(dall'inserto scientifico del La Voce del GAMADI - maggio 2010)
Il governo Berlusconi sin dal suo insediamento ha dato molto risalto alla sua linea strategica di sviluppo dell'energia nucleare. La questione presenta molti aspetti contraddittori e cerco, in questo breve spazio, di evidenziarne schematicamente alcuni:
1) Innanzitutto nel 1987 in Italia abbiamo votato per tre quesiti referendari, che è il caso di ricordare nel merito e nei risultati:
1 - Veniva chiesta l'abolizione dell'intervento statale nel caso in cui un Comune non avesse concesso un sito per l'apertura di una centrale nucleare nel suo territorio. I sì vinsero con l'80,6%.
2 - Veniva chiesta l'abrogazione dei contributi statali per gli enti locali per la presenza sui loro territori di centrali nucleari. I sì s'imposero con il 79,7%.
3 - Veniva chiesta l'abrogazione della possibilità per l'Enel di partecipare all'estero alla costruzione di centrali nucleari. I sì ottennero il 71,9%. (Fonte: Corriere della Sera, 24 febbraio 2009)
La partecipazione fu del 65,1%: fu una delle ultime occasioni in cui gli italiani dimostrarono di volersi avvalere seriamente dell'istituto del referendum (ricordiamo che i referendum successivi hanno avuto una crisi sempre più acuta di partecipazione). Certamente "pesò" anche l'effetto-shock della catastofe di Chernobil, avvenuta solo un anno prima, ma nondimeno l'opinione degli italiani si espresse con grande chiarezza. I quesiti non chiedevano esplicitamente la chiusura delle centrali nucleari già esistenti a causa di una impossibilità normativa a intervenire in tal senso con un referendum, ma il risultato, oltre a dimostrare ampiamente che gli italiani non volevano un ulteriore sviluppo del nucleare, comportò di fatto l'abbandono delle centrali già attive.
Il fatto che oggi il governo Berlusconi, come unico provvedimento "strategico" per affrontare la crisi energetica, muova in direzione diametralmente opposta a quel volere degli italiani così chiaramente espresso nel 1987 è l'ennesima dimostrazione della vocazione antidemocratica della classe dirigente che oggigiorno ci ritroviamo.
2) In linea di principio, come materialisti dialettici non ci opponiamo in maniera assoluta ed acritica alla ricerca scientifica ne' alla produzione dell'energia nucleare. Anzi sappiamo bene l'importanza della conoscenza e della padronanza di tali tecnologie per un paese come il nostro. E' però paradossale, e segno di malafede, che questo governo ed i suoi alleati della Confindustria propagandino il nucleare come strumento per rivitalizzare e sviluppare la ricerca scientifica e tecnologica nel nostro paese proprio mentre tagliano i fondi in tutti i settori della Ricerca&Sviluppo - dagli Enti di ricerca, incluso l'ENEA, fino alle scuole di ogni ordine e grado - e le industrie di più alto livello tecnologico da noi continuano a chiudere!
Non si capisce dunque perchè tanto apparente zelo in un unico e specifico settore, quello nucleare.
3) La grave crisi energetica determinata dal carattere ambientalmente devastante e sempre più anti-economico dell'utilizzo dei combustibili fossili non può essere risolta dall'uso del nucleare per alcuni ben noti motivi:
- il problema delle scorie e della sicurezza degli impianti (soprattutto in questa epoca di guerre sempre più frequenti per cui le grandi centrali e depositi radioattivi diventano un obiettivo ideale di ogni attacco);
- il problema dell'approvvigionamento di uranio, che va ad esaurirsi nel giro di pochi decenni proprio come il petrolio;
- il problema del controllo militare sul ciclo dell'uranio e delle interazioni tra produzione energetica e produzione bellica.
4) Infine, per affrontare con lungimiranza la crisi energetica bisognerebbe investire su fonti realmente innovative ed eco-compatibili, quali il sole: guarda caso invece sugli investimenti nel solare siamo molto indie