denti nella storia iraniana, i lavoratori agricoli abbiano avuto un aumento del reddito del 37 per cento, gli operai del 22 per cento, gli insegnanti che, sotto il riformista Khatami non avevano avuto nessun adeguamento salariale, abbiano visto i loro stipendi aumentare del 30 per cento e le loro pensioni del 50 per cento.
I dirigenti occidentali sembravano non prevedere neppure il forte impatto che le devastanti guerre degli Stati Uniti e l'occupazione in Iraq e in Afghanistan hanno sull'opinione pubblica iraniana, sottoposta da anni ad ogni tipo di minaccia esterna.
Sul candidato "riformista" Mussavi, un personaggio dal passato perlomeno discutibile che - per la sua cultura politica e i suoi legami internazionali - non garantirebbe né sicuri sviluppi democratici né la futura indipendenza del paese e che si presentava - conseguentemente - con un programma economico di "liberalizzazioni" e di aperture alla penetrazione occidentale, si sono così concentrate le speranze di tutti quelle aree iperliberiste, neocapitaliste, filoamericane e filoisraeliane pronte ad acclamare l'opposizione come avanguardia di una" rivoluzione democratica"; pronte, al fondo delle cose, a cancellare quella rivoluzione komeinista che liberò l'Iran dalla schiavitù agli Usa e alla monarchia persiana.
Come abbiamo visto, però, le cose non sono andate secondo le previsioni. Non è certo la "volontà del popolo iraniano", come hanno affermato coloro che hanno scambiato la rivolta del "popolo di Teheran nord" (i quartieri privilegiati della capitale iraniana) con il sentire comune a tutti gli iraniani, quella che si è
espressa nelle proteste di questi giorni.
Il popolo iraniano (piacciano o non piacciano i connotati ideologici del gruppo che sostiene Ahmadinejad, che certo non sono quelli di chi scrive questo articolo, quelli dei comunisti), con un voto schiacciante (il 63%) ha espresso la sua volontà, democraticamente e legittimamente senza, peraltro, che si registrassero contestazioni di rilievo, almeno fino a quando non è stato dichiarato l'esito della consultazione.
E il tentativo di contestare la legittimità del risultato elettorale, messo in atto secondo il classico copione delle "rivoluzioni colorate" (utilizzo di gruppi di giovani apparentemente "non violenti", mobilitazione delle classi medio-alte "occidentalizzate", grande dispiegamento dei mezzi di informazione occidentali, uso spregiudicato delle tecnologie internet con messaggi a forte impatto emotivo sulle opinioni pubbliche europee e americane), già sperimentato in passato, avrebbe dovuto indurre la gran parte delle sinistre anticapitaliste europee a una maggiore prudenza nell'approccio alla questione e non cadere nella trappola tesa da Netanyahu che - ritenendo necessaria e legittima "l'interferenza" degli Stati e dei governi contro Ahmadinejad, - ha chiesto al mondo di "interferire" - appunto - contro il governo iraniano.
E' francamente preoccupante constatare che di un'analisi rigorosa (di classe) di quanto sta accadendo, nei comunicati e nelle manifestazioni organizzate da una parte consistente della sinistra occidentale non si avverta traccia. Si preferisce adagiarsi sui classici cliché dell' "ingerenza democratica", che hanno preceduto tutte le aggressioni imperialiste degli ultimi decenni.
(1) James Petras, "La bufala delle "elezioni rubate" (2) Ibid.
ITALO!!!!
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