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interrogano quotidianamente se vale la pena continuare a studiare rispetto ai sacrifici che ciò comporta.
Chi si beneficerà dell'allungamento ulteriore del precariato universitario voluto dalla Gelmini con i contratti da ricercatore a tempo determinato, saranno i figli di professori, i figli della classe dirigente.
E' questa la *vera parentopoli! *La vera parentopoli, la parentopoli sociale rafforzata dalla Gelmini, è quella del *classismo* del quale è intrisa la vita universitaria a ogni livello e del quale se ne comprendono i meccanismi solo dall'interno.  Lo scandalo non si gioca sui cento metri piani di un concorso più o meno combinato. Si gioca sulla lunga distanza di una maratona dove i capaci e i meritevoli, anche se in testa alla corsa, vengono costretti ad abbandonare per mancanza di acqua prima di un traguardo posto ogni giorno più lontano. Sbagliano dunque gli studenti che temono la "privatizzazione" dell'Università.
In Italia tutte le privatizzazioni si sono sempre fatte con soldi pubblici e non è questo il caso.
Il progetto continentale, che possiamo far partire dal "processo di Bologna" del 1999 è quello della dismissione dell'Università di massa per preservarne solo gli spazi elitari.
E' quello di un'Università che autoriducendosi esce dalla sfera del *diritto allo studio* per entrare nel mercato come "public company" e dalla quale pertanto sono espulsi quelli che nell'Università cercavano un luogo per sfuggire ad un destino sociale di subalternità.  Nel 2020, quando la riforma Gelmini sarà a pieno regime e il blocco del turn-over avrà impedito la sostituzione dei quadri entrati in ruolo nei primi anni '80, l'Università pubblica avrà docenti solo per 5-600.000 studenti con la conseguente espulsione dei tre quarti degli studenti attuali.  Un bel risparmio per il quale oggi incroceranno i calici Gelmini, Giavazzi e Tremonti.
Noi auspichiamo che prima del 2020 si organizzi una legittima rivoluzione che faccia saltare questo criminale meccanismo e sappiamo fin d' ora che non sarà con l' alternanza di questa sporca e corrotta sinistra che questo potrà accadere. Speriamo in forze nuove, scaturite dal mondo studentesco, dalla Fiom, dalla ricerca!!! Il risparmio del quale ipocritamente parlano la Gelmini e Tremontii è  un risparmio che nasconde il disinvestimento nel paese nel suo complesso che torna ad essere identificato nella propria classe dirigente escludendo tutte le altre.
La riforma Gelmini accelera dunque un processo che costituisce un salto indietro (graduale, mascherato) di 50 anni, ai numeri dei primi anni '70, nel quale un numero limitato di clienti-studenti troveranno soddisfazione alle loro esigenze di imprenditoria individuale.
Tutto il resto, tutto quanto non smerciabile, come il sapere critico,  la cultura, dovranno essere marginalizzati in piccole nicchie perché, per i criteri di economicità e di profitto con i quali funzionerà l'Università "public company" non c'è posto per loro come non c'è posto per quelle classi popolari e medio-basse che in questi 40 anni avevano beneficiato dell'Università in un processo di ascensione sociale.
Il problema è che se il modello su cui si basa la Riforma Gelmini poteva essere vendibile 15 o 20 anni fa, al momento di auge del modello neoliberale, è palesemente antistorico oggi che la crisi ne mette a nudo l'impraticabilità.
Oggi chiunque ha avuto occasione di confrontarsi con gli studenti sa che questi non lottano per sfuggire solo ad un destino subalterno ma anche per sfuggire ad un modello di sviluppo capitalista che ha eretto la precarietà come nuova, più avanzata e più pervasiva forma per  costringerli a tale subalternità nonostante gli studi universitari.
Se oggi un titolo universitario non garantisce più progressione sociale la risposta del governo è quella di indurre a rinunciare all'educazione superiore chi acquisirebbe un titolo svalutato.
Al contrario la richiesta degli studenti è di una politica che riqualifichi e renda nuovamente spendibili tali titoli. Venti anni fa si poteva ancora far finta di non esserne coscienti, ma oggi è evidente che la precarietà non è solo un miglior modo di controllo sociale, di coercizione sindacale e di massimizzazione degli utili ma anche l'unica maniera di creare lavoro che questo modello di sviluppo riesce a concepire.

Paesi come l'India, in grado di laureare 700.000 ingegneri l'anno, sanno che solo dai grandi numeri si può scremare l'eccellenza.  L'Italia (e pezzi dell'Europa) sta scegliendo un cammino opposto, convogliando decrescenti risorse su numeri via via più ristretti che tornano a coincidere con le élite tradizionali.
Dal rifiuto della riforma Gelmini all' "intuizione" di un destino subalterno e precario che ha portato gli studenti, a Londra come a Parigi come a Roma, a scendere in piazza, all'elaborazione di un modello alternativo di Università e di società che rimetta al centro, in una società dei saperi rivalorizzati, la lotta all'esclusione, il passo è ancora lungo. Per colmarlo ci vorrebbe la politica, come abbiamo detto, politica che si ispira alla scienza del materialismo dialettico, anche ricordando che le uniche vere conquiste dei popoli  sono state possibili solo grazie a grandi dirigenti, come Lenin e Stalin, Kim Il Sung, Mao Tzetung, Fidel Castro e più moderni Kim Jong Il, Hugo Chavez ed Evo Morales che hanno dato dignità al popolo lavoratore, apertura alla cultura di massa, prese di posizione internazionale contro le guerre imperialiste e di solidarietà tra i popoli nel nome di un giusto ed umano internazionalismo proletario.

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