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LIBIA E JUGOSLAVIA

(estratti dall'articolo di A. Martocchia: "Pristina-Bengasi e ritorno. Requiem per la Unione Europea", l'Ernesto Online 10/06/2011)

I meccanismi della comunicazione di massa che accompagnano la nuova guerra di aggressione cui partecipa il nostro paese - quella contro la Libia - ricalcano pedissequamente quelli già attivati nel corso di altre aggressioni degli ultimi anni - Iraq, Jugoslavia, Afghanistan. Nel caso libico dobbiamo però, in aggiunta, prendere atto che certi settori democratici, quelli del frequente richiamo alla "difesa della Costituzione", si comportano come se non avessero imparato assolutamente *niente* dalle guerre precedenti. Ci è capitato ad esempio di essere avvicinati da un cronista di una emittente del circuito di Radio Popolare, il quale ci ha allungato il microfono chiedendo: "Allora in che altro modo si doveva intervenire?" (intendendo al posto della guerra di aggressione, per "spezzare le reni" al dittatore di turno). Abbiamo replicato che la domanda era posta male ed era rivelatrice di come venti anni di guerre imperialiste costruite sulla disinformazione strategica non abbiano insegnato niente nemmeno ai giornalisti "di sinistra".

Il caso di Rossana Rossanda è da questo punto di vista il più emblematico ed il più scandaloso, anche perché era stato raccontato che Rossanda aveva fatto ammenda per avere sostenuto i bombardamenti della NATO contro la Repubblica Serba di Bosnia nel 1995. Pure il "circuito" di Michele Santoro dimostra di avere subito una pesante involuzione per quanto riguarda questi temi. Su AnnoZero del 5 maggio 2011, il leader della opposizione Bersani ha rivendicato la giustezza dei bombardamenti presenti e passati, con esplicito riferimento ai bombardamenti sulla Jugoslavia comandati dal suo compagno di partito D'Alema nel 1999, senza alcun contraddittorio.

A spiegare non solo questa degenerazione della "opinione pubblica" di sinistra in Italia, ma il più generale declino delle attività del movimento contro la guerra, si potrebbero portare alcune motivazioni specifiche. Un dato di fatto è la strumentalizzazione delle questioni libiche per finalità di politica interna, che dura da quasi tre anni. Ad avviso di chi scrive, se c'è una sola cosa buona che ha fatto il governo Berlusconi ebbene questa è stata la chiusura del contenzioso di epoca coloniale con la Libia in modo onorevole per quest'ultima, attraverso il Trattato di Amicizia; eppure, gli accordi - poi traditi - tra Roma e Tripoli sono stati fatti oggetto di veementi contestazioni da settori ben più preoccupati per la sorte dei migranti nei centri di accoglienza in Libia, che non per la sorte degli stessi nei CIE, nelle carceri, nelle periferie, nei cantieri o nei campi di pomodori in Italia. Quelle veementi contestazioni hanno sempre eluso tanto l'analisi del contesto internazionale, che vedeva la Libia alla guida di un movimento di emancipazione politica ed economica dell'Africa (Unione Panafricana: non è che per caso la aggressione militare c'entra qualcosa con questo?) quanto la memoria dei crimini pregressi dell'Italia su quei territori.

Lo abbiamo detto e scritto in più occasioni, e dobbiamo tornare a ripeterlo: paradigmatico degli "interventi umanitari" post-Ottantanove è proprio il caso jugoslavo. E, nell'ambito della complessa vicenda jugoslava, per ferocia e sprezzo di ogni legalità vanno rammentati quei bombardamenti del 1999, finalizzati a imporre un "regime change" a Belgrado, a spaccare la Federazione jugoslava cancellando ogni residuo riferimento alla "Jugoslavia" dalle mappe geografiche e da ogni altro consesso formale, e miranti a strappare alla Serbia la regione cui essa più teneva per ragioni storico-culturali ed economico-strategiche: il Kosovo.

Mentre scriviamo cade il dodicesimo anniversario dalla conclusione di quei bombardamenti (7 settembre 1999), e siamo prossimi al ventesimo anniversario dall'inizio della crisi jugoslava più generale (25 settembre 1991: secessioni di Slovenia e Croazia).

Il Kosovo dal settembre 1999 - con l'occupazione totale del territorio da parte degli eserciti stranieri - e ancora oggi, nonostante la dichiarazione di "indipendenza", è a tutti gli effetti un protettorato coloniale. Il suo "status" è controverso al punto che la sua "indipendenza" finora è stata riconosciuta solamente da 75 dei 192 Stati che compongono le Nazioni Unite.
Tra i paesi che non hanno riconosciuto il Kosovo come Stato indipendente ce ne sono alcuni aderenti alla UE: Spagna, Grecia, Romania, Slovacchia e Cipro si sono... avvalse della facoltà concessa dal balordo ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner :

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