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LA VOCE 1604 |
P R E C E D E N T E | S U C C E S S I V A |
La VOCE ANNO XVIII N°8 | aprile 2016 | PAGINA g - 35 |
Obama contro tutti: «Libia nel caos per colpa di europei e Clinton»«La Libia è nel caos». Il presidente Usa Barack Obama segue le orme dei predecessori e a 5 anni dalla campagna Nato contro la Libia critica quell’operazione. Ma non se ne assume del tutto la responsabilità: la scarica sui suoi consiglieri, sull’Europa e sul Golfo. In un’intervista alla rivista The Atlantic, Obama si è tolto tutti i sassolini che aveva nella scarpa. Interventi a gamba tesa su tutti: ha lamentato la mancanza di sostegno da parte degli alleati europei e delle petromonarchie del Golfo, le divisioni tribali del paese, gli errori commessi dai suoi stessi consiglieri. Come Hillary Clinton, l’allora Segretario di Stato, il cui piano di intervento «non ha funzionato». L’affondo del presidente arriva nei giorni caldi delle primarie democratiche e fa tremare la campagna elettorale della Clinton. «Quando guardo indietro e mi chiedo cosa è andato storto, mi critico perché ho creduto che gli europei, per la vicinanza alla Libia, si occupassero del follow-up». In particolare, Obama punta il dito sul premier britannico Cameron e sul presidente francese Sarkozy che hanno permesso che la Libia si trasformasse da entità statale a problema ingestibile. Si è «distratto», dice con ironia Obama del primo ministro di Londra, contribuendo così ad «uno spettacolo di merda». La Francia, invece, si vantava di «tutti gli aerei abbattuti, seppur fossimo stati noi a distruggere le difese aeree». E se gli europei sono «opportunisti» perché fanno pressioni sugli Usa per poi tirarsi indietro, i sauditi infiammano conflitti in tutta la regione e per questo hanno perso il sostegno acritico di Washington. Al contrario gli Stati Uniti, secondo il presidente, hanno portato avanti l’operazione come previsto. Solo che non ha funzionato: «Abbiamo avuto il mandato Onu, abbiamo creato una coalizione, l’operazione ci è costata un miliardo di dollari. Abbiamo evitato vittime civili su larga scala. Nonostante ciò la Libia è nel caos». Solo su un punto Obama si dice soddisfatto: non aver lanciato, nel settembre 2013, l’operazione contro la Damasco di Assad. «Sapevo che premere il pulsante di pausa avrebbe avuto il suo costo politico, ma mi sono svicolato dalle pressioni e ho pensato in modo autonomo». Più o meno: all’epoca a obbligare Washington a tirare il freno fu l’intervento diplomatico della Russia Il mea culpa con il senno di poi è una caratteristica di molti leader. C’è chi si scusa per l’Iraq, c’è chi dice che l’interventismo internazionale ha creato l’humus per la nascita di al Qaeda prima e l’Isis poi. Eppure la strategia resta la stessa: l’Obama che critica quell’operazione è lo stesso che ha sul tavolo il piano del Pentagono per un nuovo intervento in Libia. È il capo dell’amministrazione che fa pressioni sull’Italia per avere Sigonella e che accetta la spartizione decisa dagli europei di un paese già frammentato. Ed è colui che fu a capo della coalizione anti-Gheddafi, senza che esistesse una reale alternativa politica al colonnello. Difficile quindi che le critiche dell’inquilino della Casa Bianca modifichino gli attuali progetti bellici. Ufficialmente, ripetono le cancellerie occidentali, si interverrà solo per fermare lo Stato Islamico, arroccato a Sirte e Derna, ma capace di infiltrarsi lungo tutta la costa. 5-6mila uomini che approfittano del caos libico per ampliarsi: se queste fossero effettivamente le forze militari islamiste, non sembrerebbero una minaccia insormontabile. Il problema è un altro: in Libia non c’è un governo legittimo da sostenere contro il nemico islamista, ma una galassia di autorità diverse che frammentano il paese. Un intervento esterno, con o senza richiesta di un eventuale esecutivo di unità, non avrebbe un effetto stabilizzatore ma amplierebbe questi settarismi. In tale contesto lo Stato Islamico è consapevole di aver raggiunto l’obiettivo: l’arrivo continuo di nuovi adepti – che diminuiscono in Siria ma aumentano in Libia –garantisce l’allargamento di una struttura che ha come scopo la destabilizzazione della Libia. Lo ha detto chiaramente il nuovo “emiro” dell’Isis nel paese, Abdul Qadr al-Najdi, alla rivista di Daesh al-Naba: l’organizzazione «diventa più forte, giorno per giorno» tanto da fare dello Stato nordafricano «l’avanguardia del califfato», ha detto prima di minacciare Roma di una prossima conquista e i paesi vicini (in primis la Tunisia) di future operazioni. Intanto proprio a Tunisi ieri si apriva l’ennesimo tavolo Onu per ridare vitalità al morente dialogo nazionale. Gli incontri saranno gestiti dall’inviato per la Libia Kobler, nell’obiettivo di superare lo stallo dovuto al parlamento di Tobruk. Da settimane il governo ufficialmente riconosciuto dall’Occidente si rifiuta di votare la proposta di governo unitario promossa dal premier designato al-Sarraj. La giustificazione ufficiale è la continua mancanza del quorum, ma l’assenza dei parlamentari è da imputare al diktat del capo dell’esercito, Khalifa Haftar, che punta – su spinta del suo stretto alleato, l’Egitto – a ricoprire una carica di prim’ordine. Una carica che gli permetta di controllare il futuro del paese. |
Petizione per le dimissioni della Ministra Giannini. Perché lUniversità è una cosa seriaLItalia infatti figura oggi ultima dei Paesi OCSE per i fondi destinati allUniversità e alla ricerca con un misero 1% del PIL; lonere per laccesso allistruzione universitaria italiana è reso pesantissimo per le famiglie dallo smantellamento del diritto allo studio, se è vero che solo il 7% degli studenti italiani riceve una borsa di studio a fronte del 27% della Francia e del 30% della Germania, mentre le tasse universitarie sono cresciute del 51%. Negli ultimi anni più del 93% delle giovani leve della ricerca è stato espulso dal sistema universitario, mentre è drammatico il generale calo delle immatricolazioni (meno 70.000 iscritti in tre anni). Il rapporto docenti/studenti è il peggiore d’Europa e la docenza e la più anziana e la peggio pagata se messa in rapporto coi principali paesi OCSE. La totale assenza di azione della Ministra e confermata da una lunga lista di inadempienze e di palesi incapacità gestionali e progettuali: l’incapacità di gestire il problema ormai drammatico del precariato della ricerca, col risultato che è stato necessario prima prorogare gli assegni di ricerca, poi i “ricercatori a tempo determinato di tipo B” (RTD-B), mentre è frequente che letà dei precari superi i 40 anni; il mancato avvio dal 2013 della ASN (Abilitazione scientifica nazionale) prevista per legge - i cui termini sono stati nuovamente prorogati alla fine del 2016 - necessaria per produrre uno stabile ricambio generazionale della docenza (ad oggi quasi inesistente, a causa del blocco del turn over ancora in atto) e il mancato intervento sulle storture che hanno contraddistinto la prima tornata provocando numerosissimi ricorsi, molti vinti, con grande dispendio di risorse pubbliche e forti danni per i singoli;; una gestione del ministero in questi anni penosamente inchinata (e inginocchiata) al volere dellANVUR, l’Agenzia di valutazione universitaria formata da un gruppo di “esperti” strapagati che ormai detta legge e ricatta il mondo universitario; si segnala che la Ministra non è stata nemmeno capace di sollevare il problema morale e politico – segnalato dal “controllo sociale” della comunità universitaria - di uno dei consiglieri dell’Anvur, che ha indegnamente “copiato” nella selezione per l’accesso al direttivo e che andrebbe mandato a casa per restituire un minimo di decenza a un organismo già ampiamente delegittimato; l’incapacità di fornire un minimo di risposta politica e di interlocuzione civile a chi protesta per le assurdità del sistema di Valutazione della Qualità della Ricerca(VQR), un sistema gestito dall’ANVUR in modo irrazionale e che produce una classifica delle università ampiamente illegittima che sara utilizzata dallo stesso ministero per una distribuzione delle risorse che acuisce e aggrava le differenze tra gli atenei e le diverse aree del paese; il blocco degli scatti stipendiali per la docenza universitaria (unica tra le categorie non contrattualizzate del pubblico impiego) nel quinquennio 2011-2015 cui si e associato il non riconoscimento ai fini economici e giuridici del servizio prestato in questi anni. Proroga che ha colpito duramente la docenza universitaria e in particolare le giovani leve, rendendo la professione di docente sempre più delegittimata sul piano morale e materiale; un sostanziale disinteresse nei confronti del Personale Tecnico Amministrativodegli atenei, anch’esso penalizzato da anni di blocco contrattuale oltre che ampiamente sottodimensionato rispetto ai compiti e agli obiettivi assegnati dal proliferare incontrollato di procedure burocratiche e amministrative; una serie di annunci a raffica di cambiamento epocale, come nel caso dell’annunciata riforma degli accessi ai corsi di medicina, rivelatesi totalmente vuoti; delle roboanti dichiarazioni iniziali assolutamente nulla si è realizzato e il sistema è affondato nel caos, come dimostrano i numerosi ricorsi vinti dagli studenti sull’argomento; un’incapacità assoluta di far funzionare il sistema a regime e una mortificante acquiescenza verso alcune gravi scelte strategiche (sia pur prese altrove): tra queste, la recente previsione della chiamata di 500 professori “eccellenti” o il nuovo ISEE per le borse di studio; nessun programma chiaro sul sistema della ricerca e dell’Università, e un’assoluta incapacità di dialogo con la comunità universitaria nel suo complesso: le due occasioni “di ascolto” si sono rivelate soltanto spot utili allo storytelling governativo, privo di contenuti, anche perché è apparso a tutti chiaro che la politica universitaria e della ricerca procede per iniziative mediatiche che non passano neppure per il MIUR; il cambiamento sotto i suoi occhi (per incapacità o per volontà, non sappiamo cosa sia peggio) della natura della ricerca pubblica italiana, reso palese dalla decisione del governo di cui fa parte di assegnare 1,5 Miliardi di € alla Fondazione privata IIT nei prossimi 10 anni, mentre il finanziamento al sistema della ricerca pubblica è stato tagliato di 1 Miliardo di € rispetto al 2008. E questa lista potrebbe continuare. Per avviare una fase nuova tra questo governo, le famiglie, gli studenti e i docenti universitari italiani, i sottoscrittori di questo appello ritengono che sia oggi urgente che la professoressa Giannini si faccia da parte. Ne chiedono dunque le immediate dimissioni al fine di ripristinare un clima di vivibilità all’interno del sistema universitario; un clima finalmente capace di dare una risposta reale alle esigenze degli studenti, delle loro famiglie e dei giovani ricercatori e far così ripartire l’università italiana dalla quale dipende il benessere materiale e morale dell’intero paese. Si invita il personale universitario (docente e non docente, precario e strutturato) a indicare in modo preferenziale una mail istituzionale all’atto della firma, oltre a segnalare sinteticamente posizione lavorativa (PO, PA, RU, RTd, Assegnista, etc…) e ateneo d’appartenenza . L’appello è promosso dalla Rete29aprile ed è aperto a tutti i soggetti del mondo universitario, della scuola, della cultura e della società civile. Posted by: Andrea Martocchia |
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