diversi da un paese all’altro. Non è mai stato altrimenti, né nel passato storico, né nel presente e nel futuro visibile. L’umanità non è mai progredita e non progredirà mai ad un ritmo uguale per tutti; non ci sarà mai una "rivoluzione mondiale" che dispensi coloro che possono fare un passo avanti, dal farlo da soli (errore dei trotskisti su questo argomento).

b) la transizione socialista cinese è passata per tappe successive dal 1950 fino ad oggi.
La prima tappa si è conclusa con la vittoria di una rivoluzione popolare e democratica condotta da un partito autenticamente comunista nel suo progetto, una rivoluzione che è stata capace di coinvolgere la maggiore forza principale nella società, i contadini, nel lungo processo di trasformazione del paese. Per questa ragione Mao ha detto di questa rivoluzione che era "popolare e democratica" e non "borghese e democratica"; e questa distinzione conserva il suo carattere decisivo per il presente e il futuro.
I momenti successivi ulteriori al periodo maoista e post maoista sono stati contrassegnati da progressi e talvolta da battute d’arresto, che devono essere riconosciuti. Non può essere altrimenti nella lotta storica di lunga durata intrapresa dalla Cina dal 1950.
Spetta al 19° Congresso e al Presidente Xi Jinping l’onore di avere riconosciuto la continuità di questa storia e di avere rotto con la retorica dei discorsi che spesso si sentono, secondo i quali il periodo maoista sarebbe stato tessuto di errori continui e fondamentali e che è la rottura conseguente alla morte di Mao che sarebbe all’origine del successo della Cina contemporanea.

c) in tutte le fasi del suo sviluppo la via cinese è stata affrontata – e rimane tale – con due grandi sfide che richiedono risposte efficaci e corrette per ciascuno dei suoi momenti successivi.
(i) la sfida posta dell’associazione dei contadini ai possibili progressi della lunga transizione socialista;
(ii) la sfida posta dall’ostilità del sistema capitalista mondiale manifesto nei confronti del progresso della Cina.
La Cina è riuscita a rispondere generalmente in modo corretto a queste sfide. Mao ha saputo trarre le lezioni dalla sfortunata esperienza sovietica, impantanata e incapace di riformarsi, condannata pertanto alla restaurazione pura e semplice del capitalismo. Mao e i suoi successori sono stati capaci di immaginare strategie nuove che sono risultate efficaci.

d) la Cina ormai è impegnata in un doppio progetto che mira da un lato a costruire un sistema produttivo industriale completo, coerente e articolato sul rinnovamento dell’agricoltura contadina e dall’altro cerca di trarre vantaggio dal suo essere inserito nella globalizzazione capitalista contemporanea. Questo progetto è conflittuale per natura, anche se probabilmente costituisce la sola alternativa possibile nelle condizioni del mondo contemporaneo. Certamente lascia la via aperta al rafforzamento di tendenze capitaliste che operano nella società. Tuttavia se il potere decisionale del PC e dello Stato prende le misure lucidamente, diventa possibile superare la contraddizione in questione. Ma per ciò è necessario: a) che il potere conservi e rafforzi la sua capacità di controllare l’inserimento della Cina nella globalizzazione imperialista ostile (e in particolare rifiuti l’inserimento dell’economia cinese nella globalizzazione finanziaria); e b) che rispetti e anche favorisca le capacità di resistenza delle classi popolari alle devastazioni del capitalismo.
A riguardo, la mia lettura dei documenti del 19° Congresso mi riassicura. Tuttavia solo gli sviluppi futuri potranno provare che le risoluzioni del Congresso saranno effettivamente attuate.

Gli Usa rafforzeranno la flotta del Pacifico e puntano la Cina


Gli Stati Uniti hanno intenzione di aumentare la loro presenza navale nel Pacifico occidentale come risposta all’aumento di tensioni nella penisola coreana. Il comandante delle operazioni navali, l’ammiraglio John Richardson, nel suo tour in Asia ha voluto ribadire l’impegno della marina Usa in quella specifica regione, confermando anche la volontà di spostare alcune navi dalle basi della California a quelle giapponesi, per aumentare la presenza di mezzi nell’East Asia. L’annuncio di Richardson, avvenuto durante un briefing a bordo della Uss Ronald Reagan, alla fonda nella base di Yokosuka, in Giappone, ha avuto un particolare risalto nella stampa asiatica, soprattutto in quella cinese. Se, infatti, la notizia data da Richardson è stata collegata alle crescenti tensioni con la Corea del Nord e all’utilità di un ricambio di mezzi specialmente a seguito degli incidenti occorsi alla Settima Flotta negli ultimi mesi, è chiaro che la maggiore presenza navale Usa nel Pacifico va letta anche nell’ottica di contrasto alla strategia cinese in quella regione.

Nell’ultimo documento pubblicato dalla Casa Bianca sulla National Security Strategy, la Cina è menzionata decine di volte come avversario strategico dell’America. Nonostante che nel testo si legga la volontà degli Stati Uniti di “continuare a cooperare con la Cina”, quello si evince, continuando la lettura, è che la Cina sia in realtà l’obiettivo primario della strategia di sicurezza dell’amministrazione di Donald Trump. “Gli investimenti infrastrutturali e le strategie commerciali della Cina rafforzano le sue aspirazioni geopolitiche” si legge nel documento. “I suoi sforzi per costruire e militarizzare avamposti nel Mar Cinese Meridionale mettono in pericolo la libera circolazione degli scambi commerciali, minacciano la sovranità di altre nazioni e minano la stabilità regionale”, prosegue il testo, che poi stabilisce quanto segue: “la Cina ha avviato una rapida campagna di modernizzazione militare progettata per limitare l’accesso degli Stati Uniti alla regione e fornire alla Cina una mano più libera. La Cina presenta le sue ambizioni reciprocamente vantaggiose, ma il dominio cinese rischia di sminuire la sovranità di molti stati nell’Indo-Pacifico”. In sostanza, fra i pilastri della politica di sicurezza americana nel Pacifico, il contrasto alla Cina è di primaria importanza. Importante a tal punto che viene inserita prima della Corea del Nord nell’elenco delle questioni sulla sicurezza americana nel Pacifico.

In questa strategia, il rafforzamento della marina militare Usa nel Pacifico occidentale, assume quindi un connotato ben differente rispetto a quello di deterrenza nei confronti di eventuali test o attacchi nordcoreani. E dimostra, inevitabilmente, che l’escalation di tensione in Corea giochi in realtà proprio a favore del Pentagono per legittimare l’incremento della presenza militare nell’East Asia. Come riporta anche il South China Morning Post, Song Zhongping, commentatore militare della Phoenix Television di Hong Kong, ha evidenziato in queste ultime ore che gli Stati Uniti stiano cercando di utilizzare la crisi nucleare della Corea del Nord per rafforzare la Settima flotta nel Pacifico occidentale spostando altre portaerei dalla Terza flotta, che verrebbero trasformati in una forza di supporto nella regione. “La marina cinese e l’aeronautica affronteranno sfide senza precedenti se gli Stati Uniti rafforzeranno il loro schieramento militare nel Pacifico occidentale” ha confermato Song alla tv di Hong Kong, “perché è probabile che il Pentagono schiererà da quattro a sei gruppi di portaerei nella regione”.

Quello a cui stiamo assistendo, è dunque a tutti gli effetti una militarizzazione del Pacifico occidentale in cui la Corea del Nord è, sostanzialmente, uno strumento. Gli Stati Uniti sanno che la Corea del Nord non ha intenzione di intraprendere una guerra, che si rivelerebbe effettivamente suicida. Tuttavia, consapevoli di questo stallo bellico, a Washington hanno trovato un metodo utile e molto proficuo per aumentare il numero di mezzi navali e la vendita dei propri sistemi di difesa a Giappone e Corea del Sud. È la Cina il vero obiettivo strategico degli Stati Uniti, ed anche la scelta di indicare la regione con il termine di “Indo-Pacifico” non va sottovalutata. Utilizzare questo termine per indicare la regione di riferimento nell’Asia occidentale, definisce anche la scelta strategica a favore dell’India, e la volontà di creare una cintura che dall’oceano Indiano arrivi fino al Giappone, includendo anche il Sudest asiatico e l’Australia. A Pechino ne sono perfettamente consapevoli, e proprio per questo stanno cercando di capire come risolvere la questione coreana prima che la loro strategia nazionale sia messa a repentaglio dalla militarizzazione del Pacifico.

  P R E C E D E N T E   

    S U C C E S S I V A  

Stampa pagina

 Stampa inserto 

La VOCE 1801

 La VOCE  COREA  CUBA  JUGOSLAVIA  PALESTINA   RUSSIA   SCIENZA 

Visite complessive:
Copyright - Tutti gli articoli possono essere liberamente riprodotti con obbligo di citazione della fonte.